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Quando Israele non reagì agli Scud di Saddam

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Anche nel 1991 Israele venne attaccato da missili. Quella volta ad aggredire lo Stato ebraico fu l’Iraq. E, su pressione degli Usa, per la prima e finora unica volta Tel Aviv decise di non reagire, come in tanti gli stanno chiedendo di fare anche in queste ore. Tutto accadde all’inizio della prima guerra del Golfo, quando nella notte tra il 16 e il 17 gennaio 1991 la coalizione iniziò il suo attacco, denominato operazione Desert Storm, per far ritirare gli iracheni dal Kuwait. Saddam rispose lanciando i suoi Scud su Haifa e Tel Aviv: una mossa dettata da ragioni strategiche più che ideologiche.

L’obiettivo era trascinare Israele in guerra in modo da allontanare gli altri Stati arabi dal conflitto. Sapeva perfettamente che se lo Stato ebraico fosse entrato in guerra, gli alleati arabi cooptati dagli Stati Uniti nella coalizione anti-irachena si sarebbero trovati in una situazione estremamente complicata, ritirando l’appoggio. Per questo motivo l’allora presidente americano, Bush padre, si adoperò molto affinché Israele affinché non reagisse agli Scud.

E per impedire che i missili di Saddam causassero una quantità di danni tale da scatenare la risposta israeliana, gli Stati Uniti schierarono rapidamente nel Paese alleato le batterie di difesa anti-missilistica, i famosi Patriot. In più dedicarono, secondo alcune stime, un terzo del loro sforzo bellico in Iraq alla ricerca e alla distruzione delle rampe di lancio di Saddam: compito non facile, considerando che gli Scud erano montati su rampe mobili sparse in tutto il deserto occidentale iracheno. Quando quel 17 gennaio 1991 i primi Scud vennero lanciati dall’Iraq sulla regione centrale di Israele, lo Stato ebraico era comunque pronto a reagire.

I jet delle forze aeree israeliane in effetti iniziarono a volare nei pressi del confine occidentale del Paese del Golfo, ma non lanciarono mai un attacco. Alcuni giorni dopo i primi Scud venne preparata una missione segreta di commando: truppe d’elite delle forze speciali israeliane vennero effettivamente caricate su elicotteri per un rapido intervento in Iraq, ma una telefonata dalle più alte sfere di Washington fermò gli apparecchi sulla pista.

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Nyt, ‘piano segreto Kiev contro Russia, Mosca avverte Pentagono’

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Il ministro della Difesa russo Andriy Belousov ha chiamato il capo del Pentagono Lloyd Austin all’inizio di questo mese per avvisarlo di una “operazione segreta” che l’Ucraina stava preparando contro la Russia: lo scrive il New York Times (Nyt), che cita tre funzionari statunitensi. Il 12 luglio Austin ha ricevuto una “richiesta insolita” da Belousov, commenta il giornale. Secondo le fonti, il ministro russo ha avvertito Washington dei preparativi di Kiev per un’operazione segreta contro la Russia, che credeva avesse il nullaosta degli americani. Belousov ha chiesto ad Austin se il Pentagono fosse a conoscenza dell’operazione, avvertendolo che essa avrebbe potuto portare ad un’escalation delle tensioni tra Mosca e Washington.

I funzionari del Pentagono sono rimasti sorpresi dalle affermazioni di Belousov e non erano a conoscenza dell’operazione, scrive il Nyt aggiungendo: “Ma qualsiasi cosa abbia rivelato Belousov… è stata presa abbastanza sul serio perché gli americani hanno contattato gli ucraini e hanno detto, in sostanza, ‘se state pensando di fare qualcosa del genere, non fatelo'”. Il giornale spiega che, nonostante la profonda dipendenza dell’Ucraina dagli Stati Uniti per il sostegno militare, di intelligence e diplomatico, i funzionari ucraini “non sono sempre trasparenti” con le loro controparti americane riguardo alle loro operazioni militari, in particolare quelle dirette contro obiettivi russi dietro le linee nemiche. I funzionari ucraini e il Cremlino si sono rifiutati di commentare l’indiscrezione e il ministero della Difesa russo non ha risposto a una richiesta di commento, riporta il giornale.

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Fonti, Modi potrebbe offrire mediazione per risolvere conflitto

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Il primo ministro indiano Narendra Modi potrebbe offrire la mediazione di New Delhi per porre fine al conflitto in Ucraina durante la sua visita a Kiev prevista per agosto: lo ha detto alla Tass una fonte del Parlamento indiano, riporta l’agenzia di stampa russa. “L’India potrebbe offrire la sua mediazione per risolvere la crisi ucraina. Tale proposta può essere avanzata durante la visita di Modi in Ucraina, con la possibilità che venga discussa al momento – ha detto la fonte -. L’India ha relazioni amichevoli di lunga data con la Russia e il primo ministro ha instaurato buoni rapporti con il presidente Vladimir Putin”. “Allo stesso tempo, l’India ha buone relazioni anche con l’Ucraina. Entrambe le parti hanno fiducia nell’India”, ha sottolineato. La fonte ha poi ricordato che “l’India ha ripetutamente dichiarato di essere pronta a contribuire alla risoluzione del conflitto. Tuttavia – ha osservato -, ciò è possibile solo con il consenso di entrambe le parti”.

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Gli Obama con Harris, ‘sarai una presidente fantastica’

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Last but not least: ultimo, ma non certo per importanza, a dare l’endorsement a Kamala Harris per la Casa Bianca è Barack Obama con la moglie Michelle. Un sostegno ben coreografato anche nei tempi. Quasi a serrare definitivamente le fila del partito dopo aver evitato un abbraccio immediato per apparire al di sopra delle parti e non oscurare né la nuova ribalta per Kamala né il sofferto addio di Joe Biden alla corsa. Nell’aria da giorni, l’endorsement è arrivato con un video che immortala la telefonata dell’ex coppia presidenziale alla Harris, sullo sfondo di un Suv nero. Una chiamata che evidenzia una amicizia lunga oltre 20 anni e un potenziale legame storico tra il primo presidente afroamericano e quella che potrebbe diventare la prima donna di colore alla Casa Bianca. Con uno slogan apparso tra i fan dei primi comizi che già li unisce: ‘Yes, we Kam’ (le iniziali di Kamala, ndr), un richiamo al vincente slogan obamiamo ‘Yes, we can’.

“Non posso fare questa telefonata senza dire alla mia ragazza, Kamala, che sono orgogliosa di te. Sarà storico”, ha esordito l’ex first lady. “Michelle e io non potremmo essere più orgogliosi di sostenerti e di fare tutto il possibile per farti vincere queste elezioni e arrivare allo Studio Ovale”, le ha fatto eco Barack, che poi su X si è detto sicuro che sarà “una fantastica presidente”. Kamala ha ringraziato, con malcelata sorpresa: “Oh mio Dio. Michelle, Barack, questo significa così tanto per me. Non vediamo l’ora di compiere questa impresa con voi due, Doug e io…”, ha affermato la vicepresidente Usa. “Ma più di tutto, voglio solo dirvi che le parole che avete detto e l’amicizia che ci avete dato in tutti questi anni significano più di quanto io possa esprimere, quindi grazie a entrambi… E ci divertiremo anche in questo, non è vero?” ha aggiunto. Gli Obama hanno diffuso anche una dichiarazione.

“Non potremmo essere più entusiasti ed eccitati di sostenere Kamala Harris come candidata democratica alla presidenza degli Stati Uniti. Siamo d’accordo con il presidente Biden: scegliere Kamala è stata una delle migliori decisioni che abbia mai preso. Ha il curriculum per dimostrarlo”, scrivono, ricordandone l’impegno come procuratrice generale in California, senatrice e vicepresidente. “Ma Kamala – sottolineano – ha più di un curriculum. Ha la visione, il carattere e la forza che questo momento critico richiede. Non abbiamo dubbi che abbia esattamente ciò che serve per vincere queste elezioni… In un momento in cui la posta in gioco non è mai stata così alta, ci dà a tutti motivo di sperare”. Quindi l’impegno a fare “tutto il possibile” per farla eleggere. Già si parla di comizi ed eventi insieme, capaci sicuramente di mobilitare grandi folle. Come quelle che Harris sta attirando sui social: il suo nuovo account su TikTok ha conquistato 100 mila follower in 30 minuti. Prosegue intanto il braccio di ferro sul duello tv tra lei e Trump.

Domenica il tycoon si era detto disponibile a mantenere il confronto del 10 settembre – concordato in precedenza con Biden – ma spostandolo dalla “fake” Abc a Fox News, l’emittente dei conservatori dove lui è di casa. Quindi martedì aveva ribadito di essere “assolutamente” pronto a dibattere con il probabile nominee dem, aggiungendo però di non aver concordato nulla, se non il duello con Biden. Giovedì l’ultima correzione di tiro: la sua campagna ha precisato che non ci sarà alcun dibattito finchè i dem non avranno nominato formalmente il candidato. “Che cosa è successo al ‘quando vuoi, dove vuoi’?”, lo ha provocato Kamala rinfacciandogli le parole che il tycoon aveva usato per sfidare Biden e accusandolo di fare marcia indietro. Probabilmente Trump sta cercando di minare la credibilità di Abc, sperando che la tv spinga il confronto a suo favore o come alibi nel caso Harris se la cavasse bene. Oppure, secondo altri, lui e il suo team hanno semplicemente paura della sua performance contro l’ex procuratrice che lo paragona a truffatori e predatori sessuali.

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