“L’Iran faccia un accordo prima che sia troppo tardi”. All’indomani dell’attacco di Israele contro il programma nucleare iraniano, Donald Trump lancia un nuovo monito a Teheran. E, con una girandola di interviste, cerca di riprendere almeno mediaticamente il controllo di una situazione che sembra essergli sfuggita di mano, minando la sua immagine di “peacemaker” e “dealmaker in chief”. Col rischio di un’impennata del prezzo del petrolio, di una catastrofica guerra regionale e di una spaccatura con la base del suo movimento Maga, contraria a ogni coinvolgimento americano nei conflitti globali in nome dell’America First.
Il tycoon, che ha presieduto una riunione del Consiglio di sicurezza nella Situation Room della Casa Bianca, ha spiegato la sua posizione su Truth. “Ho dato all’Iran – scrive – una possibilità dopo l’altra per raggiungere un accordo. Ho detto loro, con le parole più forti, di ‘farlo e basta’, ma per quanto si sforzassero, per quanto ci andassero vicino, non ci sono riusciti. Ho detto loro che sarebbe stato molto peggio di qualsiasi cosa sapessero, prevedessero o si fossero sentiti dire”, prosegue, ricordando che Israele possiede in abbondanza – e avrà ancora – equipaggiamento militare americano, “il migliore e più letale al mondo”.
“Alcuni intransigenti iraniani – ha osservato – hanno parlato con coraggio, ma non sapevano cosa stava per succedere. Ora sono tutti morti, e la situazione non potrà che peggiorare! C’è già stata grande morte e distruzione, ma c’è ancora tempo per porre fine a questo massacro, con i prossimi attacchi già pianificati che saranno ancora più brutali”. Quindi l’avviso finale: “l’Iran deve raggiungere un accordo, prima che non rimanga nulla, e salvare quello che un tempo era conosciuto come l’Impero iraniano”. La repubblica islamica aveva già firmato un accordo sotto la presidenza Obama, ma The Donald lo aveva stracciato ritenendolo insufficiente e sbilanciato a favore di Teheran. In un altro post il tycoon affronta anche la questione della tempistica dell’offensiva iraniana: “Due mesi fa ho dato all’Iran un ultimatum di 60 giorni per fare un accordo. Lo avrebbero dovuto fare. Oggi (venerdì 13, ndr) è il giorno 61. Ho detto loro cosa fare, ma non ci sono riusciti. Ora hanno, forse, una seconda possibilità”, “ora forse negozieranno seriamente”, ha affermato, rivelando che dirigenti di Teheran lo stanno chiamando per discutere la situazione.
Il nuovo round negoziale è ancora in programma domenica in Oman, ma non è chiaro se gli iraniani ci andranno. Tutti messaggi rilanciati nelle successive interviste, in cui il presidente Usa ha parlato di “attacco eccellente” di Israele e seminato il dubbio se l’Iran abbia ancora un programma nucleare dopo i raid, minimizzando poi i timori di un conflitto regionale e profetizzando effetti positivi sui mercati. Trump ha quindi insistito sul fatto che lui e il suo team sapevano tutto del piano di Israele e del premier Benjamin Netanyahu – con cui parlerà anche oggi, dopo lunedì e giovedì scorsi – ma ha mantenuto una posizione ambigua sul ruolo di Washington, nonostante il segretario di Stato Marco Rubio si sia precipitato a precisare che “Israele ha intrapreso un’azione unilaterale contro l’Iran” per “la propria autodifesa” e che gli Usa “non sono coinvolti”.
Il nodo di fondo è se il commander in chief abbia dato privatamente disco verde a Bibi, come sostengono fonti israeliane, parlando addirittura di coordinamento e fornitura di intelligence americana. O se Netanyahu, come sostengono autorevoli esponenti dem, abbia ignorato i ripetuti moniti pubblici del tycoon a non colpire Teheran finché erano in corso i negoziati, minandone il ruolo di “peacemaker” dopo i fallimenti su Gaza e Ucraina. “L’attacco era chiaramente mirato a far naufragare i negoziati dell’ amministrazione Trump con l’Iran ed è un’ulteriore prova di quanto poco rispetto le potenze mondiali, compresi i nostri alleati, abbiano per il presidente Trump”, ha accusato il senatore Chris Murphy. I vertici repubblicani del Congresso invece sono a favore del diritto di Israele a difendersi.
L’intera situazione però sta facendo infuriare il mondo Maga, i cui leader avevano implorato Trump di fermare Israele negli ultimi giorni. Ma il presidente o ci ha provato e ha fallito, evidenziando la sua mancanza di influenza su Netanyahu, oppure ha dato il via libera in privato alla campagna, nonostante gli avvertimenti della sua base. In entrambi i casi, dopo aver promesso una nuova era di pace mondiale, il tycoon si trova ora nella posizione forse più rischiosa della sua presidenza: affrontare la possibilità di lasciare Israele a cavarsela da solo, o di unirsi a lui in uno scontro diretto con l’Iran.