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Qatargate un anno dopo, l’inchiesta mai decollata

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Da un anno fermi al punto di partenza, o quasi. Un’indagine senza scadenze finita a sua volta sotto esame per i metodi della giustizia belga. Picchi di cronaca e interrogativi ancora senza risposta. Era la mattina del 9 dicembre 2022 quando i blitz della polizia di Bruxelles portarono all’arresto di diversi sospetti. Così il Qatargate divenne affare di tutti, non più soltanto degli 007 europei e internazionali e della magistratura belga. A finire sulle prime pagine dei quotidiani di mezzo mondo i volti dell’ex eurodeputato Pier Antonio Panzeri – poi pentito – accusato di essere l’anima della trama di corruzione orchestrata per favorire gli interessi di Qatar, Marocco e Mauritania, e il suo braccio destro Francesco Giorgi assieme alla compagna e allora vicepresidente del Parlamento europeo, Eva Kaili, tutti arrestati in flagrante con borse piene di contanti per un milione e mezzo di euro.

Per loro il pugno duro del giudice Michel Claise, con una detenzione preventiva durata mesi anche per il responsabile della ong ‘No Peace Without Justice’, Niccolò Figà-Talamanca, e per i due eurodeputati Andrea Cozzolino e Marc Tarabella tirati in ballo dall’ex collega e amico Panzeri. Poi le liberazioni in sequenza, l’addio per sospetto conflitto di interessi del magistrato e nessun nuovo colpo di scena nell’agorà politica. Deflagrata nel mezzo dei mondiali organizzati da Doha con le pesanti accuse di “corruzione, riciclaggio e partecipazione ad organizzazione criminale”, l’inchiesta sembrava puntare tutta verso la pista dell’intrigo internazionale. Con l’ombra, nelle parole della presidente dell’Eurocamera Roberta Metsola, della “democrazia europea sotto attacco”. Nei mesi però il perimetro dell’accusa non si è allargato. E oggi, a inchiesta ancora in corso, è l’operato degli inquirenti a essere finito sotto i raggi X di un maxi-riesame destinato a chiudersi a giugno. A partire dal ruolo svolto da servizi segreti e polizia che, stando alle carte visionate, avevano iniziato a indagare sui deputati già dal 2021 anche con incursioni in borghese all’Europarlamento.

Una violazione dell’immunità, ha denunciato Kaili, decisa a non essere sacrificata sull’altare come Ifigenia nel mito greco e a contestare “l’interferenza” delle intelligence e “l’arbitrarietà” degli investigatori. Rilievi davanti ai quali la procura del Belgio si difende riaffermando “l’indipendenza delle indagini, garantita dai controlli interni nel sistema giudiziario”. Ma al centro del fuoco incrociato di accuse vi sono anche le parole del reo confesso e gola profonda Panzeri, ritenute dai principali sospettati inattendibili perché estorte con pressioni per ottenere in cambio la liberazione della moglie e della figlia, a loro volta fermate in Italia, e una pena ridotta a un anno di detenzione esaurita poi dopo nove mesi tra carcere e domiciliari per buona condotta. Dubbi che si allargano anche all’imparzialità dell’agguerrito Claise. Dopo aver sostenuto la necessità di “puntare la pistola alle tempie” degli indagati per farli confessare, il giudice è stato costretto a fare un passo indietro all’emergere della vicinanza tra suo figlio e quello dell’eurodeputata belga Maria Arena, soci di un’azienda di cannabis legale. La socialista, sin dall’inizio presente nel fascicolo e più tardi gravata dal ritrovamento di 280mila euro cash a casa del figlio, non è mai stata interrogata.

E a far discutere è anche l’uso diffuso del carcere preventivo visto dalla procura come una misura “non punitiva”, ma “conservativa”. Anche se, è la constatazione, “per gli indagati non è facile conviverci”. Al punto da lasciare, nelle parole di Figà-Talamanca – trattenuto nella malandata prigione di Saint-Gilles per quasi due mesi prima di essere rilasciato senza condizioni -, “l’idea che lo Stato di diritto in Belgio non esista”. Un anno dopo quei giorni convulsi, segnati dal sospetto che il Qatargate fosse la punta dell’iceberg di una rete di corruzione ben più radicata, il dibattito sulla tutela delle guarentigie parlamentari riecheggia dal Palais de Justice di Bruxelles all’Eurocamera. Le istituzioni Ue, è il parere del legale di Cozzolino, Federico Conte, hanno “il dovere di recuperare la loro funzione e il loro prestigio, troppo presto sacrificati a fronte di uno scandalo giudiziario dai contorni ancora incerti se non opachi”. Nell’attesa che, oltre l’orizzonte delle Europee, l’intera inchiesta giunga al termine: con rinvii a giudizio o l’archiviazione.

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Intenzioni di voto degli italiani: Meloni stabile, M5s in risalita

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Il mese appena trascorso è stato caratterizzato da numerosi eventi di rilievo, sia a livello internazionale che nazionale, che hanno avuto un impatto sulle intenzioni di voto degli italiani. Tra gli eventi più significativi, il fallito attentato a Donald Trump negli Stati Uniti e la sostituzione della candidatura di Joe Biden con quella di Kamala Harris. Inoltre, l’elezione di Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione UE ha evidenziato una divisione nel centrodestra italiano, con Forza Italia a favore e Fratelli d’Italia e Lega contro.

La premier Giorgia Meloni ha assicurato che il ruolo dell’Italia in Europa non subirà contraccolpi, ma la divisione tra gli alleati è evidente. Il segretario di Forza Italia, Antonio Tajani, ha dichiarato che “l’Autonomia non è un dogma” e ha espresso preoccupazioni per le regioni del Sud. Ha inoltre sottolineato che il commercio estero deve rimanere una competenza nazionale, contrastando ulteriormente la posizione della Lega.

La questione dell’Autonomia differenziata, le riforme della giustizia e l’aggressione di militanti di CasaPound a un giornalista hanno suscitato ampie polemiche. Il presidente del Senato, La Russa, è stato criticato per le sue posizioni che sembravano giustificare l’aggressione.

Nonostante questi eventi, le ricadute sugli orientamenti di voto sono state limitate.

Di seguito, le intenzioni di voto per le Politiche:

  • Fratelli d’Italia (FdI): 27,9%
  • Partito Democratico (PD): 22,6%
  • Movimento 5 Stelle (M5S): 13,0%
  • Forza Italia (FI): 8,8%
  • Lega: 8,0%
  • Alleanza Verdi e Sinistra (Avs): 6,4%
  • +Europa: 1,6%
  • Italia Viva (Iv): 2,3%
  • Azione: 3,0%

La valutazione dell’esecutivo e della premier Meloni ha subito lievi cali. Il governo ha un indice di approvazione del 43%, un punto in meno rispetto al mese scorso, mentre Meloni ha un indice di 44, anch’esso in calo di un punto. L’indice di approvazione dei leader politici è rimasto sostanzialmente stabile, con l’eccezione di Antonio Tajani, il cui indice è sceso di due punti a causa delle recenti polemiche con Matteo Salvini.

La politica internazionale sembra influire poco sulle opinioni degli elettori italiani, con i cambiamenti nelle intenzioni di voto che rimangono minimi. Tuttavia, le dinamiche interne ai partiti e le divisioni nel centrodestra potrebbero avere implicazioni future sulla stabilità del governo e sulle alleanze politiche. ​

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Antonio Tajani: l’autonomia non è un dogma

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Negli ultimi tempi, si sono moltiplicati i segnali di un’offensiva all’interno di Forza Italia. Oggi, il segretario del partito, Antonio Tajani, ha chiarito la sua posizione affermando che “l’Autonomia non è un dogma”. Questa dichiarazione, resa durante un confronto in Consiglio dei ministri con Roberto Calderoli, padre della riforma, sembra rappresentare quella scossa che Pier Silvio Berlusconi aveva chiesto a Forza Italia, passando da un “partito di resistenza a uno più di sfida”.

Dopo numerose critiche mosse da alcuni membri di Forza Italia, in particolare dal governatore calabrese Roberto Occhiuto, al provvedimento bandiera della Lega, Tajani ha assunto una posizione più decisa rispetto al passato. Serrando i ranghi anche rispetto a una fronda interna, di cui la battaglia in nome del Sud condotta da Occhiuto è un esempio, Tajani ha affermato: “L’Autonomia differenziata non è un dogma di fede, è una riforma voluta dalla sinistra nel 2001 e spinta dalla Regione Emilia-Romagna: ora vigiliamo sull’applicazione. Vigilare non vuol dire mettersi di traverso ma fare le cose fatte bene”.

Tajani ha aperto alla posizione di Occhiuto, riconoscendo le preoccupazioni delle regioni del Sud: “La riforma deve essere a vantaggio di ogni cittadino italiano”. Ha chiarito che non mette in discussione “l’impegno preso da FI” con gli alleati, ma ha sottolineato che “serve un’ulteriore riflessione”. Tajani ha anche espresso preoccupazioni in quanto ministro degli Esteri, affermando che “il commercio estero deve restare competenza nazionale, le Regioni non possono sostituire lo Stato”.

Queste dichiarazioni segnano un cambio di ritmo per Forza Italia, il cui ruolo all’interno del governo appare ora più dialettico e di pungolo. Prima di Tajani, altri dirigenti del partito avevano preso le distanze dall’Autonomia. Licia Ronzulli, ad esempio, ha criticato il decreto sulle liste d’attesa appena convertito, definendolo “una misura tampone, ma insufficiente”.

Un altro fronte aperto è quello del decreto Carceri: il compromesso raggiunto dalla maggioranza ha sacrificato ben sette emendamenti forzisti su nove. La linea securitaria di Fratelli d’Italia e Lega, che nega anche la semilibertà per chi ha ancora quattro anni da scontare, ha prevalso. In commissione, i dirigenti forzisti hanno abbozzato: “Non si può ottenere tutto subito”, ha detto Maurizio Gasparri. Tuttavia, lunedì sarà illustrata l’iniziativa comune di FI con i Radicali per affrontare “la questione penitenziaria”.

Recentemente, fonti forziste hanno sbarrato la strada alla proposta della Lega di aumentare la raccolta pubblicitaria Rai per abbassare il canone, affermando che “non è nel programma”.

Le parole di Tajani arrivano mentre il consiglio dei ministri affronta il nodo dell’Autonomia con una informativa del ministro Roberto Calderoli. “Ad oggi sono state trasmesse al governo le richieste delle Regioni Veneto, Lombardia, Piemonte e Liguria”, ha riferito Calderoli. Tajani ha chiesto di visionare la relazione e Calderoli, in tono gelido, ha assicurato: “La invio a tutti”.

In conclusione, le dichiarazioni di Tajani rappresentano un tentativo di Forza Italia di ritagliarsi un ruolo più critico e costruttivo all’interno del governo, affrontando temi delicati come l’Autonomia differenziata e la questione penitenziaria, cercando al contempo di mantenere un equilibrio con gli alleati.

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Svolta sulle Autostrade, allo Stato parte dei pedaggi

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Una parte dei pedaggi autostradali andrà nelle casse dello Stato anziché in quelle delle società concessionarie. E’ con questa novità che si sblocca la partita delle concessioni, che aveva tenuto il stallo per qualche giorno il disegno di legge annuale sulla concorrenza. Il provvedimento, che spazia dalla proroga dei dehors alle sanzioni per taxi e Ncc abusivi, incassa così il via libera del consiglio dei ministri.

Che suggella anche un nuovo tassello della delega fiscale. Ottiene infatti il via libera definitivo l’undicesimo decreto attuativo, che contiene nuove scadenze per le dichiarazioni e qualche nuovo aggiustamento al concordato preventivo, il meccanismo con cui il governo conta di incassare risorse da usare per la manovra. In particolare, slitta dal 30 settembre al 31 ottobre la scadenza per l’invio delle dichiarazioni relative alle imposte sui redditi e all’Irap. Viene inoltre ampliato da 30 a 60 giorni il termine per il pagamento degli avvisi bonari ricevuti a seguito del controllo automatizzato e formale delle dichiarazioni.

Per favorire l’adesione al concordato, invece, arriva la flat tax incrementale sul maggior reddito concordato, con aliquote variabili dal 10 al 15% in base al punteggio Isa (che indica l’affidabilità fiscale). Vengono anche rivisti gli acconti, con una minore maggiorazione. Approvato anche il “superamento definitivo del redditometro”, annuncia il vicepremier Matteo Salvini, intestando alla Lega questa “grande vittoria”, che dà lo “stop al Grande Fratello fiscale”. Un risultato su cui cui rivendica il proprio merito anche Fi.

“Viene introdotta una nuova misura, che stanerà i grandi evasori”, spiega da FdI il capogruppo alla Camera Tommaso Foti ricordando l’impegno del partito di Giorgia Meloni per un “fisco amico”. Il viceministro dell’Economia, esponente di FdI e ‘regista’ della delega, Maurizio Leo, che un paio di mesi fa aveva firmato un decreto che lo reintroduceva, poi sospeso, non ne fa menzione nel suo commento: illustra le altre misure e parla di “passo significativo verso una maggiore efficienza e semplificazione del sistema fiscale”.

Nel ddl concorrenza, che è uno dei 69 obiettivi per ottenere la settima rata del Pnrr, la principale novità è la riforma delle concessioni autostradali: arriva – per quelle in scadenza dal 2025 – un nuovo modello tariffario, già sperimentato in 4 concessioni (Ativa, Satap A21, Salt e A10 Fiori), che distingue la tariffa in 3 componenti, di cui due di competenza del concessionario e una, il cosiddetto extragettito, destinata al concedente e i cui proventi saranno utilizzati per realizzare gli investimenti, senza incrementare i pedaggi.

Il nuovo modello prevede anche che le future concessioni non supereranno i 15 anni. “L’obiettivo è realizzare opere pubbliche e tenere sotto controllo i pedaggi”, spiega Salvini, che in cdm porta anche una delibera che dà mandato all’avvocatura per depositare il ricorso contro i divieti unilaterali di Vienna al Brennero. Tante le altre misure del ddl concorrenza, dalla portabilità delle scatole nere alle start up innovative, dalle sanzioni per fronteggiare l’abusivismo nel settore dei taxi e Ncc alle misure per contrastare la cosiddetta ‘shrinkflation’, la pratica che consiste nel ridurre la quantità di prodotto, mantenendo inalterato il confezionamento. Ci sono anche la portabilità delle scatole nere e la proroga (per un anno, in attesa delle norme di riordino del settore) dei dehors, che incassa il plauso delle sigle di categoria ma su cui i consumatori minacciano ricorsi. “Con il ddl – commenta il ministro delle Imprese Adolfo Urso – compiamo un altro significativo passo nella giusta direzione, a supporto delle imprese e a tutela dei consumatori”.

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