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Scontri armati e morti a Tripoli, l’Italia accusa la Francia: Macron smetta di alimentare la guerra tra Haftar e Serraj

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Tripoli resta nel caos. Sparatorie in strada. Scontri armati nei sobborghi. Incerto anche il destino del governo di Fayez Al Serraj, quello riconosciuto dall’Onu. L’unica ambasciata ancora aperta nella capitale della Libia resta quella italiana. Ma è pericoloso per la rappresentanza diplomatica girare per strada. Ad alimentare questo clima di guerra civile che sta causando decine di morti, secondo quanto sostengono i servizi segreti italiani è Parigi.

Kalifa Haftar. Il generale che comanda l’esercito del governo non riconosciuto di Tobruk e Bengasi

L’Italia accusa apertamente Parigi di alimentare gli sforzi bellici dell’uomo forte della Cirenaica (la seconda regione libica dopo la Tripolitania), il generale Khalifa Haftar che in modo diretto o indiretto sostiene le milizie impegnate mettere a ferro e fuoco la capitale della Livia per rovesciare il governo di unità nazionale di Fayez Sarraj, unica parvenza di istituzione statuale appoggiata dall’Italia perchè riconosciuto dalle Nazioni Unite sin dall’insediamento a Tripoli nell’aprile 2016. Il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi in queste ore frenetiche per la tenuta della Libia ha avuto un colloquio telefonico con l’inviato speciale delle Nazioni Unite Ghassan Salameh e ha ribadito l’intenzione di tenere una conferenza internazionale sulla Libia a Roma in autunno. Non solo. Il capo della Farnesina ha anche ribadito che l’Italia non ha alcuna intenzione di lanciare, sostenere o assistere senza battere ciglia ad alcuna iniziativa militare nella regione.

Fajez Al Serraj. Capo del governo provvisorio di Tripoli riconosciuto dall’Onu

Dopo aver chiarito che non ci sarà alcuna “task forcee e non ci sarà nessun militare italiano sul suolo libico, il ministro della Difesa Elisabetta Trenta ha voluto aggiungere che è “compito dei libici proteggere se stessi e trovare un accordo”. Il presidente della Camera dei Deputati, Roberto Fico, alla festa dell’Unità di Ravenna, dove è stato accolto manco fosse una rock star, ha più o meno detto le stesse cose del ministro degli Interni leghista, Matteo Salvini sul dossier libico e cioè che la Francia ha non solo le responsabilità storiche del caos libico – a causa del suo attivismo militare in prima linea per la defenestrazione del Colonnello Gheddafi 7 anni fa – ma soprattutto quelle delle violenze negli ultimi giorni. Poi Salvini è tornato a battere là dove il dente duole sia in Francia che in Italia: la questione migranti. “La Libia non è un porto sicuro per i migranti? Chiedetelo a Parigi», ha detto Salvini. Ma che succede in Libia? Perchè questa improvvisa escalation di violenza? Chi c’è davvero dietro questo caos? Il presidente francese Macron preme, ingerisce negli affari interno libici per costringere il governo in carica ad  indire elezioni in Libia entro il 10 dicembre. Il 16 settembre avrebbe dovuto infatti tenersi il referendum sulla nuova carta costituzionale. Un passo ritenuto fondamentale per elaborare le “regole del gioco”. Ma al momento nessun documento è stato ancora presentato dalla costituente. E soprattutto ieri anche gli esponenti del governo di Tobruk sono stati d’accordo nel rinviare il referendum di “almeno una settimana”. Per l’Italia le elezioni sono sì un passaggio cruciale, occorre però che la carta costituzionale venga elaborata con calma e vi sia una sorta di normalizzazione interna. Insomma per l’Italia prima si depongono le armi, prima si scrivono le regole del gioco e poi si va a votare. E devono farlo i libici senza condizionamenti alcuni. Insomma l’Italia spinge per la pace.
La Francia soffia sul fuoco. Ieri a Tripoli i combattimenti si sono un poco affievoliti. Ma i motivi di scontro restano. Al fianco di Tripoli e del governo Serraj sono scese in campo le milizie della vicina città di Misurata. Hanno inviato un contingente in sostegno di Sarraj a Tripoli. Sino a due giorni fa era stato proprio il mancato aiuto di Misurata a favorire l’offensiva verso il centro della capitale lanciata l’ultima settimana di agosto dalla Settima Brigata di Tarhouna, legata ad Haftar.

Tripoli nel caos. Scontri armati in città e nei pressi dell’aeroporto di Mitiga

Gli uomini di Misurata si sono subito diretti nella zona dell’aeroporto di Mitiga. La mossa dei guerriglieri di Misurata ha in qualche modo calmato i timori della popolazione. Il ruolo fondamentale di Misurata, che di fatto salva militarmente Sarraj, torna per contro a rendere difficile la pacificazione con l’est del Paese, così come auspicato dall’ Onu. Molti dai massimi esponenti di Misurata sono infatti assolutamente contrari a qualsiasi compromesso con Haftar e combattono con forza ogni elemento che ricordi Gheddafi. Ma nuove incertezze per il governo Sarraj sono cresciute in serata, quando è stato chiaro che le milizie della cittadina di Zintan, giunte a Tripoli con le stesse finalità di quelle di Misurata, sono invece schierate nel campo di Haftar. Già un anno fa gli emissari di Bengasi e Tobruk erano riusciti a tessere relazioni forti con gli uomini di Zintan. Tanto che lo stesso Haftar parlava apertamente di prendere Tripoli col loro aiuto. Insomma il rischio forte è il caos istituzionale, scontri armati tribali nella capitale tra milizie legate ad Haftar e milizie lealiste di Serraj e un bagno di sangue. In questo caos, i signori della guerra non potranno controllare le coste e migliaia di migranti possono partire per l’Europa e destabilizzare il fianco sud del Mediterraneo con arrivi in Grecia, Malta, Italia, Spagna e Francia.

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Augusta Montaruli e lo squallore della storia dei vibratori: basta fake news, ora denuncio tutti

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Augusta Montaruli, deputata di Fratelli d’Italia, ha deciso di denunciare gli attacchi e le fake news che da anni la colpiscono, culminati di recente in una falsa accusa legata a presunti acquisti di vibratori con fondi pubblici, smentita e riconducibile a un esponente di sinistra, poi assolto, di un’altra regione. Intervistata da La Stampa, la parlamentare ha spiegato i motivi della sua scelta, dichiarando che non vuole più rimanere in silenzio, nonostante le difficoltà personali e politiche.

“Ho deciso di reagire”

Montaruli ha spiegato di aver denunciato perché si è resa conto di aver modificato le proprie abitudini di vita per paura delle conseguenze delle fake news. “Mi sono isolata, evitavo di postare sui social o di far entrare persone in casa mia per timore che subissero danni a causa di queste notizie false”, ha raccontato. La parlamentare ha anche parlato del “turbamento” provato vedendo migliaia di condivisioni di queste accuse infondate. “Confidavo che la verità prevalesse, ma ho sbagliato. Ho deciso di superare il pudore e denunciare.”

Attacchi sessisti e il peso dell’esposizione pubblica

Montaruli ha sottolineato come gli attacchi ricevuti siano spesso stati a sfondo sessuale, e ha riflettuto sul fatto che un accanimento simile non si vede mai nei confronti degli uomini. Tuttavia, non ritiene che il suo essere donna sia l’unica spiegazione: “È ciò che voglio comprendere con la querela”. L’ex sottosegretaria ha poi evidenziato che il dovere di chi è esposto pubblicamente è quello di difendere chi non ha voce e subisce in silenzio.

La forza non è solo apparenza

L’intervista ha rivelato una Montaruli determinata ma anche consapevole della propria vulnerabilità: “La forza non è apparenza, ma sostanza. Non significa essere impermeabili a tutto, ma affrontare le proprie emozioni e non rinunciare ai propri diritti.”

Solidarietà bipartisan e una giornata per il rispetto

Montaruli ha ricevuto solidarietà anche da donne di centrosinistra, un gesto che ha apprezzato per l’importanza del tema. Ha inoltre ribadito l’impegno per contrastare il bullismo e le fake news, annunciando che il 20 gennaio si celebrerà la Giornata del rispetto, dedicata a Willy Monteiro, vittima di violenza, per promuovere una cultura opposta a quella della sopraffazione.

“Non lascerò il passo all’odio”

Concludendo, la deputata ha dichiarato: “Mi sento meglio dopo la querela. Per molti anni mi sono isolata, ma non lascerò che l’odio abbia la meglio.”

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Russia: condannati tre avvocati di Navalny

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Vadim Kobzev, Alexei Liptser e Igor Sergunin, tre ex avvocati dell’oppositore russo Alexei Navalny, morto lo scorso anno in una colonia penale artica, sono stati condannati oggi a pene dai cinque anni e mezzo ai tre anni e mezzo di reclusione perché riconosciuti colpevoli di aver fatto parte di un’organizzazione “estremista”. Lo riferisce l’ong Ovd-Info, specializzata nell’assistenza legale agli oppositori.

Kobzev è stato condannato a cinque anni e mezzo di reclusione, Liptser a cinque anni e Sergunin a tre anni e mezzo. I tre legali, arrestati nell’ottobre del 2023, erano accusati di avere fatto uscire dal carcere in cui era rinchiuso Navalny e avere fatto pubblicare i messaggi in cui l’oppositore continuava ad attaccare il presidente Vladimir Putin e l’intervento armato russo in Ucraina. Lo stesso Navalny, morto il 16 febbraio 2024 mentre scontava una condanna a 19 anni di reclusione per “estremismo”, aveva stigmatizzato l’arresto dei tre avvocati giudicandolo “scandaloso” e definendolo un ulteriore tentativo di tenerlo isolato in prigione. La sentenza odierna è stata emessa dalla Corte di Petushki, nella regione di Vladimir, 115 chilometri ad est di Mosca, dove Navalny era stato rinchiuso per un periodo prima di essere trasferito nella colonia penale artica dove è deceduto.

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Roberto De Simone ricoverato: il mondo della cultura in apprensione per il maestro

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Preoccupazione tra amici, familiari e fan di Roberto De Simone, il celebre musicologo e compositore napoletano, ricoverato in ospedale a causa di disturbi respiratori legati a un’influenza. Il maestro, 91 anni, è stato trasportato in pronto soccorso lunedì sera, e ieri è stato trasferito in corsia per monitorare le sue condizioni. Pur non essendo gravi, l’età e gli acciacchi rendono la situazione delicata, spingendo il mondo della cultura a stringersi intorno alla figura di uno dei suoi massimi esponenti.

Un’eredità culturale immensa

De Simone è una delle figure centrali della cultura italiana, noto per il suo straordinario contributo all’etnomusicologia, al teatro e alla musica. Creatore della “Nuova Compagnia di Canto Popolare” e autore di opere iconiche come “La Gatta Cenerentola”, ha saputo fondere tradizioni popolari e alta cultura, mantenendo sempre uno sguardo attento al presente. Come lui stesso ha spesso dichiarato, «il teatro non è mai del tempo passato, ma è storia del presente».

L’ultima sua opera, risalente alla primavera scorsa, è stata “Dell’Arco Giovanna D’Arco”, una partitura in versi e prosa dedicata alla Pulzella d’Orléans. Questo lavoro riflette l’instancabile ricerca artistica di De Simone, che ha continuato a creare e studiare anche in condizioni di salute precarie.

Una vita dedicata alla musica

La musica è stata il cuore pulsante di tutta la sua opera. Fin da bambino, De Simone si avvicinò al pianoforte grazie a una zia, per poi iscriversi a soli 13 anni al Conservatorio San Pietro a Majella di Napoli, istituzione che avrebbe segnato profondamente la sua carriera. Direttore del conservatorio dal 1995 al 1999, nominato “per chiara fama”, e direttore artistico del Teatro San Carlo, De Simone ha contribuito alla riscoperta e alla diffusione dei capolavori del Settecento napoletano, portandoli sui palcoscenici di tutto il mondo.

La sua passione per il recupero del patrimonio musicale e culturale lo ha reso una figura di riferimento, capace di combinare rigore accademico e creatività artistica. Tra i suoi progetti più ambiziosi, “Pergolesi in Olimpiade”, in cui ha integrato brani del compositore jesino con sue composizioni, adattandole alle esigenze vocali contemporanee.

Preoccupazione e affetto

Non è la prima volta che le condizioni di salute del maestro suscitano apprensione. Già una decina di anni fa, De Simone fu ricoverato per un ictus, superato brillantemente grazie alle cure ricevute presso il reparto di neurochirurgia del Cardarelli di Napoli. Oggi, come allora, il mondo dello spettacolo e della cultura segue con apprensione gli aggiornamenti sullo stato del maestro.

La sua figura resta un punto di riferimento imprescindibile per la cultura napoletana e italiana, e la speranza è che possa presto superare anche questa difficoltà.

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