Diventare un’influencer come Chiara Ferragni e sognare un matrimonio stile Ferragnez. Ma anche regali, viaggi e prodotti da testare gratuitamente. Tutto questo e tanto ancora fanno gli influencer. Sono coloro che ‘influenzano’ il pubblico attraverso i propri profili social. E c’è chi per dettare le regole di moda e lanciare i nuovi marchi è disposto a tutto, anche a mettere mano al portafogli e comprare follower, like e commenti per incrementare il proprio pubblico (seppur fittizio) e vendere poi successivamente la visibilità acquisita.
Un recente articolo del sito web Social Media Today ha stilato una stima dei guadagni di un influencer per ogni contenuto pubblicato online: scopriamo così che, con 10mila visualizzazioni, un tweet può valere 90 dollari, un post su Facebook 100, uno su Instagram 150, mentre un contenuto di blog pubblicato su piattaforma WordPress può arrivare a 200 dollari e un video caricato su YouTube a 300. Tali numeri fanno comprendere pienamente il potenziale del ruolo degli influencer come figure professionali e promotori dei brand.
Abbiamo provato a capire come si fa a diventare in pochi passi un potenziale influencer su Instagram. Bastano meno di 50euro per avere, in un solo colpo, fino a 5mila follower. Attraverso dei bot – abbreviazione di robot –, che sono dei programmi autonomi che ‘ingannano’ gli algoritmi dei social network spacciandosi per umani, si possono acquistare like, commenti, follower ed in poco tempo il nostro contatto può diventare degno di un influencer. Abbiamo creato un account con un nome di fantasia e dopo poche ore sono arrivati i primi follower. A distanza di sette ore dalla creazione dell’account, il nostro contatto tocca quota 3mila fans. Numeri che crescono costantemente.
Dopo meno di 24 ore l’account supera i 4800 follower. Ovviamente la nostra amica virtuale e non reale non ha ancora pubblicato nessun post. I nostri nuovi seguaci provengono dall’India, dal Pakistan e da altri Paesi dell’Asia. In pochi hanno una foto e un profilo reale. Guardando le pagine dei nostri nuovi seguaci ben presto notiamo che spesso non hanno pubblico e sono creati artatamente solo per seguire i potenziali influencer. A distanza di qualche giorno dalla creazione del nostro account, vediamo come il pubblico di follower si sia quasi dimezzato. Sono 2638, infatti, i follower rimasti. Gli altri sono scappati via. Al momento dell’acquisto, però, eravamo stati avvisati. Prima di scegliere il nostro pacchetto, ci siamo imbattuti nel mare magnum del web che offre davvero di tutto. La scelta è vasta e bisogna decidere bene cosa acquistare. Si possono acquistare pacchetti di follower italiani o internazionali. Si può scegliere anche il sesso e la fascia di età. In base alla scelta, ovviamente, cambia il prezzo. Se scegliamo utenti internazionali bastano anche soli 30euro per 5mila followers. Se chiediamo account verificati ed italiani di un determinato sesso, allora il prezzo aumenta fino a 100euro. Ci sono agenzie che consigliano di spalmare le nuove iscrizioni in più giorni per non far “insospettire” Instagram. Ma c’è anche chi te li carica tutte insieme.
Ma Instagram intanto cosa fa? Per ora il social delle foto ha deciso di combattere la pratica, chiudendo le porte a siti e applicazioni come Instagress, InstaPlus e PeerBoost che si occupavano proprio di offrire agli utenti interazioni a pagamento. Una scelta operata poiché questi siti violavano le linee guida della community e i termini di utilizzo della piattaforma.
Certo è che non è difficile riconoscere gli account gonfiati grazie alle sponsorizzazioni. “Nice pic!” oppure “wonderful” o anche “??❤️??”. Ed ancora “This is so awesome!” o “Love it!”. Questi sono i commenti di solito generati dai bot. Nella quasi totalità dei casi sono commenti di tipo generico e mai realmente in linea con il contenuto pubblicato dagli utenti. Per ciò che riguarda i fans, invece, sono perlopiù account senza foto.
Per le aziende o per chiunque voglia sponsorizzare un proprio prodotto attraverso l’uso di un influencer su Instagram è fondamentale riconoscere i professionisti dai truffatori. Il rischio è quello di sprecare tempo e denaro senza però avere alcun ritorno economico diretto da questa operazione di marketing. Solitamente, infatti, i pacchetti di follower comprati sono dei profili di utenti falsi, con nomi “strani”, alfa-numerici o molto complicati, oppure account che non hanno foto e contenuti propri. Arrivano perlopiù dall’India o dal Pakistan e non commentano quasi mai, se non retribuiti, ovviamente.
Qualche giorno fa anche Striscia la Notizia in un servizio del ‘professore’ del web Marco Camisani Calzolari ha denunciato l’acquisto dei follower anche da parte di noti influencer. Tra questi la influencer per antonomasia, Chiara Ferragni. Sono state fatte le pulci, attraverso il sito hypeauditor.com, ai follower ed alla loro attendibilità nonché provenienza, dell’influencer più famosa (e ricca) del mondo. I risultati per la Ferragni non sono stati per niente edificanti. Circa il 6o per cento dei suoi seguaci altri non sarebbero che “fasulli” followers.
Ma perché non bisogna acquistare i follower se si vuole diventare influencer? Studio Samo, un’agenzia media di Bologna ha dedicato numerosi post all’argomento. “Aumentare in un colpo solo i follower di Instagram ha il suo fascino. Perché perdere tempo a coltivare la propria nicchia quando puoi saltare da 0 a 3.000 in poche ore? Ho dato dei numeri a caso, non ho idea di quale sia la crescita in questi casi. Però ti posso assicurare che è del tutto sballata. Non porta buoni risultati e rischia di diventare un dramma per la tua futura attività di instragrammer. Il primo punto è questo: non è etico comprare follower su Instagram, vai contro il concetto stesso di social network. Acquistando seguaci stai prendendo una scorciatoia, stai barando. Non c’è impegno, non c’è attività degna di nota, mancano sudore e ingegno. C’è il denaro che fa da tramite per ottenere, in poco tempo, ciò che altri hanno costruito nel corso degli anni. Perché spesso il problema è questo: chi inizia a pubblicare su Instagram vede solo il contrasto che c’è tra chi riesce a essere influencer e chi no. Se hai come obiettivo finale l’aumento dei follower allora sei in una botte di ferro. Pensaci bene, tu guadagni con questa cifra o con le azioni che derivano dai seguaci sul tuo account Instagram? Voglio dire, a cosa serve il tuo profilo? A vendere advertising alle realtà che vogliono mostrare il proprio prodotto o servizio? Bene, il target deve essere funzionale, reale. Altrimenti i risultati non arrivano e le aziende non pagano. Semplice, vero? Molti credono che sia sufficiente questo per diventare una celebrità del web. Cosa vuol dire il concetto di Influencer Marketing? Una semplice misurazione del numero di follower? No, o meglio: forse i dilettanti si muovono così. Chi usa gli influencer del web per implementare la propria digital strategy valuta una serie di elementi che vanno in profondità. E che non riguardano solo il numero di follower o fan ma abbracciano il sentiment delle interazioni, il tipo di engagement, il rapporto tra numero di fan e commenti. Se compri follower su Instagram (ma lo stesso vale per i fan di Facebook o i follower di Twitter) rischi di buttare soldi al vento. Perché un esperto che cerca contatti per una campagna di influencer marketing non contatterà mai un profilo gonfio di follower falsi. Sa bene che la sua attività sarà nulla, in qualche caso dannosa”. Ed infine: “Se hai 10.000 seguaci su Instagram e nessuno commenta c’è qualcosa che non va. Perché quando acquisti follower in realtà aggiungi dei profili fittizi al tuo counter. In particolar modo contatti che arrivano dall’India o dal Pakistan, in ogni caso nulla di concreto o di credibile. Ci sono dei servizi che consentono di acquistare follower italiani su Instagram. Qual è la mia opinione? Nulla cambierà lo stato delle cose: se vuoi lavorare bene devi costruire la tua base di follower da zero. Senza trucchi“.
La prima assemblea della Lega Serie A dopo l’esplosione del caso plusvalenze viaggia su altri temi, anche se la questione aleggia comunque sopra gli uffici in via Rosellini a Milano. Un tema “serio”, come ribadito dal presidente Lorenzo Casini, ma su cui anche la Lega si posiziona in attesa, aspettando le motivazioni della Corte d’Appello FIGC e di eventuali interventi del Governo, che sembra intenzionato a muoversi per limitare il fenomeno in futuro. “Non rimarremo soggetto passivo”, ha detto ieri il ministro Abodi. “Abbiamo acceso un faro, le norma potrebbe cambiare”, l’intervento di oggi del ministro dell’Economia, Giorgetti. Una norma che metta al riparo dagli ‘abusi’ e’ attesa anche dalla Lega di A, che sia sportiva o legislativa.
Tutto sta capire come è possibile intervenire su una fattispecie che riguarda anche transazioni economiche con altri Paesi, non solo tra club italiani. “La plusvalenza in quanto tale non è il male, fa parte del mercato e ci sono società che vivono in modo sano grazie alle plusvalenze. Il problema è quando si sviluppa un abuso ed è quello che va verificato con attenzione, non solo in Italia”, ha spiegato Casini in conferenza stampa. “Sulla vicenda c’è una decisione in corso, ho apprezzato molto le parole del ministro Abodi, è importante capire perché e quindi le spiegazioni. Aspettiamo di leggere le motivazioni, mentre commenti più approfonditi verranno fatti quando sarà chiusa”, ha aggiunto il numero uno della Lega. Il rischio resta comunque quello che il caso plusvalenze possa incidere anche sulla vendita dei diritti tv per il prossimo ciclo, oltre a dare una immagine negativa del campionato tanto che traspare comunque un certo fastidio per la decisione a campionato in corso. “C’è il rischio che la vicenda incida su diritti tv? È una domanda retorica, non la chiamerei però vicenda plusvalenze. Si tratta di capire se vi è stato un abuso di uno strumento. Come intervenire? È problema non solo della Lega, ma del sistema calcio non solo italiano. Non è semplice, ma è indubbio che non è problema che può risolvere una componente da sola”, le parole di Casini.
Il principale tema toccato in assemblea ha riguardato proprio i diritti tv, con l’inizio dei lavori per la stesura del bando per il prossimo ciclo che dovrebbe essere quinquannale dopo la modifica della Legge Melandri. “C’è stato un inizio di discussione sul nuovo ciclo per i diritti tv che continuerà con una assemblea dedicata a metà febbraio e poi proseguirà fino alla pubblicazione del bando nelle prossime settimane”, ha spiegato Casini. Allungamento della vendita dei diritti a 5 anni? È sicuramente una freccia in più nel nostro arco. Poi c’è l’ipotesi di prorogare i contratti che sono attualmente in corso con Sky e DAZN passando da tre a cinque anni, ma per come ho letto l’emendamento non c’è nulla di automatico. Serve un accordo tra tutte le parti, è solo una possibilità”, ha proseguito il presidente della Lega Serie A. Infine, tra le discussioni “c’è stata poi l’approvazione all’unanimità di un testo per l’accordo collettivo con l’Assocalciatori, è una proposta e poi ci sarà un’ulteriore discussione con l’AIC per arrivare poi alla stipula. Sulle riforme, porteremo delle ipotesi di modelli di riorganizzazione della Lega a partire dal tema media company, in modo da mettere un punto e decidere se realizzarla e come farlo. Parliamo di soluzioni organizzative e veicoli organizzativi”, ha concluso Casini.
La guerra miete vittime non solo sul campo di battaglia o sotto le bombe: in Ucraina almeno 3.000 persone sono morte dall’inizio dell’invasione russa per mancanza di accesso alle cure per le malattie croniche, come l’Aids o il cancro. Sono i dati diffusi dall’Organizzazione mondiale della Sanita’ proprio mentre il direttore generale, Tedros Adhanom Ghebreyesus, si trova a Kiev dopo aver trascorso un paio di giorni nel Paese. Nel suo viaggio in Ucraina il capo dell’Oms ha verificato inoltre 200 attacchi a strutture sanitarie dall’inizio del conflitto, e secondo il ministro della Sanita’ ucraino, Viktor Liashko, almeno 10 medici sono stati uccisi e 40 sono rimasti feriti. Tutto questo ha impedito anche ai pazienti cronici di farsi curare, portando cosi’ ad altre “3.000 morti premature evitabili”, ha reso noto il capo dell’Ufficio regionale europeo dell’Oms, Hans Kluge. Dal 24 febbraio, “l’Oms ha fornito forniture per traumi ed emergenze da utilizzare in oltre 15.000 interventi chirurgici, medicinali e attrezzature per 650.000 persone. Abbiamo anche consegnato 15 generatori diesel per fornire elettricita’ a ospedali e strutture sanitarie, alcuni dei quali nelle aree liberate nell’oblast di Kiev”, piu’ quattro hub sanitari nell’ovest dell’Ucraina, aveva annunciato pochi giorni fa lo stesso direttore generale da Kiev, prima di intraprendere il suo viaggio nel resto del Paese. “Il tempo che ho trascorso qui mi ha colpito molto”, ha poi ammesso al suo rientro nella capitale il numero uno dell’Oms, dicendosi “profondamente commosso” da cio’ che ha “visto e sentito”. “C’e’ una medicina pero’ che l’Oms non puo’ fornire e di cui l’Ucraina ha bisogno piu’ di ogni altra. Ed e’ la pace”, ha dichiarato ancora Tedros riconoscendo all’Ucraina, nonostante la devastazione, “una straordinaria capacita’ di ripresa”, e chiedendo “alla Federazione russa di fermare questa guerra”. “Il mio messaggio a tutto il popolo ucraino – ha concluso – e’ che l’Oms e’ con voi”.
Non ci sono solo le sanzioni contro le banche e gli oligarchi russi, o l’emarginazione della Russia nel mondo dello sport o l’esclusione da Eurovision. L’indignazione globale contro l’attacco all’Ucraina si traduce anche in una campagna – per il momento lanciata negli Stati Uniti e in Canada – per chiedere che dagli scaffali dei negozi e dai banconi dei bar sparisca il liquore simbolo della Russia: la vodka. “Svuotate tutte le bottiglie di vodka russa e, insieme a munizioni e missili, speditele vuote in Ucraina affinche’ possano essere usate come bombe Molotov”, ha twittato il senatore repubblicano Tom Cotton. La risposta – per fortuna non legata alle bottiglie incendiarie – e’ arrivata dal New Hampshire, dove gli alcolici si vendono in negozi statali: il governatore repubblicano Chris Sununu ha annunciato la rimozione di tutti i prodotti russi. Stesse decisioni, praticamente in contemporanea, sono arrivate da Ohio, Texas e Utah. E in Canada, il Liquor Control Board dell’Ontario, la provincia piu’ popolata del Paese, ha annunciato la rimozione di tutti i “prodotti russi” dai suoi 600 punti vendita. Tuttavia, la misura ritorsiva non fara’ particolarmente male alla Russia: di tutta la vodka consumata nei due Paesi, quella importata dalla Russia e’ circa l’1%, scrive il New York Times citando dati del Distilled Spirits Council of the United States, associazione dei produttori e distributori di alcolici. Il boicottaggio di prodotti alimentari e bevande non e’ una novita’ in tempo di conflitti: nel 2003, ad esempio, quando la Francia si opponeva all’invasione dell’Iraq guidata dagli Stati Uniti, alcuni politici americani chiesero di boicottare il vino francese e se la presero con le patatine fritte, in Usa chiamate ‘French fries’, chiedendo di ribattezzarle ‘Freedom fries’. Ma in rete non e’ solo la vodka nel mirino: c’e’ chi con il dilagante hashtag #BoycottRussia chiede di disinstallare Telegram, fondato dal russo Pavel Durov (peccato che Durov, che vive sostanzialmente in esilio, nel 2014 si rifiuto’ di consegnare ai servizi russi i nomi dei manifestanti ucraini presi da VK, una sorta di Facebook russo, e di chiudere l’account di Alexey Navalny); ma anche chi propone di non acquistare caviale e te’ russi e di minimizzare l’uso di gas.