Milano celebra il suo cittadino più illustre, lo scrittore Alessandro Manzoni, a centocinquant’anni dalla morte con un calendario di eventi, mostre, concerti, letture che coinvolgono tutta la città. E nel giorno esatto dell’anniversario è arrivato in città a rendere omaggio al grande scrittore il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che ha deposto una corona sulla sua tomba e ha visitato casa sua. Proprio Casa Manzoni, residenza dell’autore dal 1813 fino alla morte, il 22 maggio 1873, oggi trasformata in museo e sede del Centro Nazionale Studi Manzoniani, è il cuore delle celebrazioni manzoniane insieme al Duomo. Queste celebrazioni sono “una festa di popolo che omaggia il genio di Alessandro Manzoni – ricorda il sindaco Giuseppe Sala, nel corso dell’evento nella casa dello scrittore a cui ha partecipato anche il Capo dello Stato -. Milano ha dedicato un lungo ciclo di incontri, convegni e mostre e rappresentazioni al 150esimo anniversario della scomparsa di questo padre della patria.
La giornata di oggi rappresenta il vertice di un programma che accompagnerà tutto il 2023, per diffondere con ancora più forza la preziosa eredità di Alessandro Manzoni tra i nostri concittadini”. In questa giornata secondo il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana “ci sia consentito, si celebra l’essere lombardi e italiani. Perché, nessuno meglio di Don Lisander, come direbbe il cittadino milanese, seppe ascrivere a valore universale l’operosità, l’umiltà e la solidarietà della nostra gente”. È stato Giovanni Bazoli, presidente emerito di Intesa Sanpaolo e presidente onorario del Centro Studi Manzoniani a ricordare, attraverso le parole di un preside milanese, l’attualità dei Manzoni e dei Promessi sposi dove c’è tutto, anche l’esperienza del Covid, “l’idea della pericolosità degli stranieri, lo scontro violento tra le autorità, la ricerca spasmodica del cosiddetto paziente zero, il disprezzo per gli esperti, la caccia agli untori, le voci incontrollate, i rimedi più assurdi, l’emergenza sanitaria’. Casa del Manzoni in occasione dell’anniversario dei 150 anni è aperta alla città con ingresso gratuito fino alle 22 e oggi è anche il primo giorno di emissione e annullo del francobollo dedicato all’anniversario. Per tutto maggio si celebra lo scrittore dei Promessi Sposi anche nel Duomo di Milano con le letture, fino al 31 maggio, dei capitoli del suo romanzo più famoso, si tratta di diciassette serate in cui verranno letti da diversi attori, noti e emergenti del panorama teatrale italiano, 38 capitoli del libro.
La direzione artistica è di Massimiliano Finazzer Flory. Nel giorno dei 150 anni dalla scomparsa dello scrittore il Duomo lo omaggia anche con l’esecuzione del Requiem, composto in occasione della sua morte da Verdi, con l’Orchestra sinfonica di Milano alla presenza del presidente del Senato Ignazio La Russa. Alla Biblioteca Braidense lo scorso 4 maggio è stata inaugurata la mostra ‘Manzoni 1873-2023. La peste ‘orribile flagello’ tra vivere e scrivere’. Casa del Manzoni ospiterà in autunno altre due mostre, una dal titolo ‘Ove natura a sé medesma piace’, sui paesaggi della Lombardia manzoniana e ‘Dialetti e lingue d’Italia nella Casa di Alessandro Manzoni’, mentre durante l’estate saranno promosse letture teatrali dell’opera e sulla figura dello scrittore. Dal 18 maggio al 31 luglio il Castello Sforzesco dedica una mostra alla Milano di Manzoni, con una selezione di fotografie ottocentesche provenienti dal Civico archivio fotografico che illustrano i luoghi in cui viveva Manzoni, dove si recava e passeggiava. E anche le Biblioteche di Milano dedicheranno numerose iniziative al ricordo di Manzoni fino a dicembre.
Si apre uno spiraglio nella difficile vicenda di Ilaria De Rosa, la giovane hostess rinchiusa da settimane in un carcere vicino a Gedda, in Arabia Saudita. Oggi la 23enne di origini venete – la famiglia vive a Resana, vicino Castelfranco (Treviso) – ha ricevuto la prima visita in cella delle autorità italiane. I vertici sauditi hanno infatti concesso la visita consolare alla ragazza, arrestata due settimana fa per detenzione e traffico di droga. Un’accusa molto grave per la giurisdizione del grande stato arabo. Il console generale d’Italia a Gedda ha visitato in carcere la giovane, che secondo quanto si apprende è in buone condizioni, ed è stato firmato il mandato per avere avvocati locali, consigliati dal consolato. E’ stato possibile ottenere la visita consolare, secondo quanto viene riferito, grazie alle eccellenti relazioni del ministro Antonio Tajani con le autorità saudite e alla collaborazione tra le due ambasciate, tenuto conto della tolleranza zero nella campagna saudita contro la droga e dell’intransigenza delle autorità locali.
Ilaria, secondo quanto si è appreso, sarebbe stata trovata in possesso di una piccola quantità di stupefacente. Un dato che, se confermato, non aiuterebbe la trattativa. Secondo quanto si apprende, l’incontro è avvenuto in un ufficio amministrativo, dove la giovane connazionale è stata condotta dalla zona detentiva. La giovane è apparsa scossa ma in buone condizioni fisiche e psicologiche, e si è dichiarata totalmente innocente. Ha raccontato che mentre si trovava con altre persone a cena a casa di un amico nel giardino di una villa in un compound, sarebbero stati improvvisamente circondati da una decina di persone in borghese ma armate, che li avrebbero fermati e perquisiti. Sostiene anche che la prima impressione fosse quella di una rapina e di essersi resa conto di essere stata arestata solo una volta condotta in una stazione di polizia. Dopo cinque giorni, quando è stata interrogata (in inglese) ha contestato ogni tipo di addebito circa consumo o detenzione di sostanze stupefacenti. Nega anche qualsiasi consumo di bevande alcoliche.
A Resana Marisa Boin, la mamma dell’assistente di volo della lituana Avion Express, trascorre lunghe giornate segnate dall’angoscia. Le notizie che Rijad fornisce alla diplomazia italiana arrivano con il contagocce, e non consentono di intravvedere una soluzione a breve. Marisa Boin fino a ieri era convinta che l’arresto della figlia fosse dovuto “ad un grande equivoco”, perchè Ilaria – ha detto in un’intervista a La Stampa – “non ha mai fatto uso di droghe: non è una ragazza che si fa le canne”. E abituata a studiare e a lavorare all’estero “sa bene che in Paesi come l’Arabia è un rischio enorme farsi trovare con della droga addosso”. Marisa, 55 anni, un lavoro da operaia, vive da due settimana attaccata al telefono, in contatto con il nostro ministero degli Esteri, con l’altra figlia, Laura, che vive a Bruxelles, ed il marito, ufficiale dell’aeronautica impiegato in una base Nato in Belgio. L’ultima contatto telefonico tra madre e figlia risale al 4 maggio scorso. Poi il buio. Temendo un rapimento l’8 maggio, la famiglia ha fatto denuncia di scomparsa ai Carabinieri. Quarantotto ore dopo è giunta dalla Farnesina la conferma che Ilaria, invece, era in carcere, accusata di aver avuto della droga addosso durante una perquisizione subita mentre era in auto con altri amici. Da Resana, la madre si dice sicura che la figlia non c’entra con la droga, e ipotizza che possa essere stato uno degli amici con i quali si trovava ad essere stato scoperto con una canna. Resta da capire, allora, perchè la polizia saudita abbia messo nei guai anche la giovane l’hostess italiana.
Forse stavano scappando dal terremoto che ha accompagnato l’eruzione: tentavano di salvarsi nell’inferno del ’79 d.C. Sono stati ritrovati sotto un muro crollato i due scheletri di pompeiani. Due uomini, di età stimata intorno ai 55 anni. Non ce la fecero. Come tanti. in mezzo. Sono stati rinvenuti durante uno scavo nell’Insula dei Casti Amanti.
Vittime di un terremoto che ha accompagnato l’eruzione, ritrovate sotto il crollo di un muro avvenuto tra la fase finale di sedimentazione dei lapilli e prima dell’arrivo delle correnti piroclastiche che hanno definitivamente sepolto Pompei costituiscono la testimonianza sempre più chiara che, durante l’eruzione, non furono solo i crolli associati all’accumulo dei lapilli o l’impatto delle correnti piroclastiche gli unici pericoli per la vita degli abitanti dell’antica Pompei, come gli scavi degli ultimi decenni stanno sempre più investigando.
L’eruzione del Vesuvio del 79 d.C., inizia nella mattinata di un giorno autunnale, ma solo intorno alle 13:00 comincia la cosiddetta fase “Pliniana” durante la quale si forma una colonna eruttiva, alte decine di chilometri, dalla quale cadono pomici. Questa fase è seguita da una serie di correnti piroclastiche che sedimentano depositi di cenere e lapilli. I fenomeni vulcanici uccisero chiunque si fosse ancora rifugiato nell’antica città di Pompei, a sud dell’odierna Napoli, togliendo la vita ad almeno il 15-20% della popolazione, secondo le stime degli archeologi. Tra le cause di morte anche il crollo degli edifici, in alcuni casi dovuto a terremoti che accompagnarono l’eruzione, si rivelò una minaccia letale.
Gli scheletri sono stati ritrovati nel corso del cantiere di messa in sicurezza, rifacimento delle coperture e riprofilatura dei fronti di scavo dell’Insula dei Casti Amanti, che sta prevedendo anche degli interventi di scavo in alcuni ambienti. Giacevano riversi su un lato, in un ambiente di servizio, al tempo in dismissione per probabili interventi di riparazioni o ristrutturazione in corso nella casa, nel quale si erano rifugiati in cerca di protezione.
I dati delle prime analisi antropologiche sul campo – pubblicati nell’E-journal degli scavi di Pompei – indicano che entrambi gli individui sono morti verosimilmente a causa di traumi multipli causati dal crollo di parti dell’edificio. Si trattava probabilmente di due individui di sesso maschile di almeno 55 anni.
Durante la rimozione delle vertebre cervicali e del cranio di uno dei due scheletri, sono emerse tracce di materiale organico, verosimilmente un involto di stoffa. All’interno sono state trovate, oltre a cinque elementi in pasta vitrea identificabili come vaghi di collana, sei monete. Due denari in argento: un denario repubblicano, databile alla metà del II sec. a.C., e un altro denario, più recente, da riferire alle produzioni di Vespasiano. Le restanti monete in bronzo (due sesterzi, un asse e un quadrante), erano anch’esse coniate durante il principato di Vespasiano e pertanto di recente conio.
“Il ritrovamento dei resti di due pompeiani avvenuto nel contesto del cantiere in opera nell’Insula dei Casti Amanti – dice il Ministro della cultura Gennaro Sangiuliano – dimostra quanto ancora vi sia da scoprire riguardo la terribile eruzione del 79 d.C. e conferma l’opportunità di proseguire nelle attività scientifiche di indagine e di scavo. Pompei è un immenso laboratorio archeologico che negli ultimi anni ha ripreso vigore, stupendo il mondo con le continue scoperte portate alla luce e manifestando l’eccellenza italiana in questo settore”.
“Le tecniche dello scavo moderno ci aiutano a comprendere sempre meglio l’inferno che in due giorni distrusse interamente la città di Pompei, uccidendone molti abitanti: bambini, donne e uomini. Con le analisi e le metodologie riusciamo ad avvicinarci agli ultimi istanti di chi ha perso la vita. – evidenzia il Direttore del Parco, Gabriel Zuchtriegel – In una delle discussioni di cantiere, durante il recupero dei due scheletri, uno degli archeologi indicando le vittime che stavamo scavando, ha detto una frase che mi è rimasta impressa e che sintetizza forse la storia di Pompei, quando, ha dichiarato: ‘questo siamo noi’. A Pompei, infatti, l’avanzamento delle tecniche non ci fa mai dimenticare la dimensione umana della tragedia, piuttosto ce la fa vedere con più chiarezza.”
Nella stanza in cui giacevano i corpi sono emersi anche alcuni oggetti, quali un’anfora verticale appoggiata alla parete nell’angolo vicino a uno dei corpi e una collezione di vasi, ciotole e brocche accatastata contro la parete di fondo. La cosa più impressionante è l’evidenza dei danni subiti da due pareti, probabilmente, a causa dei terremoti che hanno accompagnato l’eruzione. Parte della parete sud della stanza è crollata colpendo uno degli uomini, il cui braccio alzato rimanda forse alla tragica immagine di un vano tentativo di proteggersi dalla caduta della muratura. Le condizioni della parete ovest, invece, dimostrano la forza drammatica dei terremoti contestuali all’eruzione: l’intera sezione superiore si è staccata ed è caduta nella stanza, travolgendo e seppellendo l’altro individuo.
L’ambiente adiacente ospita un bancone da cucina in muratura, temporaneamente fuori uso nel 79 d.C.: sulla sua superficie si trova infatti un mucchio di calce in polvere in attesa di essere impiegata in attività edilizie, il che suggerisce che al momento dell’eruzione si stavano effettuando delle riparazioni nelle vicinanze. Lungo la parete della cucina si trova una serie di anfore cretesi, originariamente utilizzate per il trasporto del vino. Sopra il bancone della cucina, le tracce di un santuario domestico sotto forma di un affresco che sembra raffigurare i lares della casa e un vaso di ceramica parzialmente incassato nel muro che potrebbe essere stato utilizzato come ricettacolo di offerte religiose. Accanto alla cucina, inoltre, una stanza lunga e stretta con una latrina, il cui contenuto sarebbe defluito in un canale di scolo sotto la strada.
Sulla sinistra ‘Notte Stellata’, sulla destra ‘Campo di grano con cipressi’. Due capolavori di Vincent Van Gogh sono in mostra assieme per la prima volta dal 1901. L’artefice di un momento storico per l’arte è il Metropolitan Museum di New York, che con ‘Van Gogh’s Cypresses’ (22 maggio-27 agosto 2023), ha riunito quelli che sono gli alberi più famosi della storia dell’arte. Curata da Susan Alyson Stein, la mostra è divisa in ordine cronologico e attinge a circa trenta collezioni pubbliche e private. Notte Stellata proviene dal MoMa, Campo di grano con cipressi è un prestito dalla National Gallery di Londra, mentre Strada di campagna in Provenza di notte viene dal Kröller Müller Museum a Otterlo, nei Paesi Bassi. Van Gogh’s Cypresses coincide con il 170/o anniversario della sua nascita e secondo quanto sottolineato dallo stesso direttore del museo newyorkese, Max Hollein, si tratta della prima ad offrire una prospettiva senza precedenti sul fascino di Val Gogh per gli alberi a forma di fiamma.
“E’ un sogno che avvera – ha detto Hollein – è un momento speciale, una raccolta di opere possibile una volta nella vita che si focalizza in un periodo estremamente importante della vita di Van Gogh. Mostrano non solo una visione d’insieme ma anche uno sguardo intimo sul suo processo creativo, mettendo anche in discussione idee predominanti con una visione nuova”. Una collezione di opere di Van Gogh di tale portata poteva accadere solo al Met in quanto per volere dei donatori ‘Campo di grano con cipressi’ non può uscire dal museo newyorkese. La mostra è disposta su tre gallerie, ‘The Roots of his Invention: Arles, February 1888- May 1889’, ‘The Making of a Signature Motif: Saint-Rémy, May-September 1889’, con ‘Notte Stellata’ e ‘Campo di grano con cipressi’, infine ‘Branching Out in Style: Saint-Rémy, October 1889-May 1890’.
I Cipressi divennero un soggetto costante nelle opere del pittore dal 1888 dopo il suo trasferimento a Arles in Francia. In una lettera al fratello Theo, l’artista riconobbe il posto che gli alberi avrebbero avuto nel suo lavoro. “Mi occorre – scrisse – una notte stellata con dei cipressi o, forse, sopra un campo di grano maturo. Sono sorpreso che nessuno li abbia fatti come li vedo io”. “Si tratta – continua Hollein – di un periodo di tempo di due anni, prima ad Arles, poi quando fu ricoverato a Saint Remy in cui Van Gogh sviluppò questa serie di dipinti.