L’appezzamento di terreno agricolo è piccolo e gode della vista sull’intero golfo di Napoli. Dentro c’è una piccola casetta colonica per conservare attrezzi agricoli. Tutt’intorno, a monte dell’area urbanizzata, è una distesa di terra fertile coltivata a vigneto (il Lacryma Christi), pomodorini del piennolo, pini marittimi, querce, ginestre, orchidee e altri meravigliosi fiori d’ogni colore che crescono tra pietre laviche grigiastre, terra nera come la pece e lapillo marrone vomitato nei secoli dalle viscere di una terra mai ferma. Siamo sul Vesuvio, l’area è quella che va da Boscoreale a Trecase, con stradine sterrate, sentieri e mulattiere che si inerpicano verso la sommità del cono del Vulcano. Isso, come lo chiamano a Napoli. Il quadro rassicurante del racconto di questa terra stride con la foto che vi pubblichiamo.
Un signore (per ora non importa il nome) ha affisso all’esterno del suo appezzamento di terreno un cartello che non abbisogna di spiegazioni: “Vendesi per i troppi furti… Terra senza pace. Esasperato, cedo” . I ladri l’hanno derubato d’ogni avere, spogliato d’ogni cosa che conservava nel suo appezzamento di terreno con vista sul golfo di Napoli. Quel cartello sulla “Terra senza pace” sembra una provocazione e forse lo è, ma lui, questo buon uomo che l’ha affisso per esasperazione, cerca davvero un modo per andarsene, perchè quella terra che è la sua radice, il suo Dna, la sua esistenza stessa, forse non gli appartiene più. Quella terra è veleno, lo avvelena. In quella terra non si sente più sicuro. A casa sua, nella sua terra, non si sente più a casa.
Antonio Carotenuto, si chiama così l’uomo che vuole vendere. È un insegnante ed è un’artista che lavora la pietra lavica, la intarsia, la leviga e ne ricava forme che sono opere d’arte che meriterebbero vetrine internazionali. Lui è felice di forgiare la pietra lavica perché come ogni artista un po’ folle non insegue il denaro ma la bellezza, non pensa al successo delle mostre ma a raggiungere una pace interiore. Quella pace che all’ombra del Vesuvio lui ha perso. Nel suo appezzamento di terreno, nel suo giardino che affaccia sulla strada che porta i turisti verso il cono del Vesuvio, i ladri entrano ed escono quando vogliono, razziano, sporcano, sfregiano, rubano e vanno via. La casetta colonica dove Antonio conservava attrezzi per curare la terra e opere d’arte è via via diventato negli anni un bunker che però i ladri-razziatori, complice la notte, riescono sempre ad espugnare. È successo anche l’altro giorno: hanno sfondato la porta blindata, sradicato la grata di ferro alla finestra, sfondato ogni cosa dentro la casa colonica, rubato attrezzi agricoli, strumenti per lavorare la pietra lavica. E prima di andarsene hanno defecato a terra. L’ultimo sfregio. Il cartello “vendesi” è frutto della esasperazioni per questa violenza inaudita che Antonio subisce da anni. Forse non vuole vendere per davvero la sua terra. Di sicuro Antonio Carotenuto, educatore, artista, persona sensibile, voleva mandare un messaggio ai suoi concittadini e ai ladri stessi che sporcano tanta bellezza con le loro scorrerie quotidiane.
Qual è il rischio che quest’uomo reiteratamente ha segnalato pubblicamente presentando più o meno regolarmente denunce ai carabinieri delle violenze che ha subito, delle angherie che subisce e delle spoliazioni che subirà ancora? Il rischio è l’abbandono del Vesuvio. Quel cartello che ha affisso non è l’unico. Ce ne sono altri di “vendesi”. Sono “anonimi” perchè chi vuole davvero vendere scrive anche un numero di telefono per essere contattato. Quei cartelli “vendesi” sono un pugno nello stomaco. Il rischio che l’area del Vesuvio sta correndo è devastante sotto il profilo sociale ed economico. Il Vesuvio, ecosistema complesso e delicato, è sopravvissuto a qualunque cataclisma naturale, anzi ne ha tratto addirittura giovamento per rigenerarsi con la lava, i terremoti, il magma che ha ingoiato ogni cosa lavandola prima col fuoco. Il Vesuvio però non può sopravvivere allo spopolamento di chi ne ha cura, amore come Antonio Carotenuto e centinaia di altri cittadini vesuviani come lui che la terra della lava la curano, ripuliscono e controllano che non venga quotidianamente sfregiata, depauperata e sporcata.
Antonio Carotenuto. Pittore e scultore della pietra lavica autore della provocazione
Queste persone normali andrebbero aiutate a vivere serenamente a casa loro. Carotenuto è questo che intende dire ogniqualvolta va nella caserma dei carabinieri a denunciare l’ultimo furto, sopruso, angheria nel piccolo appezzamento di terreno dove lui coltiva l’orto e forgia la pietra lavica dandole forme con apprezzare opere d’orte esposte ovunque in Italia, in Europa e negli States. Se Carotenuto vende quel pezzetto di terra per colpa dei ladri che l’hanno derubato di tutto più di dieci volte negli ultimi 5 anni, altri come lui se ne andranno e abbandoneranno il Vesuvio. Decine di contadini hanno abbandonato la terra che coltivano perchè non è più remunerativo farlo e perchè non ne possono più di sfregi, raccolti distrutti per cattiveria, incendi, furti di attrezzature agricole e altro ancora. I sindaci dell’area del Vesuvio possono fare tanto contro chi sta favorendo la fuga dal Vesuvio. Con la telesorveglianza attiva e i vigili urbani che pattugliano si possono scoraggiare ladri, pirati dell’ambienti ed avvelenatori dell’ecosistema di un apparato vulcanico attivo che non può più avere l’aspetto di un immondezzaio lungo le strade che salgono verso il cono. Il Vesuvio è uno straordinario attratto turistico e come tale deve essere immaginato, organizzato e difeso tenendo ladri e delinquenti vari lontani e messi in condizione di non nuocere.
Tempeste, uragani e nubifragi, inondazioni e siccità: sono i nuovi fenomeni con i quali ogni Paese del mondo deve fare i conti e per i quali sono urgenti previsioni sempre più precise, che permettano di attivare sistemi di allerta rapida. E’ questo il tema della Giornata mondiale della meteorologia indetta dalla Nazioni Unite per celebrare la nascita dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale (Wmo) che era avvenuta il 23 marzo 1950 Il futuro del clima è stato spesso fra i temi della Giornata Mondiale, ma questa volta c’è una vera e propria chiamata all’azione per colmare il divario che separa ancora i Paesi che hanno organizzato sistemi di allerta per aiutare a proteggere la popolazione e quelli che ne sono ancora privi. I progressi ci sono, tanto che nell’arco di nove anni sono raddoppiati nel mondo i Paesi che hanno realizzato sistemi di allerta rapida: dai 52 del 2015 ai 108 del 2024. “Adesso è il momento di agire”, scrive la Wmo sul suo sito.
“Colmando insieme il gap per le allerta precoci – aggiunge – possiamo creare un mondo più sicuro e resiliente”. Quanto i sistemi di allerta rapida siano importanti lo dimostra anche l’esperienza italiana, in particolare quella relativa ai recenti eventi in Toscana, ha detto Dino Zardi, professore di Fisica dell’atmosfera all’Università di Trento e vicepresidente dell’Associazione italiana di scienze dell’atmosfera e meteorologia (Aisam). “I fenomeni di grande scala – aggiunge – sono ben visualizzabili a livello meteorologico, ma non sempre è facile quantificare l’entità delle precipitazioni: ci sono valutazioni soggette a incertezze e che possono essere ridotte progressivamente grazie alla ricerca”. Il problema è, rileva, che “il cambiamento climatico ci sta portando in situazioni mai sperimentate prima, relative a regimi meteorologici mai esplorati: stiamo avanzando in un’area sconosciuta”.
In generale “emerge una forte sensibilità del mondo della cosmetica sul fronte della sostenibilità. Si lavora essenzialmente su tre fonti, il prodotto, le materie prime che lo compongono e il suo packaging”. Lo dice a Cosmoprof Worldwide Bologna, il prof. Michele Merola di Ergo srl (gruppo Tecno) spinoff della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, che ha curato con Cosmetica Italia il primo Osservatorio sulla Sostenibilità del settore cosmetico, con i risultati del report presentati a settembre. “Ci siamo basati su un questionario inviato alle imprese del settore, ha partecipato il 76% del campione di aziende che abbiamo selezionato. Una risposta altissima, che rappresenta oltre il 30% dell’intero fatturato del settore.
Per la seconda edizione ci allarghiamo anche alla filiera, quindi non solo le aziende che producono cosmetiche, ma anche quelle che producono il packaging, le materie prime e i macchinari, per avere una visione ancora più completa. Lanceremo il questionario subito dopo Cosmoprof: raccoglieremo i dati che saranno presentati a settembre all’interno della Milano Beauty Week”. Le aziende, stando ai dati del report, “lavorano su ridurre l’impatto durante il processo di produzione, quindi acqua e energia in particolare, e si lavora anche sulla organizzazione, la sostenibilità dell’impresa, pure in termini sociali”. Sicuramente “il tema più forte di questo periodo è il tema del packaging”.
Le aziende “stanno facendo moltissimo in questo senso, c’è stata anche molta ricerca e sviluppo. Fino a pochi anni fa non c’erano molte alternative. Invece ad oggi ci sono, dal riciclo all’eliminare il packaging secondario o terziario, mantenendo solo quello primario, che è quello ovviamente necessario a proteggere e trasportare il prodotto”. Lo conferma nel dibattito Zoe Tortini Corporate social responsibility manager di Cosmoproject, che produce skincare per conto terzi: “Prima certi cosmetici avevano anche la scatola della scatola… oggi dal mass market all’alta profumeria, la direzione è eliminare più strati possibile, Quest’anno ad esempio noi dismetteremo tutte le nostre celofanatrici secondarie, che utilizzavamo al di sopra della scatola ed è una scelta comune a molte altre aziende”.
Il cambiamento “in generale c’è, speriamo che il settore possa portarlo avanti abbastanza velocemente, ma non è molto semplice”. Anche “per questo – spiega Luca Nobili, Responsabile Comitato sostenibilità di Bottega verde – richiederemo precisi criteri di sostenibilità anche ai nostri fornitori”. Per Merola fra i campi in cui si può migliorare “c’è fare scelte che siano solide da un punto di vista scientifico. Non scegliere un packaging piuttosto che un altro per la moda del momento, ma utilizzando strumenti come l’impronta ambientale o altri di eco-design che ci permettano soluzioni con un minore impatto ambientale. E lo stesso vale sui prodotti. Dirigere le scelte verso quelli che hanno una materia prima che è certificata, sostenibile rispetto alla materia prima tradizionale”.
Fra le criticità, anche in questo settore c’è il greenwashing (pratica che consiste nel presentare un’azienda, un prodotto o un servizio come ecologico, etico o sostenibile, quando in realtà non lo è, ndr): “E’ un tema sicuramente centrale, su questo Cosmetica Italia sta lavorando tantissimo con le aziende proprio per diffondere le regole, perché nel frattempo anche a livello europeo le direttive sono cambiate e sono diventate ancora più stringenti. Ci sono state aziende condannate dalle autorità preposte subendo multe anche per quello che noi chiamiamo anche greenwashing inconsapevole, perché non sempre si agisce in malafede a volte non si sanno le regole. Il primo passo è la conoscenza, il secondo utilizzare criteri scientifici validi, poi vanno evitati i claim assoluti”. Ad esempio “non esiste l’impatto zero, non c’è un prodotto che non abbia impatto ambientale. Questo si può ridurre con una serie di scelte, ma non posso dire che il mio prodotto è a impatto zero”.
Almeno sette voli internazionali dall’isola turistica indonesiana di Bali sono stati cancellati – ha affermato un funzionario dell’aeroporto – dopo l’eruzione di un vulcano nella parte orientale dell’arcipelago che ha emesso una colonna di cenere alta otto chilometri che ha oscurato il cielo. Il monte Lewotobi Laki-Laki, un vulcano a due cime di 1.703 metri (5.587 piedi) sull’isola turistica di Flores, è entrato in eruzione per 11 minuti e nove secondi giovedì sera, hanno affermato le autorità, portando lo stato di allerta del vulcano al massimo livello.
Alle 9:45 (2:45 in Italia) di venerdì, “sette voli internazionali erano stati cancellati, sei dei quali voli Jetstar diretti in Australia e un volo Air Asia per Kuala Lumpur”, ha affermato in una dichiarazione il portavoce dell’aeroporto internazionale Ngurah Rai di Bali, Andadina Dyah. Diversi altri voli, sia nazionali che internazionali, tra cui quelli per Thailandia, Singapore e Australia, sono stati ritardati, ha affermato. L’aeroporto locale di Maumere, a Flores, il più vicino al vulcano, non è stato colpito dalla cenere, secondo il ministero dei Trasporti. Non ci sono state segnalazioni di danni ai villaggi vicini, ma il ministero ha avvertito i residenti del pericolo di una colata di fango vulcanico favorita dalle forti piogge. Le autorità hanno imposto una zona di esclusione tra sette e otto chilometri (da quattro a cinque miglia) attorno al vulcano. A novembre, il monte Lewotobi Laki-Laki è eruttato più volte, uccidendo nove persone, cancellando decine di voli internazionali per l’isola di Bali e costringendo migliaia di persone a evacuare.