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Pulp fiction nel consolato saudita di Istanbul, giornalista del Washington Post squartato e fatto sparire perché nemico dei reali di Riad

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Ucciso e fatto a pezzi con una sega. Poi portato a bordo di alcuni Van chissà dove per liberarsi del cadavere orrendamente mutilato. Sembra una scena pensata da Quentin Tarantino in Pulp Fiction, ma forse è la fine che ha fatto Jamal Khashoggi, il giornalista saudita dissidente che viveva negli Usa, nel Maryland, all’interno del consolato saudita. A fare questo “lavoro” 15 agenti dei servizi segreti di Riad atterrati a Istanbul con due jet privati e ripartiti dopo aver concluso il lavoro. Le autorità turche hanno un video e i loro nomi. Uno di questi, “lo squartatore”, sarebbe uno specialista in autopsie. Jamal Khashoggi, il giornalista che scrive per il Washington Post – giornale sul quale denuncia i metodi di governo brutali del principe Mohammed bin Salman – ancora non si trova. Se fosse vera questa ricostruzione, se davvero ci sono i video degli uomini della sicurezza saudita filmati al loro arrivo a Istanbul, se è vero che tra loro ci sarebbero almeno tre membri della guardia privata d’élite del principe saudita nel commando, la questione sarebbe seria anche dal punto di vista diplomatico. La Turchia è inviperita, gli Usa vogliono una inchiesta seria e trasparente. Jamal Kashoggi era quasi diventato un cittadino Usa.  Donald Trump dice di aver parlato ai sauditi al massimo livello e aggiunge “non sono contento di questa situazione, è seria. Ci arriveremo in fondo: pretendo risposte”.

Jamal Khashoggi. È l’ingresso nel Consolato di Istanbul dal quale non è mai più uscito

Da Riad smentiscono ogni coinvolgimento, ma non hanno accettato l’intervento dell’Fbi nelle indagini. Il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman, indicato da fonti turche come il mandate diretto dell’assassinio o del rapimento, ha annunciato la disponibilità a consentire l’ingresso agli agenti turchi nel consolato di Istanbul, dove sarebbe avvenuto il delitto o il rapimento, ma fino a ieri non era ancora stato concesso. Il commentatore, oppositore della monarchia saudita, era a Istanbul per ritirare un certificato per sposare la fidanzata turca Hatice Cengiz, che lo attendeva fuori dalla sede consolare. “È entrato all’una di pomeriggio del 2 ottobre – ha detto la donna – e non è mai più uscito”. Fra Ankara e Riad la tensione è altissima. Nel video mostrato dai media turchi si vede Khashoggi entrare nel consolato mentre qualche ora dopo escono due furgoni neri e una Mercedes con targa diplomatica che si dirigono prima verso la residenza del console a meno di 500 metri e poi all’aeroporto. I due jet privati arrivati entrambi da Riad uno alle 3,30 del mattino, con 9 agenti speciali, e l’altro nel primo pomeriggio, con 6 agenti, ripartono prendendo due rotte diverse: verso il Cairo e Dubai. Per i media turchi vicini al governo di Ankara, il corpo in pezzi di Khashoggi potrebbe essere stato trasportato dal consolato alla residenza del console a Instanbul e fatto arrivare a Riad in qualche valigia o bara diplomatica. Il Governo saudita sostiene che il giornalista sarebbe uscito dal consolato con le proprie gambe. A tutti i dipendenti turchi del consolato saudita il 2 ottobre era stato ordinato di rimanere a casa e non presentarsi al lavoro. Risposte chiare sulla presenza del giornalista Kashoggi nel consolato arrivano dall’Apple Watch nero indossato quanto è dentro nel consolato: dal dispositivo, sincronizzato coi due smartphone lasciati alla fidanzata, si spera di trarre informazioni utili sui suoi movimenti. Si tratta di un giallo internazionale. Ma probabilmente di un’esecuzione barbara che, se accertata, rischia di incrinare anche i rapporti fra Trump e Riad.

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Rebus summit dopo il mandato d’arresto per lo zar

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 “Che fai, mi arresti?”. Il mandato di cattura spiccato dalla Corte Penale Internazionale (Cpi) ai danni di Vladimir Putin rischia di trasformarsi in un incubo diplomatico. Certo, tra i non aderenti allo Statuto di Roma – che regola il funzionamento e la giurisdizione della Corte – ci sono molti grandi del mondo. La Russia, ovviamente. Ma anche l’India, la Cina e gli Stati Uniti. Se si confronta però la lista dei firmatari ai vari format di dialogo multipolare nati da quando ha debuttato la Corte, ecco spuntare delle belle sorprese. Il primo a finire sulla graticola sarà il Sudafrica. Fa parte dei Brics – il club delle economie emergenti di fatto creato da un paper del 2001 di Goldman Sachs – e il prossimo agosto dovrà ospitare il summit annuale, a livello dei capi di Stato. In tempi di Covid la scappatoia sarebbe stata facile: Zoom e via. Ma ora che la pandemia è finita i vertici sono tornati in presenza. Il Sudafrica ha ratificato lo Statuto di Roma e, dunque, sarebbe chiamato ad eseguire l’arresto se lo zar dovesse mai decidere di sedersi al tavolo. Improbabile, ma chi lo sa. Oppure i colleghi gli faranno la cortesia di comparire in video (come del resto fa Volodymyr Zelensky, per motivi diametralmente opposti, dall’inizio della guerra). Un rompicapo, appunto. All’Aja spiegano che i mandati di arresto della Cpi sono “validi dal momento in cui vengono emessi”.

“Gli Stati firmatari dello Statuto di Roma hanno l’obbligo di cooperare con la Corte. In caso contrario la Corte può informare l’Assemblea degli Stati partner, che deciderà poi l’approccio migliore”, nota un portavoce. Nessuna sanzione automatica insomma. E non può che essere così. La strada poi di un appello al Consiglio di Sicurezza dell’Onu non è praticabile, dato che Mosca ha il veto. Come si diceva prima, però, neppure gli Usa hanno aderito alla Corte. Putin potrebbe quindi recarsi tranquillamente all’Assemblea Generale della Nazioni Unite, quando ci sarà la prossima plenaria, per una delle sue tirate contro “la fine del mondo unipolare”. Ma andiamo avanti. L’altro format di vero peso ormai è il G20. A Nuova Delhi, a settembre, lo zar potrà andare tranquillamente, se proprio vuole togliersi lo sfizio di vedere dal vivo la faccia degli altri 19 leader (a Bali, e non era ancora un latitante, sebbene imperiale, ci mandò comunque Lavrov). Già nel 2024 però si mette male: toccherà al Brasile e il Brasile sostiene l’Aja. Che farà Lula se Putin busserà al suo palazzo? Eppure la situazione più impossibile è quella del Tagikistan. L’ex repubblica sovietica è l’unico Paese dell’Asia Centrale, cortile di Mosca, ad aver ratificato lo Statuto di Roma. E fa parte di ogni singola associazione a trazione russa (o russo-cinese). S’inizia con il Trattato per la Sicurezza Collettiva e si passa dalla Comunità degli Stati Indipendenti: nel primo caso il summit del 2023 è previsto in Bielorussia, nel secondo in Kirghizistan. Non si sa cosa accadrà nel 2024 (una sola certezza: non toccherà al Tagikistan). Resta la Shanghai Cooperation Organization. Putin ha preso parte all’ultimo vertice, a Samarcanda, quando la presidenza toccava all’Uzbekistan. La regola vuole che si ruoti su base alfabetica (in cirillico) e per Dushanbe vale un vero e proprio colpo di fortuna: gli è toccata nel 2021, è a posto per altri otto anni.

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Xi a Putin: guidiamo insieme cambiamenti epocali

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Pochi secondi per saldare l’unione d’intenti sino-russa su “un nuovo ordine mondiale” in opposizione all’Occidente a guida Usa. E’ martedì sera, la cena di stato al Cremlino si è conclusa e il presidente Vladimir Putin accompagna l’illustre ospite Xi Jinping lungo la scalinata verso la sua auto. “In questo momento ci sono cambiamenti che non si vedevano da 100 anni”, dice il presidente cinese tramite un interprete. “Sono d’accordo”, annuisce Putin, ricambiando con una stretta di mano. “Per favore, abbi cura di te, mio ;;caro amico”, aggiunge Xi. “Fai buon viaggio”, lo saluta lo zar con un sorriso stampato in volto. Un ultimo scambio di cortesie tra i due leader, ripreso dalle telecamere, che ha proiettato nuove ombre sulla guerra in Ucraina e sui presunti piani di pace.

Questa mattina, mentre Xi si preparava a lasciare Mosca, la Russia ha lanciato un’ondata di missili e droni armati in Ucraina, provocando danni e morti. La Cina aveva definito la missione a Mosca come “un viaggio per la pace”, ma di fatto si è presentata proponendo una nuova visione mandarina per se stessa e per il suo ruolo nel mondo: Pechino e i suoi amici non sono più obbligati a conformarsi all’ordine globale – sfidando gli Stati Uniti mentre cercano di plasmare un mondo diviso tra democrazie e autocrazie -, fino a ignorare il mandato d’arresto della Corte penale internazionale a carico di Putin per crimini di guerra. “La crisi ucraina e il peggioramento dei legami tra Russia e Occidente non incidono sullo sviluppo dei legami tra Cina e Russia e questo è un messaggio chiave inviato al mondo”, ha osservato un editoriale del Global Times, il tabloid del Quotidiano del Popolo. Un concetto corretto da Alexander Gabuev, uno dei principali osservatori russi della Cina – ora in esilio – del Carnegie Endowment for International Peace: “La pace in Ucraina – ha scritto su Twitter – è una foglia di fico per la dimostrazione di potere di Xi. L’ottica di una Russia come partner minore, senza opzioni oltre alla Cina, è enormemente vantaggiosa per Pechino che ritiene di essere in un confronto a lungo termine con gli Stati Uniti”.

Del resto, al XX Congresso del Partito comunista di ottobre che gli ha affidato un inedito terzo mandato alla segreteria generale, Xi ha promesso di fare della Cina il primo Paese al mondo per “forza nazionale” e “influenza internazionale” entro il 2049, anno del centenario della fondazione della Repubblica popolare. A differenza di quanto accaduto tra Arabia Saudita e Iran, il leader cinese non è in condizioni di mediare in una guerra tra parti pronte a trovare l’intesa. Pechino non è un attore neutrale: si è astenuta o ha votato contro all’Onu sulla condanna dell’aggressione di Mosca e ha spesso usato la terminologia russa per descrivere il conflitto, condannando “il bullismo” americano e l’espansione della Nato verso Est. Il documento per la soluzione politica di pace cinese, composto di 12 punti, del resto non dice nulla sul ritiro russo dall’Ucraina occupata. Se Xi proponesse un cessate il fuoco, i russi potrebbero fingere entusiasmo, sapendo che Kiev non accetterebbe l’idea. E anche per l’imperatore rosso la mossa sarebbe utile per presentare la Cina come un pacificatore pragmatico, interessato soprattutto al commercio e alla prosperità condivisa. L’America, al contrario, è ritratta come un guerrafondaio ideologico che divide il mondo in amici e nemici, determinato a preservare la propria egemonia: una narrazione che aiuta Pechino a conquistare il Sud del Mondo a discapito proprio degli americani.

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Le granate anti-carro Charm 1 e Charm 3 con uranio

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Le armi perforanti contenenti uranio impoverito – bombe o granate per tank che siano – restano in dotazione a diversi Paesi del mondo, malgrado le polemiche sulla legalità del loro utilizzo in scenari di guerra passati: come ad esempio in ex Jugoslavia o in Iraq da parte delle forze Usa e alleate. Il Regno Unito, stando ad un recente rapporto pubblicato sul sito di un’organizzazione non governativa che si batte per il loro divieto definitivo (l’International Coalition to Ban Uranium Weapons, o Icbuw), ne ha almeno di due tipi nei propri arsenali attuali; e ha ripetutamente rivendicato per bocca dei governi che si sono succeduti negli ultimi anni il diritto a possederli e a farvi ricorso: evidenziandone l’efficacia e insistendo a minimizzarne l’impatto radioattivo come asseritamente trascurabile. I proiettili in questione sono denominati Charm 1 e Charm 3 e possono essere usati come munizioni per i cannoni da 120 millimetri montati su alcuni carri armati dell’esercito di Sua Maestà.

I Charm 1 risultano essere stati sviluppati a inizio anni ’90, mentre i Charm 3 sono in servizio dal 1999. Entrambi sono a disposizione dei Challenger 2, tank pesanti da combattimento di standard Nato che il governo di Rishi Sunak è stato il primo – in campo occidentale – a promettere all’Ucraina fra i più recenti aiuti bellici da mettere in campo contro la Russia: e di cui per ora è stato predisposto l’invio d’uno squadrone di 14 esemplari. Secondo le informazioni non ufficiali raccolte dall’Icbuw, Londra ha avviato nei mesi scorsi un programma di modernizzazione dei Challenger 2 e dei loro armamenti, destinato a dar vita a un nuovo modello, Challenger 3, che non dovrebbe essere dotato di vecchi proiettili Charm. Ma questo modello non è previsto sia operativo prima del 2030: con il prevedibile mantenimento almeno fino ad allora delle scorte di Charm 1 e Charm 3.

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