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Cronache

Rogo in un campo nomadi, muoiono due fratellini

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Avvolti dalle fiamme mentre dormivano nel loro letto di fortuna. Cosi’ hanno perso la vita Christian, quattro anni, e il suo fratellino Birka, di appena due anni. Entrambi bulgari, vivevano con i giovani genitori in una baracca nel campo nomadi abusivo che si trova alla periferia di Stornara, nel Foggiano. Era la loro casa fino a quando l’incendio l’ha incenerita. Il rogo sarebbe partito da una stufa artigianale realizzata per far fronte alle basse temperature registrate nelle ultime ore nel Foggiano: una vecchia tanica al cui interno veniva bruciata la legna. Le fiamme si sono propagate in pochi minuti, alimentate dal forte vento. Birka e Christian sono stati sopresi nel sonno e non hanno avuto scampo anche perche’ erano soli in casa. “Il papa’ era al lavoro nei campi mentre la mamma si era allontanata momentaneamente”, racconta una donna rumena che vive da sei mesi nel campo. “Quando la mamma e’ tornata – dice – ha visto il fuoco”. Sono stati alcuni residenti nell’insediamento a dare l’allarme. Sono intervenuti i vigili del fuoco che hanno domato l’incendio e hanno scoperto i corpi delle due vittime carbonizzati. I genitori, appresa la notizia, sono stati colti da malore. E poi sono stati accompagnati alla caserma dei carabinieri di Cerignola (Foggia) per essere interrogati. Il campo rom di Stornara e’ l’ottavo insediamento spontaneo sorto nel Foggiano. Qui risiedono un migliaio di cittadini stranieri perlopiu’ bulgari e rumeni che trovano lavoro in agricoltura, nelle campagne circostanti. Vivono in condizioni precarie, circondati da cumuli di rifiuti, senza servizi igienici ne’ corrente elettrica. Da piu’ di cinque anni non viene effettuato un censimento del numero di persone che risiedono stabilmente. Gia’ nel 2018 il sindaco di Stornara Rocco Calamita aveva cercato di sgomberarlo. “Dopo qualche settimana le baracche sono state nuovamente realizzate e sono arrivate anche altre famiglie”, spiega il primo cittadino che chiede aiuto al Governo. “Ora – afferma – e’ necessario che la politica nazionale intervenga con fatti concreti e si trovi una soluzione per questi insediamenti spontanei”. E assicura che il Comune e’ pronto a “dare tutto l’aiuto di cui hanno bisogno i genitori” delle due piccole vittime. Per il sottosegretario all’Interno, Carlo Sibilia, non si puo’ che “richiamare ancora una volta l’attenzione sulla sicurezza, anche delle fragili comunita’, affinche’ un evento drammatico come questo non debba ripetersi”. La ministra per il Sud e la Coesione territoriale, Mara Carfagna, sottolinea che “le baraccopoli sono una vergogna nazionale da cancellare: sono interventi complessi – rileva – ma nessuno puo’ sottrarsi alla responsabilita’ di dare una vita decente ai bambini”. Per la viceministra alle Infrastrutture, la pugliese Teresa Bellanova, “la pieta’ non basta piu’: quei corpicini chiamano chiunque abbia responsabilita’ a fare, ad intervenire, a garantire sicurezza e vita degna. Non e’ molto diverso quel che e’ accaduto a Stornara da quanto continua ad accadere alle porte dell’Europa lungo la dorsale balcanica”. Con la morte dei due bimbi salgono a nove i decessi di migranti che risiedevano nei cosiddetti ‘ghetti’ nella provincia di Foggia e che hanno perso la vita a seguito di incendi scoppiati per cause accidentali: quattro di loro – tre uomini e una donna africani – sono morti in altrettanti roghi nell’insediamento di Borgo Mezzanone, dal novembre 2018 alla primavera 2020; altri due uomini maliani sono morti nell’incendio del 3 marzo 2017, durante l’evacuazione del ‘gran ghetto’ di Rignano. Mentre un uomo di nazionalita’ bulgara, a dicembre del 2016, ha perso la vita nel rogo che distrusse un campo nomadi nelle campagne di Foggia.

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Bill De Blasio a Napoli, con la pizza scudetto da Sorbillo

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Che Bill De Blasio fosse un appassionato di Napoli, del Napoli e della pizza lo si sapeva da tempo: da quando Aurelio De Laurentiis gli regalò una maglia della squadra con il suo nome e tutte le firme dei calciatori. Poi De Blasio, allora sindaco di New York, venne a Napoli a mangiare la pizza a “portafogli” da Gino Sorbillo. E da allora di testimonianze d’affetto per Napoli e i napoletani ne ha mostrate tante. Quando il Napoli ha conquistato dopo 33 anni l’agognato tricolore ha festeggiato a New York con la comunità napoletana e le immancabili pizze di Gino Sorbillo. Adesso è tornato a Napoli e la pizza ha anche uno scudetto tricolore: basilico, mozzarella e pomodoro: i colori dell’Italia.

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Morto Ferdinando Carretta, uccise genitori e fratello

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Il 4 agosto 1989 uccise a colpi di pistola i genitori, Giuseppe e Marta, 53 e 50 anni, e il fratello minore Nicola, ventitreenne, nella loro casa di Parma, ma riuscì per anni a tenere nascosta la strage. Tutti pensavano che la famiglia se ne fosse andata ai Caraibi, il ‘paradiso degli scomparsi’ (il padre aveva lavorato per trent’anni come contabile in una nota azienda vetraria ed era stata ipotizzata la sottrazione di presunti fondi neri per fare una ‘vita dorata’).

Solo nel novembre ’98, nove anni dopo, Ferdinando Carretta venne rintracciato a Londra, dove lavorava come pony express e dove fu scoperto da un ‘bobby’ durante un controllo dei documenti. All’inizio assicurò di non sapere nulla dei suoi genitori, poi confessò inaspettatamente davanti alle telecamere di ‘Chi l’ha visto?’ di aver sterminato i familiari, spiegando nel dettaglio gli omicidi, e raccontò di aver trasportato i cadaveri in una discarica alla periferia di Parma, a Viarolo, ma i corpi non vennero mai trovati e nemmeno l’arma usata per il triplice omicidio.

Carretta è morto a 61 anni a Forlì, dove ha trascorso nove anni in licenza-esperimento in una comunità, lavorando anche come impiegato in una cooperativa sociale – dopo averne scontati altri sette e mezzo nell’ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere (Mantova) – e dove aveva acquistato un appartamento con i soldi dell’eredità: dalle accuse era stato assolto nel febbraio ’99 perché ritenuto totalmente incapace di intendere e di volere all’epoca dei fatti, e nel maggio 2015 il magistrato di sorveglianza di Bologna aveva accolto, anche se con alcune prescrizioni, la richiesta di libertà avanzata dal suo legale, Cesare Menotto Zauli. Secondo il giudice la sua pericolosità sociale si era particolarmente attenuata.

“Certamente mi sono pentito di quello che ho fatto – spiegò Carretta in un’intervista -. Ho rovinato non solo la mia vita, ma quella dei miei genitori, di mio fratello e dei miei parenti. La gente non ha niente da temere nei miei confronti, perché quello a cui guardo io è di fare una vita tranquilla, di lavorare, fare una vita normalissima”. Nel dicembre 2010 riuscì a vendere la casa del massacro (un appartamento di 120 mq al primo piano di una palazzina in via Rimini) per circa 200.000 euro, dopo un accordo con le zie sulla spartizione dell’eredità.

“Ha scontato la sua pena, mi auguro solo che ora sia una persona serena ed equilibrata”, commentò la zia Paola Carretta, l’unica rimasta dopo la morte di Adriana e Carla Chezzi, sorelle della mamma di Ferdinando: “i corpi però’ non sono stati scoperti e non riesco a darmi una spiegazione logica”. I Carretta furono visti dai vicini per l’ultima volta quel 4 agosto di 34 anni fa: pochi giorni dopo Ferdinando cambiò in banca due assegni – del padre e del fratello, con firma apocrifa – per sei milioni. Nel febbraio precedente aveva invece acquistato una pistola 6,35. A novembre ’89 il camper della famiglia fu trovato parcheggiato a Milano, in via Aretusa, e sul posto si recò il pm di turno Antonio Di Pietro, che non credeva alla fuga e ordinò di cercare i corpi nelle discariche. Inutilmente.

Cominciò il balletto degli avvistamenti, prima in Puglia, poi in Algeria, quindi in luoghi esotici: Isla Margarita, Venezuela, Barbados, Aruba. Di elementi concreti, nessuna traccia. Nemmeno la prenotazione di un volo Londra-Barbados del 6 agosto ’89 per ‘G. e N. Carretta’ e ‘M.Ghezzi’: considerato un documento attendibile, fu poi dichiarato un falso. “In quell’estate dell’89 ero una persona completamente pazza”, disse Carretta nell’intervista-scoop tv. “Vorrei che questa cosa non fosse mai successa, quello che ho fatto non lo avrei mai dovuto fare. La gente deve giudicare, io accetterò sempre qualsiasi conseguenza”.

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Naufragio e strage di Cutro, ci sono indagati. Perquisite le sedi della Gdf e della Guardia Costiera

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Comincia a registrare i primi passi concreti l’inchiesta della procura di Crotone sul naufragio del barcone carico di migranti avvenuto nella notte tra il 25 ed il 26 febbraio scorsi davanti la spiaggia di Steccato di Cutro. Il naufragio ha provocato la morte accertata di 94 persone ed un numero imprecisato di dispersi. Il magistrato titolare dell’inchiesta, Pasquale Festa, ha disposto perquisizioni nelle sedi della Guardia di finanza e della Guardia costiera. Di quali sedi si tratti, esattamente, non è dato saperlo, visto il riserbo imposto sull’inchiesta dal procuratore della Repubblica, Giuseppe Capoccia.

Ciò che si sa con certezza, anche perché a confermarlo è stato lo stesso Capoccia, è che nell’inchiesta ci sono alcuni indagati, l’identità dei quali, almeno al momento, non si conosce. Il procuratore ha confermato la presenza di indagati, che poi dovrebbero essere gli operatori della Guardia di finanza e della Guardia costiera, ai quali è stato notificato il decreto di perquisizione. A notificare i decreti di perquisizione sono stati i carabinieri del Nucleo investigativo del Comando provinciale di Crotone. L’inchiesta mira ad accertare eventuali responsabilità per i presunti ritardi nei soccorsi al barcone che poi si spezzò, a causa delle forza del mare, a poche decine di metri dalla riva. Gli accertamenti in corso hanno anche lo scopo di verificare, in particolare, cosa non abbia funzionato, eventualmente, nel sistema che avrebbe dovuto garantire assistenza al barcone sul quale si trovavano i migranti, dopo l’avvistamento da parte di Frontex, e di ricostruire la filiera delle competenze di chi sarebbe dovuto intervenire per mettere in atto l’intervento di soccorso. “Più che delle vere e proprie perquisizioni – ha detto Capoccia – stiamo eseguendo dei riscontri puntuali su elementi che ritenevamo mancanti per completare l’indagine”.

Lo scopo dell’inchiesta è di accertare i motivi del mancato intervento in soccorso dei migranti e se sia stata rispettata la normativa che imponeva, comunque, un intervento, a prescindere dalle singole competenze e responsabilità. In questo senso, tra l’altro, in base a quanto stabilisce la legge, non si possono fare distinzioni tra operazioni di salvataggio e operazioni di polizia. La notte in cui fu avvistato il barcone il relativo intervento fu gestito come operazione di polizia e non fu dichiarato l’evento Sar, e cioè di ricerca e soccorso. In quell’occasione intervenne soltanto la Guardia di finanza, due unità navali della quale uscirono in mare senza però riuscire ad individuare l’imbarcazione. Dalla mezzanotte scorsa, intanto, sono ripresi gli sbarchi di migranti a Lampedusa. Se ne sono registrati in tutto dieci, con l’arrivo, complessivamente, di 355 persone.

Il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, in un colloquio telefonico col suo omologo austriaco Gerhard Karner, ha precisato la posizione del Governo italiano in merito al negoziato sul Patto europeo asilo e migrazione, in vista del Consiglio Giustizia e Affari interni previsto la prossima settimana a Lussemburgo: no al rilancio del meccanismo della relocation, “in considerazione del fallimento dell’accordo raggiunto dal precedente Governo lo scorso giugno, né di forme di compensazione economica, ritenute altrettanto fallimentari”. Priorità, invece, “ad iniziative finalizzate al blocco delle partenze e all’aumento dei rimpatri, attraverso il rafforzamento anche in ambito europeo dei rapporti di collaborazione bilaterale già intrapresi dall’Italia”.

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