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Cronache

Medico uccide moglie e due figli e si toglie la vita

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Strage familiare in una villetta alla periferia dell’Aquila, nella frazione di Tempera. Carlo Vicentini, 70 anni, medico urologo di estrazione universitaria molto noto e stimato e da circa un mese in pensione, ha sterminato la sua famiglia: con una pistola regolarmente denunciata ha ucciso la moglie, Carla Pasqua, di 63 anni, un’ex funzionaria amministrativa della Asl dell’Aquila, la figlia Alessandra, di 36, nutrizionista nel reparto di oncologia dell’ospedale di Teramo, e il figlio Massimo di 43 anni, disabile dalla nascita, attaccato ad un respiratore e in condizioni gravissime. Poi ha puntato l’arma contro se stesso e si è suicidato. Secondo chi lo conosceva bene proprio la gravità delle condizioni del figlio e la paura di non saper gestire la sua fine, insieme al fatto che il pensionamento è stato vissuto da Vicentini come la perdita del lavoro, avrebbero portato il settantenne, un medico di lunga data e a detta di molti con straordinarie capacità e persona sensibile, in uno stato di depressione tale da fargli decidere di cancellare ogni sofferenza per lui ed i suoi cari.

Una tragedia comunque assurda e inspiegabile che ha gettato nella sconforto e nella disperazione una intera comunità e sopratutto familiari, amici e colleghi del professore dell’università dell’Aquila ed ex primario urologo all’ospedale di Teramo. La mattanza è stata scoperta nel primo pomeriggio quando nella villetta sono andati a bussare alcuni parenti ed amici preoccupati del fatto che la famiglia Vicentini non avesse più riposto al telefono dall’ora di pranzo di ieri: per questo, secondo la Polizia e la Procura che stanno effettuando rilievi e conducendo le indagini, l’orario della strage sarebbe da collocare attorno alle 13,30 di ieri. Gli investigatori stanno anche facendo verifiche sui telefonini ed ascoltando le testimonianze dei vicini, che sembra però non abbiamo sentito nulla, e dei parenti. Da chiarire c’è sia la dinamica dei tre omicidi sia i motivi del folle gesto, se si sia trattato di un raptus o se sia stata un’azione premeditata. Un’ipotesi, quest’ultima, più probabile visto che gli investigatori avrebbero trovato un biglietto scritto dall’ex primario prima di togliersi la vita.

La cosa certa, stando alle testimonianze, è che il medico che da alcune settimane aveva smesso di fare l’urologo, continuando invece ad insegnare. E da allora non sarebbe stato più lo stesso, mostrando uno stato depressivo ed un atteggiamento scoraggiato e pessimista. Tanto che più di un amico gli aveva consigliato di farsi aiutare. “Era un professionista straordinario – ricorda il legale della famiglia Emilio Bafile – ha sofferto sicuramente per la situazione clinica del figlio che stava poco bene e questa vicenda lo ha segnato. Ovviamente, la sofferenza è arrivata all’estremo e ha maturato questa idea. Le condizioni del figlio hanno pesato molto sulla sua esistenza”. Fuori dalla villetta anche Giovanni Vicentini, fratello dell’urologo. “Mi aveva detto due giorni fa che con tutta la famiglia sarebbe andato al mare a Tortoreto – spiega – ieri ho provato a contattarlo senza ricevere risposta. Ho solo visto che le finestre erano abbassate e ho pensato fossero già partiti. Solo oggi, con delle chiavi secondarie sono andati ad aprire, rendendosi conto della tragedia”. “Siamo devastati. E’ una tragedia che non riusciamo a spiegarci: il professor Vicentini era un urologo molto bravo ed apprezzato oltre che un uomo gentile, sensibile e disponibile – afferma il dg della Asl di Teramo, Maurizio Di Giosia. Con l’omicidio del 43enne ad opera del padre, sono tre i disabili uccisi in tre mesi in Abruzzo, con il successivo suicidio o il tentato suicidio del familiare, un disagio crescente tra chi vive una situazione di disabilità in famiglia, come dimostrerebbe anche l’ultimo episodio.

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Voto di scambio a Sant’Antimo, il giudice: non luogo a procedere

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“Non luogo a procedere”: si è praticamente concluso con un nulla di fatto il processo sul voto di scambio a Sant’Antimo, in provincia di Napoli, iniziato e conclusosi presso il Tribunale di Napoli Nord dopo le eccezioni sollevate dagli avvocati. I reati contestati agli imputati, complessivamente 23, erano l’associazione a delinquere e la corruzione elettorale. I fatti risalgono alle elezioni comunali dell’11 giugno 2017 e il procedimento giudiziario sarebbe dovuto iniziare al massimo entro due anni. Ma così non è stato e quindi, a iniziare dall’avvocato Pietro Rossi, i legali dei difensori hanno puntato le loro discussioni evidenziando il ritardo con il quale ha preso il via il giudizio. Alcune posizioni, comunque, sono state stralciate, per difetti di notifica, e adesso sarà necessaria un’altra udienza, dopo il nuovo invio delle convocazioni, che purtroppo non potrà avere esito diverso da quello cui si è giunti oggi. Il “non luogo a procedere” è stato riconosciuto sussistente, dal giudice, per il reato di corruzione elettorale mentre per l’associazione a delinquere sono stati ritenuti insussistenti i criteri sui quali si sono basati gli inquirenti. Per gli investigatori i presunti componenti dell’associazione a delinquere si sarebbero resi responsabili di avere contattato gli elettori (attraverso il passaparola e appostamenti nei pressi di esercizi commerciali particolarmente frequentati) proponendo denaro e altre utilità (anche posti di lavoro, in taluni casi) in cambio del voto per specifici candidati. Ma l’inizio del processo oltre i limiti prestabiliti ha vanificato gli sforzi della Procura.

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Dieci indagati per ragazza morta nel fiume in Calabria

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Arrivano i primi indagati per la morte della studentessa 19enne trovata morta nel fiume Lao, sul Pollino, dopo una gita scolastica con professori e compagni di istituto. La Procura di Castrovillari ha iscritto nel registro dieci persone, tra cui il sindaco di Laino Borgo, Mariangelina Russo, i responsabili della “Pollino rafting” e sette guide della stessa società. Contestualmente i magistrati hanno disposto anche il sequestro della società che si è occupata dell’escursione fatale per la giovane. Si tratta del primo passo ufficiale dell’inchiesta avviata dalla procura subito dopo la scomparsa della giovane, di cui si erano perse le tracce già martedì in seguito proprio alla caduta nelle acque del fiume.

“Le indagini in corso – ha spiegato il procuratore di Castrovillari, Alessandro D’Alessio – riguardano sia l’accertamento preciso delle cause della morte della diciannovenne, sia l’esatta ricostruzione della dinamica dell’incidente e della programmazione ed esecuzione dell’attività nel corso della quale si è verificato il decesso”. Stando a quanto raccontato da professori e compagni, il gruppo del liceo statale “Rechichi” di Polistena era in gita da alcuni giorni in provincia di Cosenza. Tra le attività previste dal viaggio d’istruzione c’era anche il rafting sul fiume Lao, nel comune di Laino Borgo. Proprio durante l’escursione, stando ai racconti delle compagne della 19enne, il gommone sul quale viaggiava Denise Galatà avrebbe urtato quello che lo precedeva facendo sbalzare la ragazza in acqua. Una volta finita sott’acqua, in un punto in cui il torrente é profondo alcuni metri, la giovane non avrebbe avuto la forza di risalire in superficie e sarebbe morta annegata.

“All’inizio – ha raccontato una delle ragazze che si trovavano insieme a Denise sul gommone – le acque erano calme, ma subito dopo la forza della corrente è aumentata. I gommoni sfioravano pericolosamente enormi massi nell’alveo del fiume. Ad un certo punto siamo stati sbattuti contro uno di questi massi ed in tre siamo caduti in acqua. Io ed un’altra mia compagna siamo stati soccorsi e portati sulla terraferma, mentre di Denise si é persa ogni traccia”. La procura, che a disposto per domani l’autopsia sul corpo della giovane, assicura che procederà nel minor tempo possibile “a tutti gli accertamenti, anche tecnici, necessari per acquisire gli elementi informativi”. Contemporaneamente proseguono anche le attività del ministero dell’Istruzione che ha attende dall’Ufficio scolastico regionale i risultati delle verifiche disposte per accertare che siano state effettivamente adottate tutte le misure di sicurezza previste in questi casi.

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L’orrore e la gelida opera di depistaggio dell’assassino di Giulia Tramontano

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Una vicina di casa di Alessandro Impagnatiello, il 30enne in carcere per aver ucciso Giulia Tramontano incinta di 7 mesi, ha raccontato agli inquirenti di aver visto nel pomeriggio di domenica 28 maggio “una quantità ingente di cenere provenire dalla porta d’ingresso dell’appartamento” dell’uomo, “continuare sulle scale del condominio sino al box” della coppia. E’ un altro degli elementi agli atti dell’inchiesta. Sempre nel pomeriggio di domenica Impagnatiello, che aveva già ucciso Giulia la sera prima, le mandava messaggi sul suo telefono con scritto “baby dove sei? Ci stiamo preoccupando tutti”. E il giorno dopo: “Dicci solo che sei fuggita in qualche paese lontano”. Nel verbale della sua confessione si leggono frasi gelide come “non sono riuscito nell’intenzione di ridurre il corpo in cenere”.

E ancora: “Quando io faccio la denuncia di scomparsa il cadavere di Giulia era nel box”. E al pm che gli chiede “non ha temuto che i carabinieri aprissero il box?”, lui ha risposto: “Forse speravo lo facessero”. Lunedì avrebbe spostato, a suo dire, “il corpo dal box alla cantina”. Martedì, ha detto ancora, “porto la macchina nel box e carico il corpo nel bagagliaio” dove, stando al suo racconto, sarebbe rimasto fino alla notte successiva, prima di essere gettato in un buco vicino a dei box. Prima, ha messo a verbale l’uomo, “ho comunque usato la macchina andandoci in giro con il cadavere nel bagagliaio”. Ha detto di aver gettato il “telefono di Giulia in un tombino”, così come il bancomat, mentre il passaporto di lei lo avrebbe bruciato. Ha sostenuto di non aver chiesto aiuto ad alcuno: “Forse mia mamma ha dubitato, ma per 30 anni non ho dato mai motivo che potessi mai fare una cosa simile”. Tra le esigenze cautelari contestate il pericolo di inquinamento probatorio (riuscì a “falsificare” anche un test di paternità), quello di fuga, anche perché nei giorni dopo l’omicidio faceva ricerche per acquistare uno “zaino da trekking” per una “fuga veloce”. E infine il pericolo di reiterazione per la sua “pericolosità sociale” e per la “crudeltà” di aver ucciso con “premeditazione” anche il “figlio che ella portava in grembo”. Anche l’amante, scrivono i pm, aveva “timore” di lui: non voleva “subire la medesima sorte” di Giulia.

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