Le risorse sono poche, tanto che i ministeri dovranno tirare la cinghia per 2,5 miliardi in tre anni. E tempo da perdere ce n’è ancora meno. Con questo imperativo Giorgia Meloni chiude l’intesa con gli alleati sulla manovra che arriva in Parlamento, con pochi ritocchi rispetto alle intenzioni inziali ma qualche sorpresa come l’Iva sui pannolini che non andrà più al 22% come in tutte le bozze circolate nelle due settimane trascorse dal varo della legge di Bilancio. Ma al 10% come la tampon tax e gli altri prodotti per l’infanzia. Limature, piccole modifiche che però placano, almeno per il momento, Lega e Forza Italia che possono rivendicare il mantenimento di quota 103, sorvolando sulle forti penalizzazioni, e le precisazioni sulla cedolare per gli affitti brevi.
Che comunque aumenta al 26% dalla seconda casa in poi ma sarà accompagnata da un codice anti-sommerso che consentirebbe, nei primi calcoli, di portare fino a un miliardo in più al taglio delle tasse. Le dichiarazioni bellicose della vigilia, al vertice a Palazzo Chigi cedono alla realpolitik: il debito italiano è sotto la lente delle agenzie di rating, i venti di guerra, su due fronti, non lasciano troppo spazio all’ottimismo. Bisogna rimanere coi piedi per terra, pensare che l’orizzonte è quello della legislatura ed evitare sbavature che minino quella immagine di “compattezza e determinazione” indispensabili in una fase così delicata. Il vertice dura un’ora. Quasi più di quanto è servito al Cdm per approvare la manovra.
Ma Meloni vuole essere sicura che non ci saranno altri distinguo prima di inviare in nottata – dopo la bollinatura della Ragioneria e l’autorizzazione di Sergio Mattarella – il testo al Senato, dove la manovra inizierà il suo iter parlamentare. Confermate le principali misure, dal taglio del cuneo (non sulla tredicesima) alla decontribuzioni per le mamme lavoratrici con due o tre figli, ai fondi per il Ponte sullo Stretto. Non cambia di molto la stretta sulle pensioni, così come gli interventi sulla casa. Concede poco, la premier, e ottiene in cambio la rassicurazione che la maggioranza non presenterà emendamenti (e non alimenterà altre polemiche). Un unicum, negli anni più recenti. Fatta eccezione per l’ultima manovra del governo Berlusconi, nel 2011. Se ci saranno da fare altri aggiustamenti, è il ragionamento che si fa al tavolo, si cercherà di trovare spazio in altri provvedimenti.
Lo stesso codice anti-evasione per fare emergere chi affitta in nero le case per pochi giorni ai turisti andrà nel decreto Anticipi collegato alla manovra. Bisogna evitare il classico assalto alla diligenza, che comunque non avrebbe molte chance visto che a disposizione, per le modifiche, ci saranno solo 100 milioni per il 2024 e altrettanti per il 2025. Magari serviranno per rivedere l’Iva sui pannolini, che ora passano al 22%. O per assicurare alla Rai finanziamenti sufficienti a evitare di fare troppa concorrenza a Mediaset sul mercato pubblicitario.
Non si è parlato del tetto agli spot, assicura Maurizio Lupi, ma c’è l’intenzione del governo di farsi carico della questione, per sostenere il piano industriale e consentire alla tv di Stato di continuare a esercitare il suo ruolo di servizio pubblico. Ora la parola passerà comunque al Parlamento, dove le opposizioni annunciano battaglia, stigmatizzando il “bullismo” istituzionale dello stop agli emendamenti imposto alla maggioranza (copyright dell’ex presidente della Camera Roberto Fico). Il Pd denuncia che si tratti di un “bavaglio che altera l’equilibrio tra poteri” e nel frattempo comincia un ciclo di contro audizioni alle quali dovrebbe partecipare anche la segretaria Elly Schlein. Italia Viva rilancia la disponibilità delle opposizioni ad “ospitare” le richieste della maggioranza.
E sarà da vedere se non ci saranno proposte, dalle tasse ai bonus, che metteranno in difficoltà partiti che sostengono il governo. Il governo, in ogni caso, potrebbe presentare un mini-pacchetto di modifiche, facendosi carico delle istanze di maggioranza e opposizione. Per ora comunque, non solo Fdi ma anche Lega e Forza Italia assicurano di essere pronti a rispettare l’ordine di scuderia, professandosi tutti “soddisfatti”, a partire da Antonio Tajani, di quanto ottenuto in queste due settimane di trattative. Ma c’è chi osserva nella maggioranza, sotto garanzia di anonimato, che ancora una volta, alla fine ha “vinto l’asse Palazzo Chigi-Mef”.