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Ely Schlein vince in grandi città ma nella Salerno di De Luca Bonaccini all’80%

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 Elly Schlein prevale grazie ai voti del centro-nord e delle aree urbane, Stefano Bonaccini non riesce a recuperare lo svantaggio con il grande successo al sud e nei paesi più piccoli. È quasi perfettamente divisa a metà la geografia del Pd uscita ieri dalle primarie. “Elly Schlein – riflette Lorenzo Pregliasco di Youtrend – ha vinto al nord e nelle grandi città, anche se si è imposta in alcuni piccoli centri. Più che questa dinamica ha contato però il voto d’opinione che nelle aree urbane è più forte. Ha contato molto questo e molto poco il sostegno delle correnti, che è più significativo nel voto degli iscritti nei circoli. Bonaccini, invece, è stato premiato da un tipo di voto più strutturato. Schlein è stata votata invece da un tipo di elettorato che ha visto in lei un segno di discontinuità rispetto al recente passato”.

La mappa delle primarie consegna, in ogni caso, una divisione territoriale nettissima con percentuali sopra il 60% per la neosegretaria in Piemonte, Liguria, Lombardia, Veneto, Friuli-Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige, con punte record del 74,14% a Trieste. Bonaccini fa invece cappotto al sud, in particolare in Campania e Calabria, sfiorando l’80% nella provincia di Salerno, del suo grande elettore Vincenzo De Luca.

L’unica eccezione a questa dinamica territoriale è stata l’Emilia-Romagna dove entrambi i candidati giocavano in casa, ma dove il radicamento di Bonaccini come presidente della Regione, lo ha fatto prevalere con il 56,4%. Schlein ha vinto a Bologna, con il 52% nella provincia, salita al 60% in città, grazie anche al sostegno del sindaco Matteo Lepore. “E’ difficile individuare un fattore demografico o di genere che possa aver fatto prevalere Schlein su Bonaccini – dice Pregliasco – ma è indubbio che nelle grandi aree metropolitane, dove l’affermazione di Schlein è stata netta, è tradizionalmente più forte il voto d’opinione”.

E così, alla fine, sono state proprio le principali aree metropolitane del paese a fare la differenza: a cominciare da Roma e Milano che da sole hanno sommato circa il 30% dei voti complessivi che sono arrivati alle primarie, dove Schlein ha sfiorato il 70% e dove ha accumulato i due terzi del vantaggio dei circa 82mila voti che alla fine le hanno permesso di prevalere su Bonaccini diventando segretaria del Partito Democratico.

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Grillo a Roma, vertice con Conte e Tridico sul lavoro

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Beppe Grillo è arrivato a Roma. Ogni volta che succede, attorno a lui si crea un po’ di subbuglio. L’occasione è una chiacchierata con il presidente uscente dell’Inps, Pasquale Tridico, e con il presidente del M5s, Giuseppe Conte. Con l’avvicinarsi della manifestazione “Basta vite precarie”, promossa a Roma il 17 giugno dal Movimento, i temi del confronto sono il lavoro e il sistema pensionistico. L’incontro è una sorta di corso autoformativo – è la spiegazione ufficiale – a porte chiuse, con un gruppo di parlamentari ed ex del M5s. Sede, l’hotel Forum, dove il garante del Movimento soggiorna quando è di stanza a Roma. Per lui, l’agenda prevede qualche giorno nella Capitale. I prossimi appuntamenti sono coperti da segreto, però trapela che ce ne saranno anche di carattere politico, con esponenti del M5s.

“Discuteremo fra noi di lavoro e sistema pensionistico”, ha riposto Conte a chi gli chiedeva informazioni sull’incontro con Tridico e il fondatore. D’altronde – ricordava un esponente del M5s – solo un paio di settimane fa Grillo era a Roma per una plenaria con i gruppi. Il primo turno delle amministrative era già passato e che le cose non fossero andate per il meglio già si sapeva. Quindi, se ci fosse da fare qualche appunto su quello, già ce ne sarebbe stata l’occasione. In Transatlantico, qualche osservatore ha invece notato la tempistica: l’incontro avviene mentre Tridico sta per lasciare la presidenza dell’Inps, dove arrivò quando Conte era presidente del consiglio. Ma non c’è dichiarazione o atto che possa far tirar somme. E il prossimo appuntamento da tenere d’occhio sono le europee 2024, ancora troppo in là per far programmi. Di sicuro c’è che le visioni del M5s e quella di Tridico hanno punti in comune. Non a caso, Grillo ha postato il riassunto di un articolo del presidente Inps: “In Italia, come anche negli altri paesi dell’Ue, continuiamo ad avere come punto di riferimento principale per la tassazione, il lavoro. Il nostro modello di welfare, che si basa sulla contribuzione dei lavoratori, fra non molto sarà a rischio sostenibilità. Se la tassazione fosse riequilibrata sulla base del fatturato, del giro di affari delle aziende, e se applicassimo una minimum tax sugli utili delle società di capitale, il nostro welfare acquisirebbe la sostenibilità necessaria. Tuttavia, un tale approccio dovrebbe avvenire dentro l’unione Europea”.

Fra i partecipanti all’incontro, Chiara Appendino, Paola Taverna, Nunzia Catalfo. La manifestazione del 17 giugno sarà anche un’occasione per misurare il clima fra le forze di opposizione. Chi ci sarà, come ci sarà. Conte non esclude il dialogo: “Siamo disponibili. Anche sul tema della sicurezza vorrei che nel campo progressista ci fosse una seria valutazione, non lascerei questa prospettiva solo alla destra. Su questo vorrei che sfidassimo il governo”.

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Meloni difende norma Corte dei Conti, fatto come Draghi

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Giorgia Meloni difende la stretta sulla sulla Corte dei Conti inserita nel decreto sulla pubblica amministrazione all’esame della Camera. In un’intervista a Quarta Repubblica ci tiene anche a precisare che la paternità delle norme non è del suo esecutivo ma di Mario Draghi: “Sommessamente osservo che facciamo quello che ha fatto il precedente governo”, scandisce la premier che poi non esita a definire la sinistra “molto in difficoltà. Loro – sottolinea – dicono che c’è una deriva autoritaria sulla Corte dei Conti che invece continua a fare i controlli, fa la relazione semestrale e nessuno le ha messo un bavaglio”.

Parole smentite da Debora Serracchiani, capogruppo Pd ai tempi del governo Draghi: l’ex governatore “non ha eliminato il controllo concomitante della Corte dei Conti.Anzi, è il contrario, l’introduzione di quel controllo è stato uno dei punti più alti dell’attività parlamentare”. Il tono netto di Giorgia Meloni non cambia quando parla più nel dettaglio della segretaria del Pd, “quello che mi ha colpito – osserva parlando di Schlein – è che abbia detto che abbiamo un problema col dissenso: se il segretario del Pd, del secondo partito italiano non distingue tra dissenso e censura allora abbiamo sì un problema”.

E mentre “la sinistra parla di deriva autoritaria”, prosegue nell’intervista, “l’Italia è la nazione che cresce di più in Europa, ha raggiunto il suo record storico di numero di occupati. Tutto questo deriva da molte cose, certo, ma dopo 7 mesi di governo dimostra che c’è una solidità che libera le energie”. Ed è proprio il governo il secondo macrotema affrontato dalla premier. L’intenzione è ovviamente quella di arrivare alla fine della legislatura: “Penso di avere un vantaggio, che è il tempo: io sono a capo di una maggioranza solida, mi do 5 anni di orizzonte”.

Questo non vuol dire però scendere a patti con “i diavoletti” (come li chiama Nicola Porro, il conduttore della trasmissione) “certo – è la premessa – devi cercare soluzioni praticabili, ma non ho cambiato idea rispetto a quello che dissi qui in trasmissione due anni fa: se per privilegiare me stessa devo svendere me o la nazione, io non sono disposta a farlo”. Meloni rivendica poi quanto fatto fino ad ora dal suo esecutivo.

“Perchè faccio il giro del mondo? Cosa vado a fare? Vado a difendere l’interesse nazionale italiano”, sottolinea aggiungendo “faccio un accordo, dico una cosa e la faccio: non sono l’Italia spaghetti e mandolino che dice di sì e sorride nelle foto e poi si fa fregare tutto o prova a fregarti. Voglio un’Italia che cammini a testa alta nella storia e credo che con questa capacità di stringere rapporti si portano i risultati”. La presidente del Consiglio annuncia quindi la visita in Tunisia: “è in difficoltà. Vive una situazione molto delicata perchè rischia un default finanziario e chiaramente se va giù il governo tunisino vivremo uno scenario assolutamente preoccupante. Ed è questo lo scenario su cui lavoriamo”, dice Nessun tentennamento poi sul sostegno all’Ucraina su cui la premier è disposta anche a perdere un pezzo della “popolarità. La mia coscienza mi dice che sull’Ucraina il modo migliore è fare esattamente quello che stiamo facendo”. In un sistema multilaterale e globalizzato” si “lavora innanzitutto sul piano internazionale perchè nessuno può pensare di fermare il vento da solo con le mani.

Quindi le relazioni sono importanti e la collaborazione richiede credibilità, affidabilità e serietà. E io se faccio un accordo, dico una cosa e la faccio: io non sono l’Italia spaghetti e mandolino che dice di sì e sorride nelle foto e poi si fa fregare tutto o prova a fregarti. Io voglio un’Italia che cammini a testa alta nella storia e credo che con questa capacità di stringere rapporti si portino i risultati”,conclude la premier.

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Politica

La missione di Meloni, un compromesso fra Tunisia e Fmi

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Nelle ultime settimane è calato il numero di migranti arrivati in Italia dalla Tunisia e dopo l’invito del presidente Kais Saied la visita di Giorgia Meloni a Tunisi è stata organizzata in 48 ore: sono due segnali che generano ottimismo nel fronte italiano alla vigilia della missione della premier, una visita lampo in mattinata che ha un duplice obiettivo. Da una parte sbloccare gli aiuti europei (500 milioni di euro) e almeno alcune rate dei quasi 2 miliardi di dollari messi sul tavolo dal Fmi; dall’altra strappare da Saied un po’ di flessibilità sulle riforme che il Fondo monetario internazionale pone come condizione (la fine di alcuni sussidi su benzina e farina, il taglio della spesa per i dipendenti pubblici, per limitare il debito) e che il presidente tunisino rigetta come diktat inaccettabili.

La visita è stata preceduta da un lavoro diplomatico che da mesi vede coinvolti la stessa premier e il ministro degli Esteri Antonio Tajani. “Oggi la Tunisia è in difficoltà – ha spiegato la presidente del Consiglio -. Vive una situazione molto delicata perché rischia un default finanziario e chiaramente se va giù il governo tunisino vivremo uno scenario assolutamente preoccupante. Ed è su questo scenario che lavoriamo”. Dopo la telefonata di venerdì scorso, Meloni incontrerà Saied e poi Najla Bouden Ramadan (anche lei prima donna premier nel suo Paese): saranno affrontate le relazioni fra Italia e Tunisia (presto legate anche da un elettrodotto sottomarino di 200 chilometri), ma soprattutto si parlerà degli aiuti internazionali e del tema, decisamente intrecciato, dei flussi migratori. Questione su cui il presidente tunisino ha proposto una conferenza ad alto livello tra i Paesi interessati, fra Nord Africa, Sahel, Sahara e Mediterraneo. Da marzo il governo italiano denuncia l’allarme Tunisia con il timore di una catastrofe umanitaria, con 900mila potenziali rifugiati.

“Il prossimo Consiglio Ue”, a fine giugno, “deve agire subito”, auspicava Meloni al G7: in Giappone ne ha parlato con il presidente francese Emmanuel Macron, con Kristalina Georgieva, direttrice generale del Fmi, e la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. Qualche giorno dopo, al vertice della Comunità politica europea, ha avuto anche un trilaterale con la stessa von der Leyen e il primo ministro olandese Mark Rutte, che sul dossier migranti ha una linea vicina a quella di Meloni, e non ha escluso la possibilità di un viaggio insieme in Africa. Così nasce questa missione italiana ( nota a tutte le cancellerie Ue), nuova tappa africana dopo Algeria e Libia. Un percorso anche legato Al Piano Mattei, che sarà presentato a ottobre.

La gestione del dossier Tunisia può diventare emblematico. La premier è convinta che verso Tunisi in questo momento serva più pragmatismo che rigidità. L’obiettivo, spiegano fonti italiane, è non fare arenare il processo ma cercare un compromesso sulle riforme per ristrutturare l’economia. Vanno “calibrate alle esigenze sociali della popolazione”, ha detto Tajani, che in serata ha sentito il suo omologo tunisino Nabil Ammar e nei prossimi giorni a Washington incontrerà Georgieva. La speranza italiana è che da Tunisi arrivi un segnale rassicurante sulla volontà di un accordo equilibrato. Saied è a capo dell’unico Paese uscito dalle primavere arabe con una democrazia, però sempre più fragile. Ha risposto a muso duro a quelle cancellerie che hanno criticato l’arresto dello storico leader del partito islamico tunisino, Ennhadha Rached. Il tema dei diritti civili non è estraneo alle tensioni che hanno frenato i finanziamenti del Fmi. In Tunisia, dice Patrick Zaki a Repubblica, “è evidente una preoccupante deriva verso la dittatura”.

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