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Cronache

Morti, arresti e feriti per il rincaro della benzina arrivata a 1,48 euro in Francia. In Italia si paga anche 2 euro…

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La protesta dei gilet gialli scoppiata in oltre duemila località francesi con milioni di persone in piazza, decine di feriti, due morti e oltre 200 arresti sta mettendo a dura prova la tenuta del Governo francese. L’aumento della benzina di 20 centesimi, facendo salire il prezzo alla pompa a 1,55 euro di media, ha fatto scendere in piazza migliaia di persone, a volto scoperto. Da 4 giorni hanno deciso di bloccare strade e autostrade per opporsi alle politiche “anti-auto” decise dal governo di Parigi. Ieri il presidente Emmanuel Macron ha auspicato il “dialogo” per placare le tensioni e ha riconosciuto che è “normale che la popolazione possa esprimere frustrazione mentre si sta cercando di cambiare le abitudini” del Paese sui combustibili fossili. 

E ha, quindi, ribadito le sue promesse di sussidi per 5,8 milioni di famiglie a basso reddito per l’ acquisto di auto o per passare a metodi di riscaldamento più puliti grazie a un assegno di 200 euro all’ anno. Dichiarazioni che non hanno affatto stemperato gli animi dei manifestanti appartenenti alle classi medio-basse, abitanti di centri periferici o rurali mal collegati tra loro dal trasporto pubblico, che hanno bisogno dell’automobile privata per andare lavoro. Una fetta di popolazione che non si riconosce più nelle politiche di Macron e nella sua legge sulla transizione energetica che prevede un aumento delle imposte sui carburanti ogni anno fino al 2022. In particolare, al rincaro nell’ ultimo anno del prezzo del gasolio del 23% e di quello della benzina del 15%, da gennaio 2019 si aggiungeranno ulteriori imposte che faranno aumentare il prezzo del gasolio di 6,5 centesimi al litro e quello della benzina di 2,9. Misure che si aggiungono all’inasprimento delle revisioni obbligatorie, all’ introduzione di pedaggi all’ingresso delle principali città, all’abbassamento dei limiti di velocità sulle strade extraurbane da 90 a 80 km/h entrate già in vigore.


Insomma, tutti uniti per protestare contro il prezzo della benzina che è tra i più cari d’ Europa, ma comunque inferiore a quello italiano. Da agosto a novembre, secondo i dati di Global Petrol Prices, il prezzo medio per un litro di carburante in Francia è stato di 1,55 euro, contro una media mondiale di 1,41 euro. Sul versante italiano, invece, secondo l’ultima rilevazione del 12 novembre, la benzina costava 1,65 euro. E da agosto a oggi il picco è stato raggiunto il 22 ottobre, quando per un litro di verde si sono sborsati 1,67 euro al litro. Sulle isole, invece, dove vivono centinaia di migliaia di persone il prezzo del carburante dipende da fattori imponderabili. Che nessuno riesce a capire compiutamente. Dovrebbe essere un prezzo un po’ più alto per i costi del trasporto? Forse. Ma sulle isole oramai si è arrivati a cifre assurde. Sopra i due euro di media. Prezzi che nessuno, ovviamente, si è mai sognato di contestare anche perchè, in certi posti, vedi ad esempio l’isola di Ischia, non c’è concorrenza. Il prezzo lo fissa l’unica azienda che occupa di trasporto e commercializzazione del carburante. Dunque o prendi da quella azienda o vai sulla terraferma a fare il pieno. A incidere sul conto di un pieno in Italia, come è noto, sono le accise, un’ imposta fissa da 0,728 euro al litro sulla benzina e da 0,61740 sul gasolio.


Introdotte nel corso dei decenni per finanziare guerre ormai archiviate nei libri di storia, disastri o ricostruzioni post calamità naturali – se ne contano 20 dal 1935 al 2014 – le accise sono state riunificate dal decreto Dini del 1995, mentre la legge di Stabilità del 2013 le ha reso strutturali insieme al Fondo dello spettacolo, la crisi libica, le alluvioni di Liguria e Toscana, il decreto Salva Italia, il terremoto Emilia e l’ emergenza Abruzzo. Così, millesimi su millesimi, le accise sulla benzina nel 2017 hanno garantito introiti per le casse dello Stato per 26,7 miliardi, l’ 81% della fiscalità energetica. Per rendere l’ idea le accise valgono 14 volte e mezzo il canone Rai e, ad oggi, rappresentano circa il 60% di quanto paghiamo al distributore ogni volta che facciamo rifornimento, compresa l’ Iva al 22%. “Una forte incidenza che, anche se gli italiani non conoscono, alla fine è stata sempre subita senza particolari rimostranze, perché da sempre è così. I carburanti sono stati oggetto di rincari da parte di tutti i governi ai quali risulta complicato intervenire con tagli, che comporterebbero riduzioni di gettito difficilmente compensabili.
Anche nel contratto di governo gialloverde era stato previsto di “eliminare le componenti anacronistiche delle accise sulla benzina”, così come le ha chiamate Matteo Salvini ipotizzando prima uno sconto di 20 centesimi e poi auspicando un’ imminente diminuzione di 11,3 centesimi al litro, che si sarebbe tradotta in oltre 4 miliardi in meno di introiti per l’ erario, Iva esclusa. In realtà, nel testo della manovra licenziato dal governo e al vaglio del Parlamento, l’ ipotetica sforbiciata è scomparsa. Vedremo gli italiani in piazza chè pagano la benzina molto di più dei cugini francesi che stanno bloccando il Paese?

Che gli italiani non hanno intenzione di scendere in piazza e protestare come i francesi si è capito bene negli scorsi giorni quando il ministro dell’ Ambiente Costa ha ipotizzato l’abolizione del bollo dell’auto facendo pagare di più a chi inquina. Una sorta di tassa in base all’utilizzo della vettura, in una proporzione perfetta tra inquinamento prodotto e accisa al rifornimento. Proprio il punto che viene contestato a Macron. E se il taglio delle accise non c’è, dovrebbe essere scongiurato anche il rischio di un loro aumento nel 2019. Nella legge di Bilancio è stata infatti prevista la sterilizzazione dell’aumento delle tasse sui carburanti, perché con l’abolizione dell’aiuto alla crescita economica non servono più risorse per finanziarlo.

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Putin, liquidare il dominio Usa. Minsk chiede la tregua

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La “guerra ibrida” dell’Occidente rappresenta un pericolo “esistenziale” per la Russia, che pertanto si difenderà “con tutti i mezzi a disposizione”. Così il ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov ha descritto le nuove linee strategiche della politica estera di Mosca varate da Vladimir Putin. Parole che non possono non evocare lo spettro di una possibile guerra nucleare. Lo stesso pericolo è denunciato dal presidente bielorusso Alexander Lukashenko secondo il quale il pericolo di una escalation può essere scongiurato solo con una “tregua” immediata in Ucraina e l’avvio di “negoziati senza precondizioni”. L’appello lanciato dal più fedele alleato di Mosca in un discorso solenne al Parlamento e alla nazione bielorussi, possono far pensare che le sue parole siano state ispirate proprio da Putin. Subito dopo il Cremlino ha raffreddato gli entusiasmi, affermando che “per la Russia non cambia nulla e l’operazione militare speciale continua”.

Ma il portavoce, Dmitry Peskov, ha poi ammesso che “anche questa questione verrà affrontata” in colloqui in programma tra Putin e Lukashenko la prossima settimana. Durante l’incontro dovrebbero essere discusso anche il dossier del dispiegamento di armi nucleari tattiche russe in Bielorussia, annunciato dallo stesso Putin. Ma Minsk, ha avvertito Lukashenko, è disponibile “se necessario” a ricevere anche testate strategiche (quelle che possono raggiungere gli Usa) ed è pronta a farne uso se “c’è una minaccia di distruzione del Paese”. Facendo la tara ai proclami propagandistici, emerge però un Lukashenko realista: “Russia e Ucraina capiscono che non possono cercare una vittoria a tutti i costi”, ha ammesso. Perciò, ha annunciato, “mi assumo il rischio di proporre che le attività militari vengano sospese senza che le parti possano spostare equipaggiamenti militari e raggruppare le truppe”. Sull’altro fronte a rispondere è il consigliere presidenziale ucraino Mykhailo Podolyak, l’uomo al quale vengono normalmente affidate le dichiarazioni più intransigenti: “Qualsiasi cessate il fuoco significa il diritto della Russia di rimanere nei territori occupati, e questo è totalmente inammissibile”.

Kiev continua del resto a sostenere che la pace può essere raggiunta solo con il ritiro completo delle truppe di Mosca, anche dalla Crimea. Ma lancia al contempo qualche segnale di dialogo. Non è un mistero che a partire dai colloqui avuti dal presidente cinese Xi Jinping con Putin a Mosca la settimana scorsa, il presidente Volodymyr Zelensky chieda di poter parlare anch’egli con il leader di Pechino sui dettagli dell’iniziativa di pace cinese. Una richiesta che è stata ribadita a Xi oggi anche dal premier spagnolo Pedro Sanchez, in visita in Cina. Putin tira intanto diritto sui suoi obiettivi strategici, varando le linee guida della politica estera. La Russia lavorerà per “rafforzare la sua sovranità” e “creare un ordine mondiale più giusto e multipolare”, ha annunciato il presidente parlando in una riunione del Consiglio di sicurezza nazionale del documento di 42 pagine che sostituisce il precedente varato nel 2016.

Le priorità saranno dunque l’eliminazione delle “vestigia del dominio” degli Usa e dei suoi alleati, che secondo quanto si legge nel documento puntano ad “indebolire la Russia in ogni modo possibile”, e un rafforzamento dei legami con Cina e India. A creare nuove tensioni giunge intanto la denuncia del primo ministro ungherese Viktor Orban – il leader europeo più vicino alla Russia – secondo il quale i capi di governo dei Paesi Ue starebbero discutendo la possibilità di inviare truppe in Ucraina presentando l’iniziativa come una “missione di pace”. “Un’idea molto pericolosa”, ha risposto Peskov. Mentre con i suoi toni più coloriti l’ex presidente Dmitry Medvedev ha avvertito che i peacekeeper della Ue sarebbero visti da Mosca come nemici e quindi “distrutti senza pietà”. E poi ha chiesto se l’Europa sia pronta a ricevere “una lunga fila di bare dei suoi peacekeeper”. Intanto il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg ha detto che Helsinki si unirà formalmente all’Alleanza “nei prossimi giorni” dopo che anche la Turchia, ultimo dei 30 Paesi del Patto atlantico, ha approvato il suo ingresso. “Non vedo l’ora di alzare la bandiera della Finlandia al quartier generale della Nato”, ha affermato Stoltenberg, aggiungendo che “l’adesione renderà la Finlandia più sicura e la Nato più forte”.

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Papa Francesco vuole lasciare l’ospedale, oggi torna a casa

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Papa Francesco ha fretta di lasciare il Gemelli, dove da mercoledì pomeriggio si trova ricoverato per una “bronchite su base infettiva”. Oggi stesso tornerà a Casa Santa Marta, sua residenza in Vaticano, dove non intende neanche sottoporsi a qualche giorno di riposo, essendo stato già confermato che domenica mattina sarà in piazza San Pietro per la messa delle Palme, che apre i riti della Settimana Santa. L’improvviso accelerare degli eventi è dovuto, sì, al positivo decorso dell'”infezione respiratoria” di origine virale che ha colpito Bergoglio, al fatto che gli esami al Policlinico Universitario abbiano escluso problemi più gravi al cuore o ai polmoni, al suo netto e rapido miglioramento in virtù della “terapia antibiotica su base infusionale”.

Ma anche alla volontà del Papa di non far mancare la sua presenza alle liturgie della settimana che porta alla Pasqua, la più solenne dell’anno liturgico celebrando la morte e resurrezione di Cristo. “Il rientro a casa Santa Marta di Sua Santità è previsto nella giornata di oggi, all’esito dei risultati degli ultimi accertamenti di ieri mattina”, ha annunciato ieri, poco dopo mezzogiorno, il direttore della Sala stampa vaticana, Matteo Bruni. “La giornata di ieri è trascorsa bene, con un normale decorso clinico. Nella serata Papa Francesco ha cenato, mangiando la pizza, insieme a quanti lo assistono in questi giorni di degenza ospedaliera: con il Santo Padre erano presenti i medici, gli infermieri, gli assistenti ed il personale della Gendarmeria”, ha aggiunto, non senza una nota di ‘colore’. Dopo poco più di mezz’ora, è arrivato un ulteriore annuncio del portavoce della Santa Sede: “Posso confermare che, essendo prevista la sua uscita dall’ospedale nella giornata di oggi, è prevista la presenza di Papa Francesco in piazza San Pietro domenica per la celebrazione eucaristica della Domenica delle Palme, Passione del Signore”. E per chi avesse avuto ancora qualche dubbio sullo svolgimento della liturgia, la precisazione in separata sede: “chiarisco che se è presente, presiede”, ha detto Bruni. In ogni caso, domenica in Piazza San Pietro, il Papa che presiederà la messa sarà affiancato dal cardinale vice decano Leonardo Sandri per la processione delle Palme e per officiare i riti all’altare sul sagrato. Altri porporati celebranti coadiuveranno il Papa nei successivi riti pasquali.

Ma la giornata di Francesco al Gemelli, ieri, ha riservato un’altra sorpresa. Nel pomeriggio, infatti, un sorridente e rilassato Bergoglio, in talare bianca, si è recato in visita ai bambini ricoverati nel reparto di oncologia pediatrica nell’ospedale, portando loro dei rosari, delle uova di cioccolato e copie del libro “Nacque Gesù a Betlemme di Giudea”. Nel corso della visita, durata circa mezz’ora, il Papa ha impartito il sacramento del battesimo a un bambino, di nome Miguel Angel, di poche settimane. “E’ già cristiano. Vai in parrocchia e di’ che lo ha battezzato il Papa”: così Francesco si è rivolto alla mamma di Miguel Angel. Al termine ha fatto ritorno al reparto al decimo piano. La prossima sarà dunque la terza e ultima notte di questo ricovero del Pontefice al Gemelli, la seconda degenza dopo quella del luglio 2021 per l’operazione al colon. “Le prove e le fatiche della vita, vissute nella fede, contribuiscono a purificare il cuore, a renderlo più umile e quindi più disponibile ad aprirsi a Dio”, ha scritto ieri in un tweet. “Il Papa è di ottimo umore ed è persona che sa affrontare con molta serenità questi problemi fisici, ci è un po’ abituato ed è molto bello vedere la reazione del mondo con tantissimi messaggi di vicinanza e tanta preghiera. Il Papa affronta con grande serenità questi piccoli problemi che sono passati molto rapidamente”, ha detto padre Antonio Spadaro, direttore di Civiltà Cattolica, in video collegamento a Sky Tg24 Live In, in corso dal Maschio Angioino di Napoli. “La sua presenza sarà importante – ha aggiunto – in un momento così centrale, sacro per i credenti, ma la sua presenza e il suo messaggio ‘Urbi et Orbi’, che ci sarà a Pasqua, sarà un messaggio rivolto a tutto il mondo. Da quella loggia delle benedizioni di Piazza San Pietro, la figura del Papa che lancia un messaggio di speranza al mondo sarà ed è importante”.

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Setta delle bestie, in aula a Novara due delle vittime

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È durata da questa mattina fino al tardo pomeriggio, con diversi momenti di sospensione per la difficoltà emotiva vissuta da due delle testimoni, l’udienza a porte chiuse, in Corte d’Assise a Novara, del processo alla ‘psicosetta delle bestie’. Le due donne, entrambe lombarde, citate come vittime, avevano chiesto di essere parti civili nel procedimento, ma solo nei confronti del presunto capo della setta Gianni Maria Guidi, 79 anni, milanese, detto il ‘dottore’ per la sua laurea in farmacia, che due settimane fa, il 15 marzo è deceduto a Milano. La posizione dell’uomo, in merito al processo, era già stata stralciata. Una perizia medica aveva certificato l’impossibilità ad affrontare il dibattimento.

Dopo un recente un ictus, il suo stato di salute si era aggravato. Nei prossimi mesi una nuova perizia medica avrebbe dovuto verificare se vi erano le condizioni per affrontare il giudizio. La ‘psicosetta delle bestie’ è chiamata così dal fatto che gli adepti avevano nomi di animali. Nel luglio 2020 l’operazione ‘Dioniso’ della polizia, aveva portato alla sua scoperta. La setta aveva base operativa nella provincia di Novara, a Cerano, e diramazioni a Milano, in provincia di Pavia e in Liguria. Sono 26  le persone imputate. Le accuse sono associazione a delinquere finalizzata a commettere violenze sessuali aggravate e di gruppo, abusi, anche su minori, con riduzione in schiavitù delle vittime. Una terza teste di cui era prevista l’audizione è stata rinviata alla prossima udienza che si svolgerà mercoledì 12 aprile.

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