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Cronache

Ecco i nomi di 18 medici e 10 infermieri indagati per aver stipulato un accordo criminale per assentarsi all’ospedale di Sessa Aurunca

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Sequestrato l’ospedale di Sessa Aurunca per mancanza di autorizzazioni e per “gravi irregolarità strutturali, funzionali e organizzative”

C’era un accordo criminale tra medici per timbrare il cartellino ed assentarsi dal lavoro durante l’orario di servizio all’ Ospedale “San Rocco” di Sessa Aurunca (Caserta). I Carabinieri l’hanno svelato con intercettazioni e telecamere collocate nei punti strategici della struttura ospedaliera, al termine di indagini avviate nel febbraio 2017. Sono 28 gli indagati, 18 dei quali dirigenti medici,3 infermieri e 6 amministrativi. Su disposizione della Procura di S. Maria Capua Vetere i militari delle Stazioni di Vairano e Teano hanno notificato 18 obblighi di presentazione alla Polizia giudiziaria a 18 indagati, quasi tutti medici. I reati contestati, a vario titolo, sono di associazione a delinquere finalizzata alla truffa ai danni dello Stato, false attestazioni, che riguardano soprattutto i medici, e singole ipotesi di truffa. I medici indagati erano in servizio soprattutto nel reparto di anestesia, ma anche a quelli di pediatria, psichiatria e al 118. Una telecamera era stata collocata dagli investigatori nei pressi di una delle uscite di emergenza del San Rocco, usata dai medici indagati per sgattaiolare fuori ed allontanarsi in auto dopo aver timbrato il cartellino, grazie al “patto” stipulato con i colleghi. L’aspetto più sconcertante di questa inchiesta che getta ulteriore fango sulla sanità campana emerge dalle intercettazioni telefoniche ed ambientali. “Qua o ci arrestano a tutti quanti, o stiamo tutti in grazia di Dio. Tanto, come si dice, chi è senza peccato scagli la prima pietra”. Parlavano così due dirigenti medici dell’ospedale “San Rocco” di Sessa Aurunca (Caserta) intercettati dai Carabinieri nell’ambito dell’inchiesta. Diciotto indagati sono medici, gli altri 10 indagati sono dipendenti amministrativi ed infermieri Le frasi captate – secondo gli inquirenti – dimostrano “il clima di illiceità presente all’ interno delle strutture oggetto dell’indagine” e “la spregiudicatezza con cui venivano poste in essere le condotte criminose”. Durante una telefonata – successiva ad un controllo amministrativo operato dai Carabinieri – i due dirigenti medici se la ridono e pensano di poterla fare franca, contando sul fatto che molti colleghi sono coinvolti: “Quello dice che si rischia il posto di lavoro… e ho detto, e allora l’ospedale rimane vuoto, ci licenziano a tutti quanti”. Tra i medici del “San Rocco” indagati, sette sono in servizio al reparto di Anestesia, gli altri a psichiatria, pediatria ed al 118. Uno degli indagati – è emerso dalle indagini – avrebbe effettuato un viaggio all’estero facendo timbrare il figlio.

 

  • 1. PASQUARIELLO Ferdinando
    2. MATANO Rosa Maria
    3. DEFRANCESCO Nives
    4. LEONE Rocco
    5. MAGRI Francesca
    6. SORRENTINO Anna Maria
    7. MOSOTIS Alfredo
    8. PREDA Giacomo
    9. GALLINARO Carlo
    10. DI IORIO Giuseppe
    11. BATTAGLIA Martina
    12.MIGLIOZZI Salvatore
    13. AVAGLIANO Elio Maria Gaetano
  • 14.MAGGI Rivira
    15.PERRETTA Domenico
  • 16.DI BELLA Olimpia Antonietta
  • 17.MASCOLO Luigi

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Cronache

Il legale di Impagnatiello, l’assassino confesso di Giulia, rinuncia al mandato

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Alessandro Impagnatiello, il barman che ha confessato di aver ucciso la sua fidanzata Giulia Tramontano, rimane senza avvocato. Sebastiano Sartori, il suo difensore, si è recato a San Vittore, dove Impagnatiello è detenuto, per comunicargli ufficialmente la sua rinuncia al mandato. “È stata una questione tra me e il mio assistito”, ha affermato Sartori, lasciando intendere che il rapporto di fiducia con il 30enne si è deteriorato, poiché quest’ultimo si trova in uno stato crescente di angoscia. Gli inquirenti stanno cercando di ottenere riscontri sulla confessione di Impagnatiello, analizzando le immagini delle telecamere raccolte tra Senago e Milano.

I video registrati mostrano il barman con un lenzuolo sotto il braccio, apparentemente poco dopo il delitto, e successivamente mentre carica due sacchi di plastica in macchina, uno dei quali sembra contenere indumenti sporchi di sangue. Secondo le ipotesi degli investigatori, l’uomo stava cercando di eliminare le prove del suo crimine e si era preparato per nascondere il corpo di Giulia, la quale per quattro giorni è stata oggetto di una finta scomparsa organizzata da Impagnatiello. Tuttavia, i genitori di Giulia non hanno mai creduto alla versione della scomparsa volontaria, poiché hanno notato la mancanza di risposte al telefono da parte della figlia e la vaghezza del convivente.

L’avvocato difensore ha sottolineato che i genitori di Giulia sono rimasti sospettosi fin dall’inizio e hanno temuto un epilogo tragico come quello che si è verificato. Giovanni Cacciapuoti, il legale della famiglia, ha descritto il gesto di Impagnatiello come imponderabile e ha affermato che se avessero avuto anche solo il sospetto di una simile evoluzione, sarebbero intervenuti immediatamente. La famiglia è attualmente in uno stato di prostrazione e desidera vivere il proprio dolore e lutto nel modo più sereno possibile.

Le indagini, condotte dai carabinieri e dalla polizia di Rho, coordinati dai pm Alessia Menegazzo e Letizia Mannella, sono state incentrate sulla raccolta di prove per confermare la ricostruzione fornita da Impagnatiello, concentrandosi principalmente sulle immagini delle telecamere di sorveglianza. Nei prossimi giorni, verranno effettuati rilievi scientifici nell’appartamento dove Giulia è stata assassinata e dove il suo corpo è stato successivamente nascosto tra le sterpaglie dopo due tentativi di bruciarlo. Durante questi accertamenti, verrà sequestrato il coltello (indicato da Impagnatiello come nascosto in un ceppo sopra il frigorifero) e saranno raccolti tutti gli elementi utili per ricostruire la cronologia degli eventi, compresa la fase di occultamento del cadavere, al fine di dimostrare la premeditazione.

Nell’ambito delle indagini, sono state interrogate diverse persone, tra cui il custode del palazzo in via Novella, che ha notato tracce di cenere sulle scale. Sono stati ascoltati anche la sorella e la madre di Giulia, al fine di ricostruire gli ultimi momenti di vita della giovane donna. Prima di essere uccisa, Giulia si era incontrata con una ragazza con cui Impagnatiello aveva una relazione parallela. La collega di lavoro, avendo intuito che qualcosa di terribile era accaduto, si è rifiutata di far entrare Impagnatiello a casa sua. Ha testimoniato di aver avuto paura e di non aver conosciuto fino a quel momento la vera natura dell’uomo.

L’autopsia sul corpo di Giulia è prevista per venerdì, mentre le indagini continuano a cercare prove concrete per stabilire la dinamica e i motivi che hanno portato a questo tragico evento. La famiglia di Giulia, intanto, si prepara a vivere un lungo periodo di sofferenza per elaborare il dolore e dare una degna sepoltura alla figlia e al suo bambino non ancora nato.

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Traffico di droga e armi tra Italia, Germania e Belgio

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Droga e traffico di armi. Sono due i pilastri del ‘core business’ dell’holding criminale transnazionale, con base logistica in Calabria, nella Sibaritide, e proiezioni in Germania, smantellata dalla Guardia di finanza di Catanzaro con il coordinamento della Dda del capoluogo calabrese e di Eurojust. Venticinque le persone finite in manette all’alba nell’ambito dell’operazione “Gentleman2”, accusate di associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, reati in materia di armi e, a vario titolo, reati fine in materia di stupefacenti. Sono stati anche sequestrati beni per 3,8 milioni di euro tra società, ditte individuali, fabbricati, terreni, autoveicoli e motoveicoli. Sono stati oltre 200 i militari impegnati nell’esecuzione delle misure cautelari scaturite a seguito di un’attività investigativa partita nel 2020 sotto l’egida della Squadra investigativa comune (Sic) costituita da Nucleo di Polizia economico-finanziaria/Gico della Finanza e il Polizeipräsidium di Francoforte sul Meno (Germania), la Polizia giudiziaria federale di Liegi(Belgio) con il supporto della Direzione centrale per i servizi antidroga (Dcsa) e dell’Ufficio europeo di polizia (Europol).

Era in Calabria, tra Cassano allo Ionio e Corigliano Rossano, lo snodo strategico dell’importazione di ingenti quantitativi di droga provenienti da diverse direttrici: la cocaina dal Sudamerica, l’eroina, molto richiesta sul mercato, che arrivava dall’est Europa attraverso la rotta dei Balcani e l’hascisc dal Marocco. Un circuito in grado di garantire enormi guadagni ricostruito attraverso attività di indagine tradizionale e intercettazioni telefoniche, telematiche e ambientali, condotte sia in Italia che in Germania grazie alle quali si è anche riusciti a decifrare un sistema di comunicazione criptato. “Un’indagine importante – ha detto il procuratore della Repubblica di Catanzaro Nicola Gratteri – che si è avvalsa del supporto di Eurojust, Europol e Interpol. E la collaborazione con la Direzione centrale servizi antidroga, organismo che ha sede a Roma e che consente di rapportarci con gli altri organismi tra i quali le forze di polizia di Germania e Belgio”. Tra le persone arrestate c’è Nikolaos Liarakos, di 47 anni, latitante da sette anni, catturato in Germania. L’uomo, di origini greche, ritenuto uno dei vertici dell’organizzazione, si era reso protagonista, nell’ottobre del 2016, di una rocambolesca evasione dal carcere di Rebibbia. Nel suo covo aveva un manoscritto con conteggi sul prezzo della cocaina.

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Scagionata la mamma condannata per la morte dei 4 figli

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Prima dipinta come un’assassina, condannata per aver tolto la vita ai suoi quattro figli. Ora, invece, come una vittima, perché stando agli scienziati in realtà quel crimine atroce non l’ha mai commesso. È questa la storia di Kathleen Folbigg, finora conosciuta come “la peggior serial killer donna australiana” ma che dopo vent’anni di ingiusta detenzione può ritornare a scrivere il suo destino. Tutto ha avuto inizio nel 2003, quando la donna – che ha sempre professato la sua innocenza – è stata condannata a 40 anni, poi ridotti a 25, di carcere con l’accusa di aver ucciso i suoi quattro figli (Sarah, Laura, Patrick e Caleb), di età compresa tra nove settimane e diciannove mesi. In assenza di solide prove forensi, per i pubblici ministeri dell’epoca Folbigg aveva soffocato i bambini, morti improvvisamente tra il 1989 e il 1999. Per loro non sembrava esserci altra spiegazione. Oggi però nuove evidenze scientifiche hanno dimostrato il contrario. Un team di immunologi ha infatti scoperto che le due figlie della donna condividevano una mutazione genetica – chiamata CalmM2 G114R – che può causare la morte cardiaca improvvisa.

I due figli maschi, invece, possedevano una mutazione genetica diversa, legata all’epilessia. Come riportato dalla Bbc, secondo la professoressa Carola Vinuesa, a capo del gruppo di ricerca dell’Australian National University, una sequenza genetica insolita poteva risultare immediatamente evidente nel Dna della signora Folbigg prima ancora che i campioni dei bambini fossero testati. Casi simili, comunque, sono rarissimi. Stando a Vinuesa, ce ne sarebbero 134 in tutto il mondo. Il sospetto che la morte dei bambini potesse essere stata provocata da cause naturali era già emerso nel 2021, sostenuto da una decina di scienziati australiani e stranieri, che avevano anche organizzato una petizione per la scarcerazione della donna. Da qui la riapertura dell’inchiesta, nel 2022, che ha portato alla revisione della sentenza. La donna, ha spiegato il procuratore generale del Nuovo Galles del Sud Michael Daley, è stata graziata per “ragionevole dubbio” sulle condanne, e così rilasciata dalla prigione di Grafton, nel New South Wales, dove stava scontando gli ultimi anni. La grazia ricevuta non annulla la sentenza di condanna, che dovrebbe essere ribaltata in un ulteriore processo. Se così fosse, Kathleen Folbigg potrebbe potenzialmente citare in giudizio il governo, chiedendo milioni di dollari di risarcimento. Intervistata in esclusiva dalla testata australiana 9news, la donna ha dichiarato però di non sapere cosa accadrà: “Ho bisogno di un bicchiere d’acqua, non so nient’altro”, ha detto alle telecamere. Intanto, può finalmente camminare libera.

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