Marcianise, tre industrie della monnezza a fuoco in tre mesi e il sindaco Velardi che vorrebbe lo Stato al suo fianco contro la camorra dei rifiuti è rimasto solo in mezzo alla strada
Sono trascorse già 72 ore dall’incendio del capannone pieno di monnezza nell’area industriale di Marcianise. Dalla notte del 26 ottobre a oggi, domenica 29 ottobre, i vigili del fuoco ancora non hanno avuto del tutto ragione dei roghi. Nell’opificio industriale adibito allo smaltimento di rifiuti ci sono ancora piccoli focolai attivi, fumi tossici e scarti industriali da rimuovere e mettere altrove ed evitare che brucino. Dopo che le operazioni di spegnimento degli ultimi roghi saranno completate, comincerà l’opera di bonifica dell’area. Attività ancora più difficile e complessa. Resta un interrogativo, assai semplice quanto grave perchè coinvolge responsabilità di istituzioni. Aldilà degli scaricabarile.
Il sindaco anti monnezza. Nel mese di luglio Velardi trasferì il suo ufficio nell’area industriale. Assieme ai vigili urbani controllo lo smaltimento di rifiuti in depositi sospetti. E come al solito vide cose che altri per anni hanno fatto finta di non vedere
Il sindaco di Marcianise, Antonello Velardi, questa estate, assieme a molti suoi concittadini, invece di andare al mare o in montagna, si piazzarono con sdraio e ombrelloni nell’area industriale per verificare dove finisse quel via vai di camion pieni di monnezza che entravano ed uscivano dalla loro città, spesso appestando l’aria. Ebbene grazie a quei controlli precisi decisi dal sindaco, fatti con i vigili urbani, molti camion furono sequestrati, molte multe elevate, tante denunce spedite alla procura perchè dimostravano, ove mai ce ne fosse bisogno, lo svolgimento (che forse è ancora attivo) di un traffico criminale di monnezza proveniente da ogni dove verso Marcianise e Caivano. Rifiuti peraltro di ogni specie, soprattutto industriali, tossici e nocivi.
Altri incendi di altri opifici nell’area industriale di Marcianise e Pascarola in questi ultimi tre mesi
Lo stabilimento Lea, quello che brucia ancora nella zona industriale di Marcianise, fu chiuso con un’ordinanza due mesi fa. L’ordinanza del sindaco Velardi, coraggiosa, prevedeva il blocco dell’attività e la rimozione di tutti i rifiuti, con prescrizioni chiare.
“L’azienda ha successivamente scritto al Comune e per conoscenza alla Regione affermando di non farcela a smaltire la monnezza nei tempi imposti per il contemporaneo mancato funzionamento di altri siti che dovevano ricevere quella robaccia. Al nostro no l’azienda ha insistito. A quel punto abbiamo chiesto alla Regione di incassare la fideiussione che (teoricamente) l’azienda Lea aveva presentato al momento della richiesta dell’autorizzazione. La Regione, che aveva appunto autorizzato, avrebbe dovuto incassare la fideiussione e provvedere autonomamente alla rimozione dei rifiuti lì accatastati illegalmente” scrive Antonello Velardi in un post sul suo profilo Fb. Il resto è storia di queste ore. La monnezza non è stata smaltita, ma qualcuno (ignoto, si dice) ha fatto ciò che avrebbe dovuto farlo la società affidataria dell’opificio fuorilegge.
Le fiamme hanno risolto un bel po’ di problemi! Questo, ovviamente, significa che qualcosa non è andato per il verso giusto e qualcuno non ha fatto esattamente il suo dovere. Il sindaco di Marcianise, Antonello Velardi, ci ha messo la faccia, la reputazione e il corpo in questa battaglia. Le altre istituzioni hanno finora guardato. La Regione Campania ha assistito al passaggio delle carte, la procura deve ancora indagare sui rifiuti che c’erano in quel sito. E se non ha già chiesto la caratterizzazione sarà difficile farlo ora che è tutto bruciato. Il ministero dell’Ambiente che chiede ai prefetti di far vigilare questi luoghi per evitare incendi dovrebbe capire, ora, a babbo morto, se la responsabilità del rogo di Marcianise è da addebitare alla difficoltà del ministro dell’Ambiente Sergio Costa a farsi capire o se invece il Prefetto di Caserta non ha avuto il tempo o ha compreso la serietà della vicenda di Marcianise. Perché questo rogo, ancora in atto, lo scriviamo per i più distratti, non è l’unico. È il terzo gravissimo in tre mesi. Sempre in quella area industriale. Nonostante un sindaco, Antonello Velardi, abbia il coraggio o l’incoscienza di continuare a metterci la faccia e la sua vita in prima linea in una battagli campale per la salubrità dell’ambiente in un’area dove la gente muore per tumori più che in altri posti d’Italia.
Intanto che tutto ciò si capisca o che la magistratura lo chiarisca, gli unici a pagare sono i cittadini di Marcianise e comuni limitrofi. Come si chiama la zona, Terra dei Fuochi? Non vi piace? Chiamatela come vi pare. E’ comunque una terra dove lo Stato non c’è, non funziona. Perchè lo Stato non può essere un sindaco lasciato solo. Prima o poi se lo mangiano quel sindaco. Per i cittadini di Marcinise, in questi giorni, case chiuse, sbarrate, fumi tossici che hanno respirato e che prima o poi pagheranno. Con la salute. Tanto che cosa volete che dica l’agenzia regionale per l’ambiente? Dirà “ora è tutto ok, non abbiate più paura”. Bene. Amen. Scriveremo le stesse cose la prossima volta.
Il governo approverà entro la fine di gennaio il disegno di legge quadro sul nucleare. La notizia, anticipata nei mesi scorsi dal ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto, è stata confermata da fonti del governo durante la missione ad Abu Dhabi della premier Giorgia Meloni, conclusa oggi. La legge delega, nelle intenzioni dell’esecutivo, dovrà dare il quadro giuridico per autorizzare, costruire, gestire e controllare le centrali nucleari in Italia. Pichetto ha più volte sostenuto che, senza l’atomo, non è possibile decarbonizzare la produzione elettrica e garantire la sicurezza energetica al paese. Quanto ai due referendum del 1987 e del 2011, nei quali gli italiani si sono espressi contro il nucleare, il governo ritiene che siano ormai superati. Le tecnologie che sarebbero applicate in Italia sarebbero diverse da quelle bocciate dagli italiani.
Al posto delle grandi centrali di terza generazione (quelle chiuse nel 1987), l’esecutivo punta sui piccoli reattori modulari di terza generazione avanzata (motori di sommergibili dentro cilindri) e sui reattori di quarta generazione, raffreddati a piombo liquido e alimentati dalle scorie delle vecchie centrali. Il disegno di legge delega è stato preparato da una commissione nominata dal ministro Gilberto Pichetto e presieduta dal giurista Giovanni Guzzetta. Il testo definitivo è quasi pronto, e arriverà al ministero nel fine settimana. Entro la fine del mese sarà portato in Cdm. Se sarà approvato in parlamento, toccherà poi al governo emanare i decreti attuativi. Per questi ultimi, si stima che serviranno altri due anni.
I primi reattori potrebbero cominciare a funzionare all’inizio degli anni Trenta. La legge quadro indicherà le procedure per l’autorizzazione delle nuove centrali. La norma prevede un’agenzia di controllo sul nucleare, per vigilare sulla gestione degli impianti e sullo smaltimento delle scorie. Il ddl riprende le best practice degli altri paesi europei con più tradizione sul nucleare, e punta a valorizzare le aziende e le competenze italiane nel settore. Sono previste misure per incentivare la ricerca e la formazione e una campagna informativa per la popolazione. Per il deputato di Forza Italia Luca Squeri, “abbiamo dato il via libera al ritorno di questa tecnologia” e “questo passaggio costituisce un ulteriore, necessario step”. Ma per le deputate Cinquestelle Ilaria Fontana ed Emma Pavanelli, il nucleare ha “costi enormi. Già oggi cittadini e imprese pagano cara l’energia perché la facciamo col gas, figuriamoci un domani col nucleare!”.
I cambiamenti climatici hanno modificato il comportamento del calabrone orientale, insetto autoctono che fino a pochi anni fa viveva in perfetto equilibrio ambientale con le api, diventato oggi una vera e propria specie aliena. La Vespa orientalis è infatti diventata aggressiva, invasiva e famelica, tanto da aver distrutto fino a 40mila alveari in Lazio, Molise e Campania. Ma la sua espansione non si ferma a queste tre regioni del Centro Sud, da tempo viene avvistato in Friuli Venezia Giulia, Marche, Liguria, Toscana e Sardegna, predilige per ora la costa tirrenica a quella adriatica e le città. A Roma la scorsa estate le incursioni dell’insetto mangia-api hanno distrutto gli alveari realizzati sulla terrazza del ministero dell’Agricoltura. Alveari che sono stati poi ripristinati. Complici le temperature più calde dei centri urbani, ma anche la facilità di trovare fonti di cibo, come i mercati alimentari o i rifiuti che si trovano all’aperto.
A lanciare l’allarme è il segretario generale di Miele in Cooperativa, associazione nazionale alla quale aderiscono le principali associazioni di apicoltori delle tre regioni colpite, Riccardo Terriaca. Al momento mancano ancora, si sottolinea, strategie e tecniche mirate a contenere questo insetto velenoso che può arrivare a 3 centimetri di lunghezza. “È un’ennesima calamità a fronte alla quale siamo disarmati, non essendo disponibili strumenti e tecniche di contrasto alle aggressioni”, afferma Terriaca, secondo il quale è indispensabile che il mondo della ricerca impegni risorse umane e finanziare per studiare il problema con un approccio pragmatico per dare delle risposte. Nel definire la Vespa orientalis una sorta di ‘specie aliena in patria’, gli esperti ammettono che al momento c’è poco da fare.
“Contrariamente alla Vespa velutina sulla quale c’è una direttiva Europea e un progetto dedicato del Crea, non abbiamo strumenti e tecniche di contrasto specifiche – spiega Laura Bortolotti, prima ricercatrice del Crea AA, Agricoltura Ambiente – il problema è che essendo una specie autoctona fino ad ora non è stato possibile inserirla in una black list e proprio per questo siamo in contatto con l’Ispra per mettere a punto una strategia per combatterla”. Gli apicoltori possono difendersi solo con protezioni da mettere sull’entrata degli alveari, si va da delle trappole ad esca alle arpe elettriche, dispositivi costituiti da un telaio che tiene tesi dei fili elettrici scoperti, su cui passa corrente a bassa tensione che stordisce l’insetto; vengono posizionati con una distanza tale che lasciano indenni le api. “Abbiamo però scoperto – conclude la ricercatrice – che la Vespa è intelligente, dotata di una certa memoria in grado di scoprire questi trucchi e quindi di evitarli”. L’insetto ha un ciclo di vita che va dalla primavera all’autunno sempre più inoltrato proprio per le temperature miti ed è in grado di cibarsi perfino delle api in volo, oltre a fare razzia all’interno degli alveari, distruggendoli. Danni che si manifestano con elevata mortalità delle api, ma anche con un diffuso indebolimento degli alveari e dunque riduzione della produzione di miele e maggiori costi da sostenere per curare gli alveari indeboliti, con le cosiddette nutrizioni di soccorso.
Con decreto del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, è stato autorizzato il progetto di Terna per l’ammodernamento dell’elettrodotto a 220 kV “Patria – Sant’Antimo” in provincia di Napoli. L’intervento, per cui la società guidata da Giuseppina Di Foggia investirà oltre 20 milioni di euro, prevede la realizzazione di una nuova linea di 8,5 km, di cui 8 km interrati. Il progetto coinvolgerà i comuni di Napoli, Marano di Napoli, Mugnano di Napoli, Melito di Napoli e Sant’Antimo. L’opera porterà significativi benefici: da un lato, l’incremento della qualità e dell’affidabilità del servizio elettrico locale; dall’altro, la drastica riduzione dell’impatto visivo e paesaggistico grazie alla sostituzione di infrastrutture aeree con cavi interrati.
Una volta completata, sarà possibile demolire oltre 6 km di linee esistenti e 18 sostegni, liberando circa 21 ettari di territorio in zone fortemente urbanizzate. Nelle prossime settimane Terna avvierà la progettazione esecutiva e le attività propedeutiche all’apertura dei cantieri, prevista per il prossimo anno. Questo intervento rientra in un più ampio piano di rinnovo, che interesserà anche l’elettrodotto a 220 kV “Sant’Antimo – Fratta”. I
n questo caso, la nuova linea interrata, lunga circa 8 km, attraverserà i comuni di Sant’Antimo, Grumo Nevano, Frattamaggiore e Frattaminore (Provincia di Napoli) e Sant’Arpino (Provincia di Caserta). Per questa opera, Terna investirà circa 18 milioni di euro, consentendo la demolizione di 5 km di linee aeree e lo smantellamento di 17 tralicci, liberando 17,5 ettari di territorio nelle vicinanze dei centri abitati. Terna conferma così il proprio impegno nel potenziamento e nella sostenibilità della rete elettrica, contribuendo alla tutela del paesaggio e al miglioramento della qualità della vita nelle comunità locali.