Se abiti al Nord e soffia un vento terribile, fino a 120 km orari e questo vento abbatte gli alberi che uccidono persone inermi, è colpa di una natura inclemente. Se un torrente esonda, un fiume straripa e muoiono persone inermi è perché è caduta tanta di quell’acqua che non s’era mai visto prima. Quando la pioggia battente, il vento, il mare in tempesta devasta porti, distrugge imbarcazioni, fa morti, feriti lungo le coste devastate, al Nord la colpa è del fato, crudele come solo il destino beffardo sa essere.
Quando, invece, il maltempo fa strage in Sicilia, perché due nuclei familiari rimangono intrappolati come topi in una casa abusiva costruita lungo il greto di un fiume, allora la questione seria è l’abuso edilizio, l’ambientalismo da salotto, o peggio quella gente che se l’è cercata. Perché la colpa non può essere del fato, è dei morti che se la sono cercata andando a trascorrere tre giorni di vacanza lungo il greto di un fiume, in una casa realizzata a meno di 150 metri dal letto di un torrente. Perchè solo al Sud costruiscono vicino al fiume, al Nord non ci sono abusi edilizi, nessuno costruisce lungo o dentro il greto di un fiume.
In Italia, in questa Italia, pure il dolore dipende dalla latitudine in cui si prova. Le lacrime? Sono più o meno amare a prescindere dal viso che solcano. Se la paura e le lacrime sono quelle al nord, sono giuste. Al Sud, è tutto sbagliato. Al nord ci sono gli angeli del fango, al sud nessuno se ne fotte di niente. Gli alberi che uccidono al nord sono alberi curati ma caduti per fatalità, quelli al sud sono alberi malati caduti per giustizia divina. E poco importa se hanno ucciso come sempre e come altrove.
Nel racconto dei media italiani, purtroppo, c’è qualcosa di malato. È un racconto malato quanto è malato il Belpaese. Salvo apprezzabili episodi di buono e normale giornalismo, davanti a certe tragedie emerge la sufficienza e l’impreparazione di chi avrebbe il dovere di fare un racconto del Paese che è un gigante dai piedi di argilla. Un Paese senza cura dalle Alpi a Mazara del Vallo. Un Paese che va a pezzi per responsabilità storiche di una classe dirigente più impegnata a curare i suoi affari contingenti che a governare una realtà difficile.
Ad ogni temporale e piccola bufera di vento, raccogliamo morti, feriti e contiamo danni per centinaia di milioni di euro. E litighiamo sull’affare delle dichiarazioni di calamità naturali e della sospensione del pagamento delle tasse.
Siamo il Paese dove è diventato normale che cada un viadotto o che si cada da un viadotto o che frani un pezzo di strada o che crolli un pezzo di autostrada facendo decine di morti senza che nessuno abbia da dire alcunché. Raccogliamo i morti, li seppelliamo e poi in silenzio aspettiamo la prossima volta che dobbiamo ripetere, quasi stancamente, lo stesso triste rituale. Ma che Paese è un Paese così? E siamo sicuri di raccontarlo bene?