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Erdogan manda le truppe in Libia,Tripoli verso l’abisso della guerra civile

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La Libia accelera a grandi passi verso l’abisso della guerra. Tre giorni dopo il voto del parlamento di Ankara che gli dava carta bianca, il presidente Recep Tayyip Erdogan ha deciso: i soldati turchi sono gia’ in viaggio verso Tripoli, per fornire aiuto militare al governo del premier Fayez al-Sarraj contro le truppe del generale Khalifa Haftar, che da mesi tenta di conquistare la capitale. Un annuncio, quello di Erdogan, arrivato in serata a sorpresa, quando sembrava che potesse ancora prevalere la carta della diplomazia e che l’annuncio del possibile intervento militare servisse solo come deterrente nei confronti di Haftar. Non e’ escluso che a pesare nelle valutazioni di Erdogan possa essere stato l’attacco al collegio militare di Hadaba, a sud di Tripoli, un’esplosione – apparentemente provocata da un missile, a giudicare da un video delle telecamere di sicurezza – che sabato sera ha provocato decine di morti e di feriti. Cadetti di polizia, ufficialmente. Miliziani pro-Sarraj, secondo voci alimentate dagli ambienti legati ad Haftar. In un’incrociarsi di dichiarazioni e smentite, le forze del generale di Bengasi si sono prima attribuite la responsabilita’ dell’attacco salvo poi negare in un secondo momento un coinvolgimento nel raid, sostenendo che si sia trattato invece di opera dei terroristi di Isis o di Al Qaeda. Dai quali tuttavia non e’ arrivata alcuna forma di rivendicazione. Il governo di Sarraj, che ha ricevuto anche una telefonata di condoglianze da Di Maio, ha continuato invece a ritenere che l’autore dell’attacco sia stata l’aviazione del generale Haftar sostenuta dagli Emirati Arabi, tanto che Tripoli ha chiesto anche una riunione d’emergenza del Consiglio di sicurezza dell’Onu per discutere delle “atrocita’ e dei crimini di guerra di Haftar”.

Tripoli nel caos. Scontri armati tra bande paramilitari nella capitale libica

Una situazione, insomma sempre piu’ confusa e pericolosa, per la quale Di Maio parla di “escalation pericolosissima” e che pone ora una serissima ipoteca sulle sorti della missione diplomatica europea che nei prossimi giorni – si era parlato del 7 gennaio come data plausibile ma non confermata – avrebbe dovuto approdare nel Paese nordafricano per tentare di ottenere un cessate il fuoco e la ripresa dei colloqui tra le due fazioni in conflitto. La Farnesina e il ministro degli Esteri hanno continuato a lavorare all’appuntamento e resta ora da vedere in che modo gli ultimi sviluppi peseranno sulla decisione. Prima dell’annuncio di Erdogan la missione risultava ancora in programma. A guidarla dovrebbe essere l’Alto rappresentante Joseph Borrell e dai ministri degli Esteri italiano, francese, tedesco e britannico. Da Bruxelles non confermano ne’ smentiscono per ora la missione: “la situazione in completa evoluzione su diversi fronti, dalla Libia all’Iran e all’Iraq – spiegano fonti europee -, non permette per il momento di fare nessuna programmazione sull’agenda dei prossimi giorni di Borrel”. Tradotto: tutto resta ancora in stand-by in attesa degli eventi. In corso c’e’ soprattutto una seria riflessione sulla sicurezza delle delegazioni, non tanto da parte italiana quanto dagli altri partner. La decisione insomma resta aperta fino all’ultimo momento, cosi’ come rimane in sospeso l’arrivo a Roma di Borrell e del ministro degli Esteri tedesco Heiko Maas per unirsi a Di Maio nell’eventuale partenza.

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Offensiva dell’Idf a Gaza, Hamas torna a trattare a Doha

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A Doha è arrivata l’ora più difficile. I negoziati indiretti tra Israele e Hamas possono mettere fine immediatamente alle sofferenze della popolazione di Gaza e dei 20 ostaggi vivi rinchiusi nei tunnel da 589 giorni, o crollare definitivamente, aprendo la strada all’offensiva di terra dell’Idf. Che porterebbe ancora più vittime e distruzioni nella Striscia, dopo le decine di morti contati negli ultimi due giorni e l’intensificazione dei raid israeliani che si appresta a lanciare l’operazione ‘Carri di Gedeone’. Le ondate di attacchi dei caccia di Tsahal nel nord e nel sud dell’enclave, che preparano il terreno per l’ingresso delle truppe, hanno suscitato forte preoccupazione e condanna internazionale.

A cominciare dal ministro degli Esteri Antonio Tajani, che chiede a Israele di fermare gli attacchi, alla Germania che teme per la vita dei rapiti e la catastrofe umanitaria nella Striscia, alle parole del primo ministro spagnolo Pedro Sanchez che sollecita “la pressione su Gerusalemme affinché fermi il massacro a Gaza”. I leader arabi nella dichiarazione finale del vertice a Baghdad hanno esortato la comunità internazionale a intervenire per un cessate il fuoco e l’accesso degli aiuti umanitari al territorio palestinese. Le famiglie degli ostaggi nel pomeriggio di sabato hanno raggiunto il comando militare dell’Idf a Tel Aviv per protestare contro l’intensificarsi delle operazioni militari, poi in serata migliaia di persone sono scese per strada chiedendo il ritorno degli ostaggi in una piazza estremamente tesa dopo l’annuncio dell’esercito, poco prima della mezzanotte tra venerdì e sabato, dell’avvio dell’operazione ‘Carri di Gedeone’. Inizio che era già stato preannunciato come ultimatum a Hamas in coincidenza con la fine della visita del presidente Usa Donald Trump in Medio oriente.

Con una nota ufficiale il ministro della Difesa Israel Katz ha fatto sapere che “con l’avvio dell’operazione a Gaza, la delegazione di Hamas a Doha ha annunciato la ripresa dei negoziati per un accordo sul rilascio degli ostaggi, contrariamente alla posizione di rifiuto assunta fino a quel momento”. L’organizzazione fondamentalista ha confermato a Reuters la partecipazione a un “nuovo ciclo di colloqui” in Qatar. Secondo un alto funzionario di Hamas, Taher al-Nono, le parti stanno discutendo “di tutte le questioni, senza condizioni preliminari”. In un’intervista a Sky News, Bassem Naim, capo del dipartimento politico del movimento a Gaza, ha affermato che Hamas si dimetterebbe dal potere per raggiungere la pace. Secondo la tv egiziana Al-Ghad, il vero incontro cruciale a Doha avrà luogo tra l’alto funzionario di Hamas Khalil al-Hayya, responsabile dei negoziati per conto dell’organizzazione islamista, e il primo ministro del Qatar al-Thani. Una fonte a conoscenza dei dettagli sui colloqui ha riferito sabato sera al notiziario della Tv pubblica israeliana Kan che il negoziato “sta procedendo con slancio e che c’è la possibilità di una svolta nelle prossime 24 ore. Si sta discutendo del rilascio di dieci ostaggi immediatamente, in una sola volta, contemporaneamente all’inizio di un cessate il fuoco della durata di un mese e mezzo o due mesi.

Il decimo giorno dell’accordo, Hamas fornirà un elenco con lo stato degli ostaggi in suo possesso, sia vivi che morti. Inoltre, si discuterà della liberazione di circa 200-250 detenuti palestinesi, una questione che resta ancora da definire. Hamas insiste affinché gli americani forniscano garanzie più significative per una discussione sulla fine definitiva della guerra, anche se venisse concordato solo un cessate il fuoco parziale. “Netanyahu, hai un solo mandato: raggiungere un accordo per il ritorno di tutti gli ostaggi e porre fine a questa maledetta guerra. Se scopriamo che hai sabotato ancora una volta l’accordo, scateneremo una guerra totale contro il governo”, ha minacciato Einav Tsengauker, madre del rapito Matan.

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‘Mi ha minacciato di morte’, Trump accusa l’ex Fbi Comey

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Una criptica composizione di conchiglie su una spiaggia di sabbia bianca sta creando un putiferio nella politica americana. Principalmente perché la foto della scritta è stata postata da un ex direttore dell’Fbi e la persona che si è sentita direttamente chiamata in causa, anzi minacciata, è il presidente degli Stati Uniti. Se in più si considera che tra i due non corre buon sangue da anni, quello che sembrava un innocente post di inizio estate rischia di trasformarsi in un affare di Stato.

Tutto è nato giovedì scorso quando James Comey, ex capo dell’Agenzia che il tycoon ha silurato nel 2017 mentre stava indagando sulle presunte influenze della Russia nella vittoria di Trump alle elezioni dell’anni precedente, pubblica sul suo account Instagram l’immagine incriminata, un gruppo di conchiglie adagiate sulla battigia a formare ‘8647’ e sotto la scritta: ‘Curiosa formazione’. Passa qualche ore e alcuni sostenitori del presidente, nonché la segretaria per la sicurezza interna Kristi Noem, accusano Comey di aver lanciato una minaccia di morte contro il commander-in-chief sostenendo che il numero 86 sta per “uccidere” o “eliminare” e Trump è il 47esimo presidente americano. Ora, sul significato della sequenza ci sono pareri discordanti.

Il dizionario Merriam-Webster spiega che ’86’ è utilizzato al posto di “eliminare, disfarsi” di solito di vecchi arnesi o pentole in un ristorante, e deriva dal numero civico di un bar di New York durante il proibizionismo. Occasionalmente, si legge ancora nel vocabolario, può sostituire “uccidere” ma è un uso talmente raro che non può essere annoverato come significato ufficiale. Poi c’è chi fa notare che la sequenza è stata utilizzata per segnalare una protesta silenziosa contro Trump, come riportato dal sito Distractify a marzo, in alcuni video su TikTok e in aprile ad una protesta contro l’amministrazione. Sta di fatto che Comey ha negato di avere intenzioni bellicose e cancellato il post spiegando di “non essersi reso conto che alcune persone potessero associare quei numeri alla violenza. Non ci avevo mai pensato. Mi oppongo alla violenza di qualsiasi tipo”.

A The Donald, che nei confronti dell’ex direttore dell’Fbi ha il dente avvelenato da quasi dieci anni, la giustificazione non è bastata. “Sapeva esattamente cosa significava. Anche un bambino lo sa. Se sei il direttore dell’Fbi sai che significa assassinio”, ha attaccato il presidente in un’intervista a Fox New bollando Comey come un “poliziotto corrotto”. E così il Secret Service ha deciso di interrogare il funzionario venerdì, come ha annunciato su X Noem parlando di “un’indagine in corso”. “Continuerò a prendere tutte le misure necessarie per garantire la protezione del presidente Trump”, ha aggiunto la segretaria per la sicurezza interna. L’attuale capo dell’Fbi, Kash Patel, ha assicurato che la sua agenzia è in contatto con il Secret Service e “fornirà tutto il supporto necessario”, mentre la direttrice dell’Intelligence Nazionale Tulsi Gabbard, ha perfino chiesto il carcere per Comey accusandolo di aver messo in pericolo il tycoon proprio durante la sua missione in Medio Oriente.

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Cremlino, nuovi colloqui solo dopo lo scambio prigionieri

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La prosecuzione dei colloqui con l’Ucraina sarà possibile solo una volta completato lo scambio di prigionieri annunciato dalle due parti ieri a Istanbul. Lo ha affermato il Cremlino. “Ciò che resta da fare è quanto concordato ieri dalle delegazioni. Si tratta, ovviamente, principalmente di scambiare 1.000 prigionieri per 1.000”, ha insistito il portavoce presidenziale russo Dmitry Peskov (nella foto).

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