Matteo Renzi attacca sul “quarto condono edilizio a Ischia in 20 anni”, davanti a lui, alla Leopolda, c’è il 3 volte sindaco sull’isola Giosi Ferrandino
Maxischermo fuori. Dentro non c’è più posto. E allora bisogna accontentare i militanti che hanno trovato posto in platea. Matteo Renzi chiude la Leopolda e comincia dalle parole della canzone di Elisa e Francesca De Gregori. “Siamo quelli che restano” e giù una ovazione dalla platea. È tipico passaggio renziano. Prima il discorso aulico per generare entusiasmo, far sentire senso di appartenenza ad una comunità, poi l’attacco a chi oggi governo da qualche mese. Sul governo, insiste, “stanno sfasciando il paese”. Poi sottolinea come in questa Leopolda ci sia più gente delle altre edizioni malgrado la “campagna di odio contro di noi. Ci hanno buttato addosso quintali di fango, non ci hanno sporcato l’anima, ma ci hanno fatto male. Non risponderemo all’odio con odio”. Anche lui ce l’ha con i giornalisti. È un mantra oramai. Quando qualcosa non va in Italia è colpa dei giornalisti. Ah, Renzi, ci ha tenuto a dire a tutti, che la decima edizione ci sarà. Anzi “segnatevi già la fata: 25 ottobre 2019”. Stesso posto. Forse. Con chi occorrerà vedere. Il suo è il solito discorso di questi mesi. Tutto incentrato contro il M5S. La Lega (che oramai nei sondaggi viaggia verso il 40 per cento) per Renzi non esiste quasi. “Quando sono andato da Fabio Fazio in tv per dire no all’accordo con il M5S volevo difendere l’anima di quello che siamo, sarebbe stato un accordo vantaggioso, ma la politica non è soltanto potere e nomine. Torneremo al governo senza populismi di destra o di sinistra”. “Se volete fare una discussione sulla politica e poi dire che si tratta del mio carattere, del carattere di uno di Rignano non andiamo da nessuna parte. Lo volete capire o no voi che accusate il mio carattere?”. Fino a quando era al governo nessuno lo criticava, dice Renzi: “Ve ne siate accorti tutti dopo del mio carattere ma c’è un problema più importante adesso”.
L’alleanza giallo verde, naturalmente. “Stanno insieme, fanno finta di litigare ma stanno insieme”. Parla di Stato etico: “Ti do il bonus ma li spendi come dico io. La domenica qualcuno lavora e qualcuno no, c’è un problema con le commesse del centro e non con gli autisti del bus che portano alla partita. La parola etico è bella ma qui si rischia di cancellare un’altra parola, la legalità. Il condono fiscale ad esempio. Grillo ha fondato una carriera sull’essere pagato in nero”. E poi Renzi come fa da giorni, oramai, parla di condono edilizio a Ischia. In sala, mentre Renzi parla, ad ascoltarlo c’è l’europarlamentare del Pd Giosi Ferrandino che per oltre 10 anni sull’isola ha fatto il sindaco sia al Comune di Casamicciola che a quello di Ischia. Lo scandalo in Italia, urla Renzi nel microfono, mentre sotto il palco lo ascoltano alcuni dirigenti di quel che resta del Pd a Ischia è
“il condono edilizio di Ischia, il quarto in vent’anni. Non viene dalla Lega, non c’è una manina della Lega, c’è una manona. E perché nessun giornalista fa un’inchiesta per chiedersi il motivo di tanta insistenza su Ischia”. La butta lì Renzi, si fa una domanda già conoscendo la risposta. I giornalisti degli abusi edilizi ne parlano e ne scrivono da tempo, anche a Ischia. Chissà però che cosa abbia voluto dire Renzi.
Poi vola più alto. Parla dei mercati, Renzi, “balleranno quando arriverà il parere della Commissione europea sulla manovra e chi ne pagherà le conseguenze saranno quelli che devono prendere un mutuo o un fido” dimenticando che domani aprono le borse e gli attacchi speculativi saranno pronti ad azzannare al collo il Paese che non può avere una sua politica economica, deve solo ubbidire alla istituzioni finanziarie. E questo capitava anche a Renzi. “Fermatevi per l’amor di Dio finché siete in tempo, state sfasciando i conti e non state mantenendo le promesse elettorali. Avevano detto che avrebbero dato 780 euro a chi non ci arrivava. Sapete quanti sono? La promessa elettorale vale 64 miliardi di euro e loro di risorse aggiuntive hanno stanziato 6 miliardi e mezzo. Non lo dice nessuno però. E allora dobbiamo essere noi a dirlo e diciamo anche che non ci vergognamo di quello che abbiamo fatto. Girerò nel Nordest perché li voglio vedere in faccia gli imprenditori a cui stanno facendo questo”. “Ci hanno fatto credere che il problema qui fosse l’immigrazione mentre il problema è l’illegalità, che non ha passaporto e non ha colore della pelle”. Siamo, continua, “quelli che restano, che non mollano, che continuano a crederci, che hanno pazienza”. Ma non basta restare, bisogna avere il coraggio di partire per cose nuove. “Non abbiamo parlato qui del congresso del Pd, lo abbiamo vinto due volte e due volte ci hanno impallinato col fuoco amico. Noi daremo a chi vince il rispetto che non abbiamo ricevuto. Vogliamo che ci siano leader dentro al Pd e il centrosinistra forti e credibili ma non ne parliamo qui. E allora partiamo ma non per creare una corrente, che non serve. I comitati civici hanno bisogno di una rete ma anche di un contatto umano e quelli a cui sto antipatico valgono doppio. Noi non ci rassegniamo a un futuro di mediocrità, alla cialtronaggine di questo governo. Mettiamoci in cammino e andiamo avanti tutti insieme”.
Benyamin Netanyahu posticipa la riforma della giustizia fino alla prossima sessione della Knesset dopo la Pasqua ebraica in nome della “responsabilità nazionale” e per evitare “una guerra civile”. Al tempo stesso lascia la legge sul tavolo, invitando al dialogo l’opposizione per “gli aggiustamenti” necessari. Al termine delle 24 ore più convulse della storia recente di Israele, il premier – dopo aver rinviato per tutto il giorno il suo intervento – si è deciso infine a parlare in serata ad un Paese paralizzato da uno sciopero generale che ha fermato tutto il possibile, compresi i voli in partenza al Ben Gurion e gli uffici delle ambasciate israeliane in giro per il mondo. La miccia alle proteste, dopo settimane di tensione, era stata accesa domenica sera dal licenziamento del ministro della Difesa Yoav Gallant, reo di aver chiesto un pausa nell’iter della riforma pur condividendone i contenuti. Una mossa che ha scatenato, a partire dalla notte, le maggiori manifestazioni di protesta degli ultimi giorni, culminate nel pomeriggio con circa centomila persone davanti la Knesset a Gerusalemme.
Una prova di forza a cui la destra ha risposto convocando una contromanifestazione sempre davanti al Parlamento. Il rischio che la situazione precipitasse nell’irreparabile è stato palpabile tutto il giorno e per questo si sono infittiti i colloqui all’interno della maggioranza di governo, visto che il premier ha dovuto innanzitutto convincere i riottosi alleati di ultradestra della necessità di far sbollire gli animi. Dopo il discorso di Netanyahu in tv il sindacato ha subito revocato lo sciopero mentre l’opposizione si è detta disponibile ad accettare la mano tesa del premier. Netanyahu ha dovuto mediare prima con il suo ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir (Potenza ebraica), pronto ad aprire la crisi di governo. Con lui – secondo quanto annunciato dallo stesso leader di estrema destra – ha concordato la pausa della riforma in cambio dell’esame, nella prossima seduta di governo, della creazione di una Guardia nazionale civile di volontari alle dirette dipendenze del ministro. Un pallino fisso di Ben Gvir, da lui avanzato al momento della formazione del governo e rispolverato per l’occasione. “Ho accettato di rimuovere il mio veto – ha scritto Ben Gvir – in cambio di questo impegno”.
Una concessione giudicata dagli analisti quantomeno problematica vista la presenza già di polizia, della guardia di frontiera, dello Shin Bet (Sicurezza interna) e dello stesso esercito. Ancora più complicato il rapporto con il ministro delle Finanze e leader di Sionismo Religioso Bezalel Smotrich, che non intende mollare. “Non dobbiamo fermare per alcun motivo la riforma. Siamo la maggioranza – ha affermato annunciando la sua presenza alla manifestazione della destra alla Knesset -, non dobbiamo arrenderci alla violenza, all’anarchia, agli scioperi selvaggi, alla disobbedienza. Non consentiremo che ci rubino i nostri voti e il nostro Stato”. Del resto lo stesso Netanyahu nel suo intervento ha detto di aver convinto “la maggior parte dei suoi alleati di governo”, non tutti. Resta dunque un disallineamento nelle posizioni, anche se la scelta sembra fatta. Dalla parte opposta, il leader centrista Benny Gantz – evocato dallo stesso Netanyahu nel discorso – ha detto che si presenterà al dialogo, nella residenza del capo dello Stato Isaac Herzog, “con cuore aperto e anima sincera”. “Dobbiamo opporci ad una guerra civile”, ha aggiunto, “dire no alla violenza e sì agli accordi e al dialogo”. Un richiamo contro la violenza su cui ha insistito lo stesso Netanyahu, denunciando “una minoranza di estremisti” e invitando i capi dell’esercito ad usare la mano pesante contro i riservisti contrari a presentarsi in nome della disobbedienza civile contro la riforma. “Sosterrò ogni iniziativa giusta di dialogo ma – ha sottolineato Gantz – non faremo compromessi sui principi della democrazia”. E lo stesso ha fatto Yair Lapid, dichiarandosi disposto ad intavolare un dialogo sotto l’egida di Herzog, tra i primi a salutare l’apertura di Netanyahu.
L’Europa va in pressing sulla Tunisia e il primo giro di tavolo inizia subito sul filo di un incidente diplomatico. L’incontro tra il presidente Kais Saied e il commissario per gli Affari Economici Paolo Gentiloni, infatti, sulle prime pare saltare, salvo poi essere riacciuffato in extremis. Sul tavolo il nodo del programma targato Fondo Monetario Internazionale (Fmi), senza il quale il Paese rischia il collasso. “La Commissione è pronta a prendere in considerazione un’ulteriore misura di assistenza macrofinanziaria se saranno soddisfatte le condizioni necessarie”, ha detto Gentiloni dopo l’incontro, citando proprio la firma dell’accordo con l’Fmi come “prima condizione”. Ma Saied si oppone perché non vuole attuare le riforme richieste a corredo. Da qui l’impasse. Che rischia di far precipitare la crisi dei migranti, già grave, verso nuovi abissi, a quel punto difficilmente gestibili. L’Unione Europea ne è consapevole e si sta attivando. L’iniziativa contro i trafficanti proposta dal Servizio di Azione Esterna nel corso dell’ultimo consiglio Affari Esteri – precisa una fonte europea – “sta procedendo”. Si tratta di una “partnership operativa” – ce ne sono altre, ad esempio in Niger – e dunque richiede il benestare di Tunisi.
L’obiettivo potrebbe essere quello di offrire “equipaggiamento e addestramento”, in modo da contrastare i trafficanti di esseri umani nel retroterra del Paese, ad esempio sul poroso confine con la Libia. Ma i contenuti – al di là del sommario – vanno ancora definiti. Non a caso è prevista la visita della Commissaria all’Interno Ylva Johansson, accompagnata dai colleghi di Italia e Francia Matteo Piantedosi e Gérald Darmanin, per la fine di aprile. Non solo. La Tunisia è oggetto di un progetto che mira a dare “sostegno investigativo” (anche con squadre congiunte), scambio d’informazioni e sviluppo di capacità per le forze dell’ordine, il tutto (probabilmente) finanziato con i fondi per lo sviluppo del vicinato (Ndici). Ma sono strumenti che danno frutti nel tempo e hanno bisogno di un partner stabile. Altre opzioni sul tavolo al momento non ce ne sono, tantomeno una nuova missione Sophia, la Mare Nostrum europea conclusasi nel 2020.
“Gli Stati membri sono naturalmente liberi di operare in autonomia, anche in coordinamento tra di loro”, precisa un funzionario a Bruxelles. I numeri delle partenze dalla Tunisia sono però sempre più importanti e le dinamiche iniziano ad assomigliare a quelle della Libia (con l’aggravante delle esternazioni apertamente xenofobe del presidente Saied). “La Tunisia non sarà lasciata sola” ma la visita è stata “anche l’occasione per riaffermare il nostro impegno nei confronti dei valori della democrazia, dell’inclusione e dello Stato di diritto”, ha spiegato ancora Gentiloni. La pressione diplomatica sarà applicata allora anche da due ministri degli Esteri – Belgio e Portogallo – ai quali l’alto rappresentante Josep Borrell ha chiesto di recarsi in missione “al fine di valutare la situazione e tornare con una relazione che guiderà i nostri passi futuri”.
L’ultimo assist viene poi dagli Usa: “Sosteniamo la stabilità economica della Tunisia e quindi la conclusione del programma proposto dal Fmi”, ha dichiarato un portavoce del consiglio per la sicurezza nazionale della Casa Bianca. Il rischio è che Saied ora usi i migranti per trattare sulle riforme. Il ministro degli Esteri, Nabil Ammar, ha ad esempio invitato l’Ue a mostrare una “maggiore comprensione” per la fase “particolare” attraversata dal Paese e ad “adottare un approccio globale” sulla migrazione che tenga conto delle dimensioni “economiche e sociali di questo fenomeno”. Insomma, via i diritti in cambio di sicurezza, sull’onda del modello turco.
Un veicolo finanziario in grado acquistare e rivendere i crediti incagliati, ridando liquidità al sistema e sbloccando un’empasse che da mesi tiene in scacco imprese e cittadini. Ma anche ‘scambio’ con i Btp. E’ questa la doppia soluzione che dovrebbe contribuire a smaltire la montagna di 19 miliardi di crediti bloccati del superbonus. Il veicolo vedrebbe impegnate le grandi società pubbliche, con Enel X in testa, che offrono così la propria mano tesa al governo. Che intanto con un lavoro di moral suasion su banche e istituzioni, ha incassato la promessa a far ripartire le acquisizioni dei crediti.
“Abbiamo sensibilizzato le istituzioni e le banche. Le banche e le Poste hanno annunciato che ricominceranno, in un quadro di maggiori certezze che abbiamo dato sotto il profilo giuridico, ad acquistare questi crediti”, ha spiegato il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, annunciando anche l’arrivo del veicolo: “E’ in corso l’elaborazione di un sistema, una specie di piattaforma, che dovrebbe in qualche modo permettere di smaltire tutto l’arretrato”. Escluso invece il ricorso agli F24, su cui il governo chiude: il loro utilizzo “genererebbe sostanziali e rilevantissimi problemi di cassa”, spiega il sottosegretario Federico Freni. Piuttosto a banche, intermediari finanziari e assicurazioni che hanno esaurito la propria capienza fiscale sarà offerta la possibilità di utilizzare i crediti al fine di sottoscrivere emissioni di Btp poliennali da 10 anni per smaltire fino al 10% dei crediti scontati annualmente.
La misura vale per gli interventi effettuati fino al 2022 e il primo utilizzo, si precisa, può essere effettuato in relazione alle emissioni effettuate dal primo gennaio 2028. L’ipotesi del veicolo era nell’aria da giorni, ma si attendeva prima di capire come si sarebbe sviluppato il lavoro in Parlamento. Una volta visto che gli emendamenti avevano preso la strada giusta, si è potuti uscire allo scoperto. La soluzione strutturale per i crediti edilizi incagliati “esiste”, assicura Enel X: è “un veicolo finanziario” con uno schema che la società ha “già testato con alcuni partner finanziari su volumi limitati”. “Siamo quasi pronti, è questione di poco e potremo dare un decisivo impulso allo sblocco dei decreti incagliati”, assicura il ceo Francesco Venturini. Tra le altre modifiche, la commissione Finanze ha dato il via libera alla proroga al 30 settembre del termine alle villette, che entro il 30 settembre scorso avevano effettuato almeno il 30% dei lavori, per concludere la spesa e portarla in detrazione beneficiando del 110%. Per salvare le cessioni del 2022, inoltre, arriva la possibilità per chi non ha concluso il contratto di cessione entro il 31 marzo di effettuare la comunicazione all’Agenzia delle Entrate con la ‘remissione in bonis’: ovvero, entro il 30 novembre, pagando una sanzione di 250 euro.
Cessione e sconto in fattura restano per l’eliminazione delle barriere architettoniche e anche per gli istituti per le case popolari (Iacp), le onlus e il terzo settore, e per i lavori su immobili colpiti da eventi sismici e anche per l’alluvione delle Marche. Si allarga poi ulteriormente, anche a tutti i cessionari che acquistano crediti da una banca, lo scudo dalla responsabilità in solido per chi acquista i crediti del superbonus. Per banche e imprese che hanno acquistato crediti c’è poi l’estensione della fruizione da 4 a 10 anni. Ma dopo la polemica per lo “stralcio” di una misura analoga, pensata soprattutto per aiutare i redditi più bassi, è stata concessa la possibilità di spalmare in 10 anni la detrazione anche per i contribuenti che non hanno sufficiente capacità fiscale. “Penso sia una cosa giusta per i cittadini e che non comporti problemi per la finanza pubblica. Quindi – ha spiegato Giorgetti – perché no? Anzi assolutamente sì”.