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Cronache

Fece causa alle Poste quando era detenuto per lo smarrimento di un pacco, da 17 anni è in attesa di una sentenza

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Siamo tutti presi a leggere dei giochetti (veri o presunti) per le nomine dei capi degli uffici inquirenti più importanti d’Italia, facciamo tutti finta di non aver mai capito che organi aventi rilievo costituzionale come il Consiglio Superiore della magistratura assomigliano sempre più a quei vecchi partiti della prima repubblica che avevano più correnti che voti. Siamo così presi da questo malcostume italiano che dimentichiamo le ingiustizie che in questo Paese sono costretti a subire i cittadini  normali, siano essi attori o convenuti nelle aule di giustizia, colpevoli o innocenti, assolti o condannati. Una volta finiti nel frullatore della giustizia l’unica certezza che può capitare è che non avrai mai una  risposta definitiva, seria, certa. Detta così, molti di voi diranno che l’hanno già sentita questa lamentela. Ed è vero. Ma vi facciamo un esempio, vi raccontiamo un fatto per farvi capire lo stato di prostrazione di chi è costretto a domandare giustizia in questo Paese.

È il caso di un detenuto che nel 2002 si trovava in carcere a Poggioreale e che per questioni che non stiamo qui a rispiegare fece causa a Poste Italiane perchè le lettere che lui spediva alla sua famiglia, i pacchi che inviava alla sua bambina a casa, non arrivavano mai a destinazione. Nonostante lui pagasse raccomandate, pacchi postali e fosse in possesso di normali ricevute di spedizione dalla posta del carcere. Tutto quello che spediva si volatilizzava, spariva nel nulla. Da qui la causa promossa nel 2002 da questo detenuto, Giampiero Sessa, contro Poste. Da un lato lui che chiedeva di essere ristorato dei danni subiti dalla perdita di un pacco postale con giocattoli per la sua bambina, dall’altro le Poste che sosteneva che il pacco era andato smarrito e che nulla era dovuto al ricorrente perchè nulla era previsto nel 2002 in caso di smarrimento di un pacco.  La controversia giudiziaria, peraltro di piccolo importo, cominciata davanti al giudice di pace, sapete come è andata a finire? Succede che pure la giustizia, come il pacco postale, s’è persa nei meandri di uffici, palazzi, cartuscelle, giudici che cambiano, fascicoli che si perdono e vanno ricostruiti, udienze che saltano e che vengono riconvocate.

Il legale dell’ex detenuto. Angelo Pisani era un giovane avvocato quando avviò la causa

Insomma, per non tirarla a lungo questa banale causa di pochi soldi va avanti da 17 anni. Ora, senza voler prendere le parti di alcuno (ex detenuto ora libero, Poste Italiane che nel frattempo a consegnare pacchi ci manda altri), quello che fa davvero rabbrividire è che dopo 17 anni non c’è stato un giudice a Napoli che è stato capace di dire chi ha torto e chi ha ragione. Oggi c’era una udienza con testimone. Sembrava finalmente che il giudice (l’ennesimo giudice) potesse fare giustizia. E invece il giudice che pure l’udienza l’aveva convocata ha fatto trovare affissa alla porta degli uffici del giudice di pace di Napoli una bella letterina in cui  rinvia il tutto al 13 dicembre del 2019. Motivo? Non è dato sapere. Non si è presentato il giudice, e la cartuscela affissa all’esterno dell’Aula dice che ci si rivede, forse, il 13 dicembre, tra sei mesi. Che cosa dice l’avvocato del detenuto Giampiero Sessa, che sta invecchiando assieme al suo assistito in attesa di giustizia? “Se un giorno riusciremo ad avere una risposta dal sistema Giustizia, speriamo di ottenere un duplice risarcimento sia per le ingiustificate lungaggini processuali così come previsto dalla legge “Pinto” che per l’inadempimento e le violazioni subite dalla sfortunata vittima per colpa di Poste Italiane, che si appella alla sua carta servizi dove esclude risarcimenti” dichiara l’avvocato Angelo Pisani. “Certo – aggiunge Pisani – è assurdo che un processo possa durare oltre 17 anni con i relativi e conseguenti costi che gravano sulle tasche dei contribuenti e senza un minimo di giustizia per chi viene trattato come un numero da banche, assicurazioni e servizi postali e purtroppo in questo caso anche dalla giustizia”.

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Cronache

Muore a 38 anni dopo intervento estetico in una clinica privata di Caserta

Sabrina Nardella, 38 anni di Gaeta, è morta durante un intervento estetico alla clinica Iatropolis di Caserta. Disposta l’autopsia per chiarire le cause del decesso.

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Sarà l’autopsia a stabilire con precisione che cosa ha provocato la morte di Sabrina Nardella (nella foto), 38 anni, madre di due figli piccoli, deceduta giovedì scorso nella clinica privata Iatropolis di Caserta durante un intervento di chirurgia estetica. La donna, residente a Gaeta, si era recata in Campania per sottoporsi a quello che le era stato prospettato come un intervento di routine, in anestesia locale e in day hospital.

Il malore improvviso e le indagini in corso

Durante l’operazione, però, Sabrina ha avuto un improvviso malore che l’ha portata a perdere conoscenza. I medici hanno tentato la rianimazione, ma ogni tentativo è stato vano. I vertici della clinica hanno subito avvertito i carabinieri, che su disposizione della Procura di Santa Maria Capua Vetere hanno sequestrato la cartella clinica e identificato l’équipe medica. I componenti saranno presto iscritti nel registro degli indagati in vista dell’autopsia, che servirà a chiarire cause e responsabilità.

Una comunità sconvolta dal dolore

La città di Gaeta è sotto shock. Il sindaco Cristian Leccese ha ricordato Sabrina con parole di grande commozione: «Era una persona dolce, un’ottima madre, conosciuta e stimata da tutti. La sua improvvisa scomparsa ha lasciato un profondo vuoto nella nostra comunità».

I precedenti inquietanti della clinica

La clinica Iatropolis non è nuova a casi simili. Un anno fa, la pianista Annabella Benincasa è morta dopo 14 anni di stato vegetativo, conseguenza di uno shock anafilattico subito nel 2010 proprio in questa struttura. In quell’occasione, i medici furono condannati per lesioni gravissime. Altri episodi di reazioni avverse all’anestesia si sono verificati negli anni, alimentando polemiche sulla sicurezza degli interventi praticati nella clinica.

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Cronache

Cadavere nel lago, è un 51enne morto forse per un malore

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E’ un 51enne di Calvizzano (Napoli) l’uomo trovato senza vita nel lago di Lucrino a Pozzuoli. La salma è stata sequestrata per esami autoptici. Tra le ipotesi più accreditate c’è quella di un malore.

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Cronache

Verso Conclave tra suffragio e diplomazia, domani la data

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Secondo il testo liturgico che definisce le regole e le modalità di cosa avviene dopo la morte di un Papa – l’Ordo Exsequiarum Romani Pontificis -, il Conclave inizia tra il 15/o e il 20/o giorno dal decesso, quindi tra il 5 e il 10 maggio prossimi. Oppure tra il 6 e l’11 maggio se si conta dal giorno successivo alla morte. Anche questo ‘busillis’ sarà risolto domattina, quando la quinta congregazione generale dei cardinali stabilirà la data definitiva. Il calendario della settimana prevede congregazioni la mattina alle 9.00 e, nel pomeriggio alle 17.00, le messe dei ‘novendiali’ nella Basilica vaticana: il ciclo dei nove giorni di suffragio, iniziato ieri con la messa esequiale presieduta in Piazza San Pietro dal cardinale decano Giovanni Battista Re, si esaurirà domenica 4 maggio.

Dopo di che il possibile ingresso in Sistina e l'”extra omnes” che apre il Conclave. I 135 ‘elettori’ (134 considerando il forfait per motivi di salute del cardinale di Valencia Antonio Canizares Llovera) stanno convergendo a Roma. Molti si conosceranno direttamente nelle congregazioni, dove, in tema di strategie che porteranno all’elezione del nuovo Papa, conterà molto anche il peso di non-elettori, cioè i cardinali ‘over-80’, che mantengono la loro capacità di influenza e di orientare consensi. Una sorta di ‘grandi elettori’, insomma, anche se poi nel chiuso della Sistina ognuno risponde a sé stesso e, secondo quello che è il metro cattolico, allo Spirito Santo. Tra questi ‘grandi vecchi’ c’è sicuramente il 91/enne decano Re, mentre non si sa tra gli italiani quanto potranno esercitare un ruolo di indirizzo ex presidenti Cei come Camillo Ruini e Angelo Bagnasco.

Fra gli stranieri con capacità di spostare voti, e non presenti in Conclave, ci sono il cardinale di Boston Sean Patrick O’Malley, il più attivo promotore della lotta agli abusi sessuali, quello di Vienna Christoph Schoenborn, fine teologo ex allievo di Joseph Ratzinger e fiduciario di papa Bergoglio in ruoli-guida di vari Sinodi come quelli sulla famiglia, o l’ex prefetto dei vescovi, il canadese Marc Ouellet, influente anche in America Latina, da ex presidente della Pontificia Commissione competente. Intanto oggi, la scena tra i ‘papabili’ è stata tutta per Pietro Parolin, già segretario di Stato, che ha presieduto in Piazza San Pietro la seconda messa dei ‘novendiali’, davanti ai 200 mila partecipanti al Giubileo degli adolescenti.

Da stretto collaboratore di papa Bergoglio, la sobrietà, il piglio sicuro ma anche affabile e umano con cui ha portato avanti la celebrazione ha ricordato quelli dell’allora prefetto per la Dottrina della fede e decano del Collegio cardinalizio Joseph Ratzinger nell’officiare venti anni fa i funerali di Giovanni Paolo II, uscendone come l’unico vero candidato alla successione. Nella messa di oggi, in cui ha assimilato la tristezza, il turbamento e lo smarrimento per la morte di Francesco a quelli degli “apostoli addolorati per la morte di Gesù”, Parolin è come se avesse esposto sinteticamente una sorta di suo ‘programma’, sulla scia del grande pontificato appena concluso. Ha spiegato che l'”eredità” del Pontefice “dobbiamo accoglierla e farla diventare vita vissuta, aprendoci alla misericordia di Dio e diventando anche noi misericordiosi gli uni verso gli altri”.

“Solo la misericordia guarisce e crea un mondo nuovo, spegnendo i fuochi della diffidenza, dell’odio e della violenza: questo è il grande insegnamento di Papa Francesco”, ha sottolineato, a proposito di un Pontefice che alla misericordia dedicò anche un Anno Santo straordinario. Papa Francesco “ci ha ricordato che non può esserci pace senza il riconoscimento dell’altro, senza l’attenzione a chi è più debole e, soprattutto, non può esserci mai la pace se non impariamo a perdonarci reciprocamente, usando tra di noi la stessa misericordia che Dio ha verso la nostra vita”. Una misericordia che è guida anche nell’azione diplomatica della Santa Sede, come si è visto ancora ieri nell’incontro in Basilica tra Donald Trump e Volodymyr Zelensky, in una foto che ha fatto il giro del mondo ed è rimasta l’emblema della giornata: non pochi l’hanno definita “l’ultimo miracolo di papa Francesco”.

Zelensky ieri ha anche incontrato proprio Parolin, capo della diplomazia d’Otretevere, ringraziando poi su X “per il sostegno al diritto dell’Ucraina all’autodifesa e al principio secondo cui le condizioni di pace non possono essere imposte al Paese vittima”. E oggi, per l’incontro in Basilica, l’ambasciatore ucraino Andrii Yurash ha riconosciuto con l’ANSA “il grande sostegno della Santa Sede”.

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