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Gennaro Ciliberto: i testimoni di giustizia non sono madonne pellegrine da portare in tour elettorali

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Sono Gennaro Ciliberto*. Ho 46 anni Sono un esiliato di Stato.
Ho perso il mio vero nome, la mia vera identità.
Da 7 anni vivo da invisibile.
Non posso dire nemmeno a mia figlia dove vivo.
Tutto questo perché sono un testimone di giustizia che ha denunciato la camorra e la corruzione negli appalti autostradali.

La nostra idea di unione è ben altra cosa, per anni noi testimoni di giustizia non blasonati ma riconosciuti a pieno titolo dalla 46/2001 abbiamo cercato di essere uniti, ma purtroppo ci sono state delle divisioni insormontabili, ci siamo sempre chiesti perché uomini e donne che hanno avuto un percorso comune non abbiano saputo trovare un comune denominatore, ed allora anno dopo anno le risposte sono arrivate o meglio abbiamo compreso il perché.
Ogni volta che un governo nuovo sta per insediarsi un gruppo di testimoni di giustizia tra i più “famosi” corre al Viminale. C’è chi corre con le catene e chi corre accompagnato da un politico, ma chi corre, lo fa in maniera individuale.
Ed allora serviva una associazione, una di quelle che avrebbe unito tutti e che avrebbe fatto gli interessi di tutti.
Ed è così che con l’impegno del tdg Di Costa nacque a Latina l’associazione nazionale testimoni di giustizia.
C’erano tutti o quasi, non mancava la tdg Aiello, il tdg Carini, il tdg Cutrò, la tdg Prisco, il tdg Francesco Paolo, le sorelle Castiglione, lo scrivente e tanti altri. Un evento eccezionale, tanto da turbare i vertici del SCP (Servizio Centrale di Protezione) che si opposero alla nascita della  associazione.
Ma come tutte le favole questa associazione nata con nobili principi di eguaglianza ben presto divenne cosa diversa.
Un fondatore espulso, una sede spostata, tanti tdg abbandonati. Ah, tdg è l’acronimo di testimone di giustizia.
Vani sono stati i tentativi di ricomporre l’associazione, inutili tutti gli sforzi di proclamare un assemblea, nulla, o quasi. È diventata un’associazione a personam.
E pensare che il Ministero dell’Interno non ha mai riconosciuto l’associazione.
Oggi però leggiamo proclami e note stampa a nome dell’associazione nazionale tdg. Ma chiediamo al Presidente non eletto bensì nominato: chi sono i tdg che ne fan parte? Perché non ci si confronta?
Sarebbe molto utile e proficuo che la deputata Piera Aiello, già tdg, convochi un tavolo di discussione aperto a tutti i tdg e non il solito invito a 5 o sei amici.
Crediamo che il Dottor Gaetti, presidente della commissione che si occupa di tdg, abbia messo in campo il massimo impegno ma senza risultati eccellenti.
Crediamo che ogni tdg debba essere ascoltato e senza intermediari.
Oggi sappiamo che il Presidente Cutrò ha seri problemi e che per sua volontà non vuole ascoltare nessuno.
Sappiamo che la Deputata Aiello non risponde alle richieste dei tdg.
Quindi la domanda è questa: un’associazione nazionale tdg ha ancora ragione di esistere ?
Perché non chiedere al Presidente Cutrò un’assemblea?
Cosa c’è di più bello della democrazia.
Dobbiamo essere un buon esempio anche per i futuri testimoni di giustizia e non essere usati come spot elettorali o madonne pellegrine da portare in giro per i tour anche elettorali.
Noi abbiamo fatto una scelta di legalità e nulla deve passare come piacere o privilegio.

*Gennaro Ciliberto / Testimone di Giustizia

 

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Giffone (RC), i Carabinieri scoprono e distruggono la quinta piantagione di marijuana in pochi giorni

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Continuano le operazioni di contrasto alla coltivazione illegale di marijuana nel comune aspromontano di Giffone. I Carabinieri della Compagnia di Taurianova, supportati dallo squadrone eliportato “Cacciatori di Calabria”, hanno scoperto e distrutto un’altra vasta piantagione di marijuana nascosta in una zona boschiva e impervia. Questa è la quinta piantagione individuata nel giro di pochi giorni.

Durante l’ultimo intervento, i militari hanno rinvenuto oltre 2500 piante di marijuana, alcune delle quali superavano i due metri di altezza e si trovavano già in uno stato avanzato di crescita, pronte per essere raccolte. Sul posto, è stato sorpreso un giovane di 21 anni, residente a Giffone, mentre controllava lo stato di maturazione delle piante e gestiva un sofisticato sistema di irrigazione.

L’operazione ha impedito la produzione di oltre 70 mila dosi di marijuana, che avrebbero avuto un valore di mercato di circa 600.000 euro. Grazie all’intervento tempestivo dei Carabinieri, le piante sono state estirpate e sequestrate, prevenendo così l’immissione sul mercato illegale degli stupefacenti.

Attualmente, il procedimento è nella fase delle indagini preliminari. La responsabilità del giovane arrestato sarà valutata nel corso del successivo processo, in base alla fondatezza delle accuse mosse a suo carico. Non si escludono ulteriori sviluppi investigativi e probatori, anche in favore della persona indagata.

L’impegno dei Carabinieri nel contrastare la coltivazione e il traffico di droga continua a dare risultati significativi. La scoperta e la distruzione di queste piantagioni rappresentano un importante passo avanti nella lotta contro il mercato illegale degli stupefacenti, contribuendo a proteggere la salute pubblica e la sicurezza della comunità.

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Magnate asiatico Kwong, mai pagato o conosciuto Boraso

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Il magnate singaporiano Ching Chiat Kwong si chiama ‘fuori’ dalle accuse che lo inseriscono nell’inchiesta di Venezia, sostenendo di non aver “mai pagato, ne’ conosciuto” l’assessore Renato Boraso, in carcere per corruzione. Kwong, indagato dai pm Roberto Terzo e Federica Baccaglini, ha fatto conoscere la sua posizione attraverso il proprio difensore, l’avvocato Guido Simonetti. Nelle carte dell’accusa il miliardario asiatico è chiamato in causa – per l’acquisto dei due palazzi veneziani Donà e Papadopoli, e per la trattativa sui ‘Pili’ – assieme a Luois Lotti, suo plenipotenziario in Italia, e Claudio Vanin, imprenditore prima con loro in affari, ora ingaggiato in una dura lotta legale con Lotti.. A Venezia c’è intanto attesa per capire quali saranno le mosse del sindaco Luigi Brugnaro, a sua volta indagato, che pressato dei partiti della sua maggioranza – in particolare Fdi – ha deciso di anticipare al 2 agosto (prima era il 9 settembre) la data del chiarimento in Consiglio Comunale. Brugnaro continua a lavorare, e non ha intenzione di presentarsi dimissionario.

E se può essere suggestivo accostarvi oggi le dimissioni di Giovanni Toti, suo ex compagno di avventura in ‘Coraggio Italia’, da ambienti vicini a Ca’ Farsetti si fa notare come le due vicende siano “completamente diverse”. Brugnaro è indagato per concorso in corruzione con i due dirigenti dell’ufficio di gabinetto Morris Ceron e Derek Donadini. Quando scoppiò l’inchiesta il Procuratore Bruno Cherchi aveva sottolineato che l’iscrizione del sindaco nel registro era stata fatta solo “a sua tutela”. I chiarimenti veri, tuttavia, non saranno possibili fino a quando i nomi di peso finiti nell’inchiesta non decideranno di presentarsi davanti ai magistrati. Oggi intanto ha provato a chiarire la propria posizione l’uomo d’affari singaporiano “Ching Chiat Kwong – ha dichiarato l’avvocato Simonetti – “non ha mai disposto né effettuato (neppure tramite persone terze) il pagamento di una somma nei confronti dell’assessore Renato Boraso”.

Inoltre “non ha mai neppure conosciuto l’assessore Renato Boraso”. E sulle due operazioni portate a termine da Kwong a Venezia, viene sottolineato che i due edifici citati nell’inchiesta, palazzo Donà e palazzo Papadopoli, “sono stati acquistati attraverso una procedura ad evidenza pubblica e a prezzi in linea (se non superiori) al loro valore di mercato”. Nelle carte dell’inchiesta, l’accusa sottolinea tuttavia che proprio per far abbassare il valore di acquisto di palazzo Papadopoli, da 14 mln a 10,7 mln, Boraso avrebbe ricevuto da Kwong “”per il tramite dei suo collaboratori”, la somma di 73.200 euro, attraverso due fatture da 30.000 euro più Iva, emesse da una società dell’assessore, la Stella Consuting, per una consulenza “in realtà mai conferita, ne’ eseguita”. Quanto all’affare, poi sfumato, dei Pili, l’avvocato di Kwong evidenzia “come la trattativai non si sia in alcun modo mai concretizzata, fermandosi ad uno stadio del tutto embrionale”.

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‘Sgomberate la Vela’, l’ordinanza del 2015 mai eseguita

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Un’ordinanza datata ottobre 2015 metteva in guardia dal pericolo crolli: la Vela Celeste va sgomberata, il succo di una relazione del Comune di Napoli messa nero su bianco. La firma in calce è quella del sindaco dell’epoca, Luigi de Magistris. Un sos che non troverà mai seguito e di cui oggi la città piange le conseguenze dopo il crollo del ballatoio-passerella che lunedì sera ha determinato la morte di tre persone e il ferimento di altre dodici. Dunque, non solo il documento datato 2016 che denunciava la mancata manutenzione dei ballatoi della Vela Celeste di Scampia con relativo rischio crollo, dal passato emerge anche un’altra carta che chiama in causa l’immobilismo delle istituzioni. Perché quell’ordinanza di sgombero coatto non è mai stata presa in considerazione?

E perché si è preferito agire con degli accorgimenti che sanno di palliativo piuttosto che affrontare di petto l’emergenza segnalata da quel documento pubblicato sull’albo pretorio del Comune? Domande in attesa di risposta e sulle quali la procura di Napoli – che ha aperto un’indagine contro ignoti per crollo colposo e omicidio colposo – intende fare chiarezza. L’ordinanza firmata de Magistris – è quanto emerge – era dettata dalla necessità di tutelare l’incolumità di 159 famiglie per un totale di 600 persone residenti nella Vela Celeste. Alla base del provvedimento c’era la relazione di un dirigente comunale che delineava un quadro di pericolo allarmante. Anche la politica chiede di fare chiarezza.

A partire dalla segretaria del Pd Elly Schlein che ne ha parlato al festival di Giffoni: “È un tragedia drammatica – ha detto -. Abbiamo immediatamente espresso tutta la nostra vicinanza alle persone, alle famiglie, al quartiere colpito. C’è da fare luce su quello che è accaduto perché non può succedere una cosa del genere”. Fare luce è quello che intende fare la Procura di Napoli che ha disposto l’ampliamento dell’area sottoposta a sequestro, dal terzo piano fino al piano terra. Le verifiche stanno riguardando anche le posizioni dei residenti nella Vela “incriminata” che, in gran parte, secondo quanto si apprende da fonti qualificate, risulterebbero abusivi. E intanto si sta rivelando più difficoltosa del previsto l’acquisizione della copiosa documentazione amministrativa sulla Vela Celeste. Si tratta in particolare degli atti relativi al progetto di riqualificazione ReStart e alla manutenzione del complesso di edilizia popolare con relative negligenze che oramai sono date per scontate. Fondamentali saranno per gli inquirenti le risultanze del lavoro affidato al perito, un ingegnere strutturista forense. Conferito, infine, l’incarico per gli esami autoptici sui corpi delle tre vittime.

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