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Migranti, i successi di Macron che organizza un vertice a Parigi: spacca l’Europa, attacca Salvini e dunque lo rafforza e non risolve nulla

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Attacca il ministro dell’Interno Matteo Salvini, assente “ingiustificato” alla riunione informale di Parigi sui migranti e raccoglie l’adesione di 14 Stati Ue ad un “meccanismo di solidarietà” per ripartire le persone salvate in mare, con un’indicazione indigesta per il titolare del Viminale: lo sbarco deve avvenire nel porto più vicino. Il presidente francese Emmanuel Macron illustra la sua soluzione sul dossier migranti, aprendo ad un nuovo scontro con l’Italia. Una soluzione alla francese che non solo spacca l’Europa, ma che rafforza ancora di più la politica del ministro dell’INterno italiano che potrà così continuare a spingere sulle politiche migratorie di blocco dei porti per costringere l’Europa a condividere il dramma. Infatti, la replica di Salvini, sempre più forte grazie anche a Macron, non si fa attendere: la riunione “è stata un flop” e “noi non prendiamo ordini da Macron”. Le posizioni si erano gia’ cristallizzate al vertice dei ministri dell’Interno di Helsinki la settimana prossima; da una parte l’asse Parigi-Berlino con una bozza di documento che apriva alla redistribuzione tra i Paesi europei dei migranti soccorsi, fermo restando che questi ultimi devono sbarcare nel “porto piu’ vicino”: dall’altra Italia e Malta, fermamente contrarie al principio che le condannerebbe, nelle parole del ministro, “ad essere l’hotspot dell’Europa”. Con queste premesse Salvini ha cosi’ disertato l’appuntamento di oggi nella capitale francese, inviando una delegazione tecnica del Viminale con il preciso mandato di ‘affondare’ i tentativi di arrivare ad un documento condiviso. Alla fine Macron deplora gli esponenti politici assenti (“non si guadagna ma nulla non partecipando”) e porta a casa l’accordo di 14 Stati “volontari” pronti a ripartirsi in modo sistematico i migranti soccorsi in mare, senza dover avviare ogni volta complesse trattative dopo il salvataggio. Resta pero’ fermo, ha sottolineato il presidente, che “quando una nave lascia le acque della Libia e si trova in acque internazionali con rifugiati a bordo deve trovare rifugio nel porto piu’ vicino. E’ una necessita’ giuridica e pratica. Non si possono far correre rischi a donne e uomini in situazioni di vulnerabilita’”. Non ci sta ovviamente Salvini che spara ad alzo zero verso Parigi: la riunione francese, sostiene, “e’ stata un errore di forma e di sostanza. Nella forma, perche’ convocata con poco preavviso e in modo assolutamente irrituale visto che siamo nel semestre di presidenza finlandese. Nella sostanza, perchè ha ribadito che l’Italia dovrebbe continuare a essere il campo profughi dell’Europa”. Il vertice, aggiunge, “si e’ rivelato un flop ed e’ stato ampiamente disertato dai ministri europei. L’Italia ha rialzato la testa, non prende ordini e non fa la dama di compagnia: se Macron vuole discutere di immigrati venga pure a Roma”.

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Hamas restituirà i corpi dei piccoli Bibas giovedì

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L’accelerazione chiesta da Israele per la liberazione degli ultimi sei ostaggi vivi, dei 33 previsti nella prima fase dell’accordo, è stata accolta da Hamas. Che ha confermato anche la restituzione di quattro salme di rapiti per giovedì e altrettante la prossima settimana. Il capo negoziatore di Gaza Khalil al Hayya, in un discorso registrato trasmesso da al Quds news ha annunciato che nelle bare consegnate all’Idf ci saranno anche Shiri, Kfir e Ariel Bibas, la madre e i due bambini dai capelli rossi rapiti il 7 ottobre 2023 nel kibbutz di Nir Oz. Israele aspetta il risultato dell’esame del Dna prima di qualsiasi conferma. La tv pubblica Kan ha fatto sapere che i corpi saranno identificati entro 48 ore dalla consegna ad Abu Kabir.

Le autorità esortano alla cautela per rispetto al dolore dei parenti. Ma la famiglia Bibas, pur non avendo ricevuto aggiornamenti ufficiali, ha voluto chiarire che la notizia, trasmessa da media e social palestinesi, non ha mancato di raggiungere anche loro, con quel che ne consegue. Sul fronte diplomatico, Benyamin Netanyahu ha ottenuto un risultato riducendo a una, anziché due, le liberazioni-show in cui si sono prodotti Hamas e la Jihad islamica palestinese da settimane. In cambio consentirà l’ingresso a Gaza di centinaia di roulotte per gli sfollati e i mezzi pesanti per spostare le macerie che ricoprono la Striscia e le strade di collegamento. Oltre alla liberazione di ulteriori 47 detenuti palestinesi, che si aggiungeranno agli oltre mille già tornati in libertà nelle scorse settimane. Da quando il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha chiesto che tutti gli ostaggi israeliani fossero liberati entro sabato scorso, scadenza trascorsa con il ritorno in patria di soli tre, Israele ha esercitato un forte pressing sui Paesi mediatori affinché almeno gli ultimi sei della prima fase siano rilasciati tutti insieme il 22 febbraio.

Avera Mengistu e Hisham al-Sayed saranno rilasciati dopo più di dieci anni in cattività a Gaza, gli altri dopo 505 giorni di prigionia: Omer Wenkert, Omer Shem Tov, Eliya Cohen, Tal Shoham. Secondo fonti di Axios, anche Hamas avrebbe spinto per concludere prima del 42mo giorno, temendo – così come Gerusalemme – che il piano potesse saltare prima di essere portato a termine. Nel mentre, non si è fatta attendere la reazione gli ayatollah dopo che Benyamin Netanyahu, durante la dichiarazione congiunta con il segretario di Stato Usa Marco Rubio di domenica, ha avvisato Teheran che “il lavoro sarà portato a termine”. Riferendosi all’attacco dei mesi scorsi in Iran in risposta alle centinaia di missili lanciati dai pasdaran in ottobre su Isrele. Il numero due dei guardiani della rivoluzione Ali Fadavi martedì ha minacciato una terza ondata di attacchi missilistici contro Israele “al momento opportuno”. Il ministro degli Esteri Gideon Sa’ar, nel frattempo ha superato le speculazioni degli ultimi giorni spiegando in un briefing con la stampa che nei prossimi giorni prenderanno il via i negoziati sulla seconda fase dell’accordo con Hamas, che comprenderà lo scambio dei restati ostaggi israeliani, tra cui 19 militari (in vita secondo l’inviato Usa Steve Witkoff) con altri detenuti palestinesi. Secondo le stime, altri 24 ostaggi ancora in vita saranno rilasciati.

Il ministro degli Esteri è stato poi categorico sul futuro del governo di Gaza: “Chiediamo la smilitarizzazione totale della Striscia. Non accetteremo alcuno scenario in cui i gruppi terroristici armati restino nell’enclave”, ha detto, aggiungendo poi che “Israele non appoggerà un piano che preveda il trasferimento del controllo civile di Gaza da Hamas all’Anp”. Sa’ar inoltre ha confermato che l’Idf “temporaneamente” resterà in cinque località strategiche del sud del Libano per proteggere da nuove fiammate le comunità settentrionali israeliane. Presenza condannata da Beirut che parla di ‘occupazione’, ma anche dall’Onu secondo cui “qualsiasi ritardo nel ritiro di Israele” sarebbe una “violazione della risoluzione 1701” del Consiglio di Sicurezza.

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‘Elezioni a Kiev’,giallo sul piano di pace in 3 fasi

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Un piano di pace in tre fasi con al centro nuove elezioni in Ucraina, che darebbero poche chance a Volodymyr Zelensky di essere rieletto. Le indiscrezioni di Fox sulla presunta iniziativa di Stati Uniti e Russia non trovano conferma, e alimentano il giallo sui contenuti reali del confronto fra Washington e Mosca per mettere fine alla guerra ucraina.

“Non ho informazioni al riguardo”, ha risposto seccamente il ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov, riferendo che i funzionari americani hanno definito “falsi” i rumors sul piano riportato dal network che fa capo a Rupert Murdoch ed è vicino a Donald Trump. Anche fonti americane hanno ridimensionato i toni: l’idea di nuove elezioni a Kiev è stata solo “ventilata”, hanno ammesso da Fox senza escludere che l’ipotesi possa essere oggetto di discussione in futuro, “ma non oggi”.

L’ipotesi di un nuovo voto (da tenersi dopo un cessate il fuoco ma prima di un accordo finale) sembra andare nella direzione più volte chiesta da Mosca che, in diverse occasioni, ha ribadito di poter trattare solo con leader legittimi in Ucraina, anche con lo stesso Zelensky, a patto però che venga rieletto. Il mandato dell’attuale presidente è scaduto nel maggio del 2024 ma lui resta in carica a causa della guerra e della legge marziale che impediscono le urne. Vladimir Putin, secondo fonti ucraine, ritiene che ci siano buone possibilità di eleggere a Kiev un “presidente fantoccio ed è convinto che qualsiasi altro candidato sarebbe più flessibile” di Zelensky e “pronto a trattare e fare concessioni. Dall’altra parte, Trump è pronto ad accettare ogni risultato”.

L’obiettivo del presidente americano è infatti mettere fine alla guerra e farlo in tempi rapidi, senza danni per gli Stati Uniti. Si inserisce in questo quadro l’accordo allo studio per consentire agli Usa di accedere alle terre rare ucraine. L’intesa è ritenuta dalla Casa Bianca un tassello essenziale per continuare a fornire aiuti a Kiev. Sul lato imprenditoriale del presidente americano avrebbe cercato di far leva anche la delegazione russa a Riad. Kirill Dmitriev – fedelissimo di Putin che ha studiato ad Harvard ed è conosciuto come un ‘dealmaker’, così come Trump spesso si definisce – ha infatti illustrato allo staff del tycoon i potenziali guadagni miliardari che i colossi petroliferi americani potrebbero realizzare se tornassero a fare affari in Russia. L’ipotesi di costringere Kiev al voto è criticata da alcuni repubblicani.

“Putin chiede un nuovo voto in Ucraina, condotto con modalità che gli consentano di influenzarlo e raggiungere gli obiettivi che non è riuscito a conquistare militarmente”, ha scritto su X il deputato conservatore Brian Fitzpatrick, sottolineando che il leader del Cremlino ha “zero credibilità” e che “gli Stati Uniti e l’Europa non si piegheranno alle sue ridicole richieste”. Proprio il Vecchio Continente per ora resta alla finestra: esclusa dalle trattative in Arabia Saudita insieme all’Ucraina, deve accontentarsi di quella “shuttle diplomacy” lanciata da Henry Kissinger e fatta sua dall’inviato speciale di Trump per l’Ucraina e la Russia, Keith Kellogg. Mentre sul piano americano-russo resta il giallo e molti si preparano a un susseguirsi di indiscrezioni con l’intensificarsi delle trattative, l’ex direttore dello speechwriting della Casa Bianca William McGurn mette in guardia Trump, avvertendolo che l’Ucraina potrebbe essere il suo Vietnam. “Ci sono – afferma – dei parallelismi fra il colloquio fra Usa e Russia a Riad con l’esclusione dell’Ucraina e le trattative segrete fra gli Usa e il Vietnam del Nord alle spalle” del presidente del Vietnam del Sud Nguyen Van Thieu. Le trattative portarono allora agli accordi di pace di Parigi del 1973, valsero a Kissinger il premio Nobel, ma alla fine Saigon capitolò.

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Patto Usa-Russia sull’Ucraina, Lavrov attacca Zelensky

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E’ un nuovo patto, una sorta di reset quello stabilito nei colloqui Usa-Russia a Riad, i primi dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina dopo anni di gelo. Basta leggere le condizioni concordate – secondo il dipartimento di Stato americano – dalle due delegazioni, entrambe soddisfatte dell’esito: “Nominare i rispettivi team di alto livello per iniziare a lavorare su un percorso per porre fine al conflitto in Ucraina al più presto in un modo che sia durevole, sostenibile e accettabile da tutte le parti”, ma anche “normalizzare” le relazioni diplomatiche e “gettare le basi per una futura cooperazione tra i due Paesi su questioni di reciproco interesse geopolitico e sulle storiche opportunità economiche e di investimento” dopo la conclusione della guerra.

Quindi “pace” in Ucraina ma anche affari tra Washington e Mosca e intesa sugli equilibri di potere nel mondo. Un vertice criticato da Volodymyr Zelensky, che ha lamentato l’esclusione di Kiev e chiesto “colloqui equi” anche con Ue, Regno Unito e Turchia durante l’incontro ad Ankara con Recep Tayyip Erdogan – candidatosi ad ospitare i futuri negoziati di pace – prima di rinviare al 10 marzo la visita a Riad per evitare coincidenze sospette. Intanto Emmanuel Macron – secondo la Reuters – ha in programma di ospitare domani un secondo incontro per discutere di Ucraina e sicurezza europea, probabilmente in videocollegamento, estendendo l’invito ai Paesi europei che non erano presenti ai colloqui di lunedì e al Canada, alleato della Nato.

“Tutte le parti devono fare concessioni”, ha detto il segretario di Stato Marco Rubio dopo quello che ha definito un “pre-negoziato”, quattro ore e mezzo di faccia a faccia in uno dei palazzi della famiglia reale saudita, Diriyah, nel complesso di Albasatin. Alla destra dei mediatori arabi – il ministro degli Esteri saudita, il principe Faisal bin Farhan Al Saud, e il consigliere per la sicurezza nazionale saudita Mosaad bin Mohammad Al-Aiban – Rubio, il consigliere per la Sicurezza nazionale Mike Waltz e l’inviato per il Medio Oriente Steve Witkoff. Alla sinistra il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov e il consigliere diplomatico del Cremlino Iuri Ushakov. Nessuna stretta di mano iniziale, almeno davanti a fotografi e cameramen. Presente, ma ad altri incontri a margine, anche Kirill Dmitriev, l’oligarca consigliere informale del Cremlino con studi in Usa, un passato a Goldman Sachs e McKinsey ed ora ceo del fondo di investimento sovrano russo. Esclusi, almeno per ora, Zelensky e il vecchio continente, sebbene Rubio abbia assicurato che “anche l’Europa dovrà sedersi al tavolo dei negoziati”, se non altro perché “ha imposto sanzioni a Mosca”. Poco dopo l’incontro il capo della diplomazia Usa ha avuto una conferenza telefonica per un primo confronto con i ministri degli Esteri del Quint: Antonio Tajani e i colleghi di Francia, Germania e Regno Unito più la rappresentante Ue Kaja Kallas.

Il Cremlino, dal canto suo, ha ribadito che Vladimir Putin è pronto a negoziati con Zelensky “se necessario”, risollevando però il problema della sua legittimità, dato che è rimasto in carica dopo la scadenza nel maggio 2024 grazie alla legge marziale. Tant’è che uno dei punti fissi dei vari presunti piani di pace trapelati finora evoca nuove elezioni in Ucraina. Per ora sembra Mosca a dettare le condizioni. Prima dell’incontro a Riad, il Cremlino aveva messo in chiaro che una “soluzione a lungo termine” del conflitto è “impossibile senza un esame completo delle questioni di sicurezza nel continente” europeo. Il riferimento, in particolare, è all’espansione della Nato verso est e all’impegno preso nel 2008 a far entrare Ucraina e Georgia, pur senza fissare una data. Il giorno prima Lavrov aveva escluso qualsiasi cessione territoriale, mentre oggi ha insistito sul fatto che per Mosca “è inaccettabile” lo schieramento in Ucraina di forze di Paesi Nato in operazioni di peacekeeping. Dopo il vertice, il capo della diplomazia russa ha riferito che gli americani hanno iniziato a “comprendere meglio” la posizione di Mosca e che russi e americani non solo si sono “ascoltati” a vicenda, ma si sono anche “compresi”.

Strigliata invece a Zelensky, che dovrebbe essere fatto “ragionare e ricevere una bacchettata sulle mani”. Unica concessione del Cremlino la possibilità che Kiev entri nella Ue: “Questo è un diritto sovrano di qualsiasi Paese. Stiamo parlando di processi di integrazione economica. Qui, ovviamente, nessuno può dettare nulla a un altro Paese, e noi non lo faremo”, ha assicurato il portavoce Dmitri Peskov. Nel frattempo, a Riad americani e russi hanno concordato di “stabilire un meccanismo di consultazione per affrontare gli elementi irritanti per le nostre relazioni bilaterali con l’obiettivo di adottare le misure necessarie per normalizzare il funzionamento delle nostre rispettive missioni diplomatiche”. Tra i primi frutti la liberazione dei prigionieri americani: l’ultimo, ieri, il 28enne Kalob Byers Wayne, arrestato per una piccola quantità di marijuana.

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