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Esteri

Ex talpa Fbi aiutato da 007 russi per infangare Biden

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La Russia entra a gamba tesa nella campagna elettorale americana. Alexander Smirnov, l’ex informatore dell’Fbi incriminato nei giorni scorsi per aver mentito al Bureau inventando le accuse di corruzione contro Joe Biden e suo figlio Hunter, ha confessato di essere stato aiutato da 007 russi nel tentativo di infangarli. La rivelazione è stata fatta dal dipartimento di Giustizia in un memo relativo alla sua detenzione, nel quale si afferma che l’ex talpa ammette contatti “estesi ed estremamente recenti” con dirigenti dell’intelligence di Mosca.

Smirnov, 43 anni, era stato arrestato nei giorni scorsi all’aeroporto internazionale Harry Reid di Las Vegas dopo il suo arrivo dall’estero. Era considerato uno dei testimoni chiave dell’indagine di impeachment lanciata dai repubblicani alla Camera contro il presidente e la sua presunta complicità nei controversi affari stranieri del figlio Hunter. L’ex informatore dell’Fbi è stato incriminato per aver mentito sul presunto coinvolgimento di Joe Biden e di Hunter nelle attività della società energetica ucraina Burisma, quando il primo era vicepresidente e il secondo sedeva nel board della compagnia a 50 mila dollari al mese.

In particolare, è accusato di aver fatto “false dichiarazioni” e di aver “creato un precedente falso e fittizio” in relazione a un’indagine dell’Fbi, di cui è stato a lungo una talpa. Secondo l’accusa, nel 2020 Smirnov mentì raccontando due incontri del 2015 o 2016 in cui dirigenti associati a Burisma gli avrebbero detto di aver assunto Hunter Biden per “proteggerci, attraverso suo padre, da ogni tipo di problema”. L’ex informatore ha anche affermato falsamente che i dirigenti di Burisma avevano pagato 5 milioni di dollari ciascuno a Joe e Hunter Biden quando il primo era vicepresidente in modo che suo figlio “si prendesse cura di tutte quelle questioni attraverso suo padre”: un riferimento a un’indagine penale sulla compagnia energetica dell’allora procuratore generale ucraino, poi silurato su richiesta dello stesso Joe Biden – ma anche dei Paesi occidentali – per presunta corruzione.

I rapporti tra i Biden e Burisma sono stati a lungo al centro di accuse e sospetti, alimentati da Donald Trump e dai suoi alleati, e finiti al centro dell’inchiesta di impeachment lanciata in dicembre alla Camera. Ma l’arresto dell’ex talpa infligge un duro colpo al castello accusatorio dei repubblicani, secondo cui Biden avrebbe favorito gli affari del figlio all’estero e ne avrebbe beneficiato finanziariamente. E le ultime rivelazioni sollevano sospetti inquietanti su una regia del Cremlino per favorire Donald Trump, anche se recentemente Vladimir Putin ha detto che preferirebbe Joe Biden perchè “più preparato” ma anche “più prevedibile”.

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Esteri

Gaza, il Consiglio di Sicurezza approva il piano di pace di Trump: via libera alla forza internazionale di stabilizzazione

Con 13 voti a favore e l’astensione di Russia e Cina, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu approva la risoluzione Usa sul piano di pace di Trump e sulla forza internazionale incaricata di smilitarizzare Gaza.

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Fumata bianca al Palazzo di Vetro: il Consiglio di Sicurezza dell’Onu (foto Imagoeconomica) ha approvato la risoluzione statunitense che sostiene il piano di pace di Donald Trump per Gaza e autorizza una forza internazionale di stabilizzazione incaricata anche del disarmo di Hamas. Il voto è passato con 13 sì e due astensioni, quelle di Cina e Russia.

La soddisfazione di Washington

L’ambasciatore americano Mike Waltz ha definito la risoluzione “storica”, sottolineando che sotto la presidenza Trump gli Stati Uniti intendono “continuare a portare risultati” insieme ai partner internazionali. L’approvazione del documento apre la fase due del piano: dopo tregua, scambio dei prigionieri e parziale ritiro dell’Idf dalla Striscia, parte il percorso politico e di sicurezza.

Le trattative e il nodo Mosca-Pechino

Il voto era incerto fino all’ultimo: Russia e Cina avevano criticato la bozza statunitense e presentato un testo alternativo che non prevedeva la smilitarizzazione di Gaza né il ruolo del Board of Peace, presieduto da Trump. La rinegoziazione del documento, unita al sostegno arrivato da numerosi Paesi arabo-musulmani e dall’Autorità Palestinese, ha reso difficile per Mosca e Pechino opporsi apertamente.

I contenuti della risoluzione

Il testo approvato stabilisce che gli Stati membri possono partecipare al Board of Peace fino al 31 dicembre 2027 e sostiene che potrebbero esserci le condizioni per un percorso credibile verso l’autodeterminazione palestinese, a condizione che l’Autorità Palestinese avvii riforme e che la ricostruzione di Gaza faccia progressi.
La forza internazionale, composta soprattutto da Paesi musulmani, avrà il mandato di disarmare Hamas e smantellarne le infrastrutture militari.

Le reazioni più dure: Hamas e Israele

Hamas e un gruppo di fazioni palestinesi hanno denunciato il provvedimento, definendolo un passo verso una tutela straniera sulla Striscia e respingendo ogni clausola di disarmo.
Dall’altro lato, il premier israeliano Benyamin Netanyahu, pressato dall’ala più a destra del suo governo, ha ribadito il rifiuto di uno Stato palestinese e promesso la smilitarizzazione di Gaza “con le buone o con le cattive”.

Tensioni anche in Cisgiordania

Sul terreno la situazione resta infiammata. In Cisgiordania, l’evacuazione dell’avamposto illegale di Tzur Misgavi ha scatenato violenti scontri tra coloni e polizia, con diversi agenti feriti e tentativi di resistenza da parte dei coloni. Disordini anche nel villaggio di Jaba’a, vicino Betlemme, con incendi a veicoli e abitazioni.

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Esteri

Cresce la tensione tra Giappone e Cina: Tokyo avverte i connazionali in Cina sui rischi di sicurezza

Tokyo avverte i cittadini giapponesi in Cina di evitare folle e prestare massima attenzione, dopo le tensioni esplose per le parole della premier Sanae Takaichi su Taiwan.

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Il Giappone ha invitato i propri cittadini residenti in Cina a evitare grandi assembramenti e a prestare massima attenzione all’ambiente circostante. La decisione arriva nel pieno dello scontro diplomatico causato dai commenti della premier Sanae Takaichi su un possibile intervento militare giapponese in caso di attacco cinese a Taiwan.

L’avvertimento dell’ambasciata giapponese

In una nota pubblicata sul sito ufficiale, l’ambasciata giapponese in Cina ha chiesto ai connazionali di evitare i luoghi molto affollati o riconoscibili come ritrovi abituali della comunità giapponese. Le indicazioni seguono l’avviso di Pechino ai propri cittadini di non recarsi in Giappone.

La posizione del governo giapponese

Il capo di gabinetto Minoru Kihara ha spiegato che l’avvertimento è stato deciso dopo “una valutazione completa della situazione politica e della sicurezza nel Paese o nella regione interessata”, sottolineando l’esigenza di cautela in un quadro definito particolarmente delicato.

Le parole della premier Takaichi e la reazione cinese

Lo scontro è esploso dopo le dichiarazioni rilasciate da Takaichi il 7 novembre in Parlamento. La premier aveva ipotizzato la possibilità di un intervento militare giapponese basato sul principio di “autodifesa collettiva” nel caso di un attacco cinese a Taiwan.

Pechino ha giudicato “inappropriati” i commenti, reagendo con durezza e riaffermando la propria posizione: Taiwan è considerata una parte “sacra” e “inalienabile” del territorio cinese, da riunificare anche con la forza se necessario.

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Esteri

Larry Summers lascia gli impegni pubblici dopo la diffusione dei documenti sul rapporto con Jeffrey Epstein

Larry Summers annuncia il ritiro dagli impegni pubblici dopo la pubblicazione di nuovi documenti sui suoi contatti con Jeffrey Epstein. Decisione motivata dalla volontà di “ricostruire la fiducia”.

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La pubblicazione di nuovi documenti relativi ai contatti tra Larry Summers e Jeffrey Epstein ha prodotto un terremoto politico e accademico negli Stati Uniti. Le informazioni diffuse dalla commissione di vigilanza della Camera hanno rivelato scambi di email tra i due, compreso un messaggio in cui Epstein si definiva la “spalla” di Summers.

Le pressioni bipartisan

Sia esponenti democratici sia repubblicani avevano chiesto alle organizzazioni che collaboravano con l’ex segretario al Tesoro di interrompere i rapporti. L’emersione dei file ha riacceso il dibattito sul ruolo di Summers e sulla sua permanenza nella vita pubblica.

La dichiarazione di Summers

In una nota inviata a diversi media, Summers ha affermato di provare “profonda vergogna” per le sue azioni e di assumersi “piena responsabilità” per la scelta di continuare a comunicare con Epstein. Ha aggiunto che, pur mantenendo gli obblighi accademici, si farà da parte dagli incarichi pubblici “per ricostruire la fiducia e riparare i rapporti con le persone a lui più vicine”.

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