Si comincia col reato di disastro colposo. È questo il reato ipotizzato dalla procura di Roma che ha aperto un fascicolo di inchiesta sul cedimento strutturale del tetto della chiesa di San Giuseppe dei Falegnami. Un passaggio, dal punto di vista giudiziario normale, ma si tratta di un passo necessario per poter chiedere perizie, procedere ad acquisizioni di documentazione sullo stato dell’edificio di culto e fare ogni accertamento utile per chiarire i motivi del crollo e capire se era possibile evitarlo. Ovviamente è indispensabile procedere all’individuazione dei titolari della responsabilità sull’edificio di via Clivio Argentario, nel cuore del centro antico della capitale, e comprendere se eventuali lavori di ristrutturazione sono stati già fatti, programmati o non eseguiti per qualche motivo. La relazione dei vigili del fuoco, intervenuti sul posto, fanno chiarezza sulle prime cause che hanno determinato il crollo. Questa relazione è già sul tavolo del procuratore aggiunto Nunzia D’ Elia, che coordina il gruppo di magistrati che si occupano dell’inchiesta. Probabile che i pm deleghino le complesse indagini agli stessi vigili del fuoco. Chi davvero non riesce a spiegarsi il crollo è Monsignor Daniele Libanori, nominato da Papa Francesco nel novembre del 2017 vescovo ausiliario di Roma.
Chiesa di San Giuseppe dei Falegnami. Le foto dei Vigili del Fuoco documentano il crollo
“San Giuseppe era considerata una chiesa sicura, mai una crepa, mai uno scricchiolio. Ed è proprio questo che adesso mi fa impressione, che sia crollato tutto in un attimo, che sia bastato il cedimento di una trave per far venire giù il tetto. Mi hanno spiegato che forse si era accumulata della polvere, mi sembra strano però. Non so se sia stato un miracolo a salvare chi sabato, oppure domenica o anche la settimana prossima, avrebbe partecipato a uno dei matrimoni in programma, ma di sicuro poteva essere una strage» ammette l’alto prelato che è anche commissario straordinario dell’Arciconfraternita di San Giuseppe dei Falegnami, titolare della meravigliosa chiesa ora ridotta, all’interno, ad un cumulo di macerie che andranno rimosse per capire quali danni strutturali ha subito l’intero complesso e come riportarlo di nuovo in condizioni di essere fruito dai fedeli. Il racconto del crollo da parte del gesuita, che al momento del crollo era nel suo appartamento, accanto alla chiesa: “Non mi sono accorto che fosse crollato il tetto. Ero andato a riposare, ma in realtà leggevo un libro. Erano le 14.50 quando ho sentito un forte botto. E poi la polvere, che ho pensato fosse fumo. Qualche istante ancora e ha suonato il citofono: erano i vigili urbani che mi dicevano di uscire subito. Mi sono affacciato un attimo nella chiesa e mi sono trovato davanti una scena drammatica. L’importante è che non sia morto nessuno. I vigili del fuoco mi hanno detto che non potrò dormire nel mio alloggio, ma quello che mi preoccupa è il pensiero di quante situazioni come questa ci saranno in giro per Roma. Ripeto: non c’erano mai state avvisaglie”.
Il Vicariato di Roma, in attesa dell’esito dell’inchiesta, ha informato i futuri sposi che i loro matrimoni sono stati spostati nella chiesa di San Marco, a piazza Venezia. Chiesa molto bella anche questa, per cui gli sposi promessi saranno felici lo stesso. Anche dello scampato pericolo per loro e per i loro ospiti. Infatti, se fosse crollato tutto al momento di uno dei tanti riti religiosi che si celebravano nella chiesa, oggi saremmo qui a parlare di una strage.
Secondo il soprintendente speciale di Roma, Francesco Prosperetti, i danni all’edificio ammontano a un milione di euro. “Cedimento strutturale inaspettato. C’è una tragica somiglianza con il ponte di Genova: un tirante che ha ceduto, è l’unica ipotesi possibile, perché la portanza della capriata è affidata a una catena”, rivela Prosperetti per il quale la buona notizia è che è stata risparmiata “una tela di Carlo Maratta del 1650, il dipinto di maggior pregio conservato nella chiesa”, dove ne erano custodite circa 200. “La chiesa – spiega ancora – era stata interessata nel 2012 da lavori che hanno riguardato la copertura del tetto e nel 2015 la facciata, ma in occasione del terremoto di Amatrice non era stata segnalata fra quelle danneggiate”.
Un avvistamento eccezionale ha emozionato oggi il mare dell’isola verde: una foca monaca, una delle specie più rare e a rischio estinzione del Mediterraneo, è stata avvistata a pelo d’acqua dietro l’isolotto della Torre di Sant’Angelo, mentre si nutriva, probabilmente addentando una murena.
A fare la scoperta è stato un barcaiolo ischitano, impegnato nel servizio taxi boat dal borgo di Sant’Angelo verso le spiagge e le cale della zona. È lui ad aver segnalato l’avvistamento del mammifero, che ha suscitato grande stupore e curiosità in tutta l’isola.
Una presenza rara tra le acque campane
Negli ultimi anni il mare di Ischia ha ospitato sempre più specie marine rare e protette, ma questa è la prima volta che si segnala ufficialmente la presenza di una foca monaca nelle sue acque. Lo stesso esemplare, o forse un altro appartenente alla stessa specie, era stato avvistato nei giorni scorsi tra Capri e Massa Lubrense, segno che qualcosa sta cambiando nelle rotte e nei comportamenti di questi elusivi animali.
La foca monaca (Monachus monachus) è un mammifero marino protetto dalla legge, che vieta non solo la cattura e l’uccisione, ma anche qualsiasi forma di disturbo o interazione.
Le raccomandazioni dell’Area Marina Protetta
Subito dopo la segnalazione, i responsabili dell’Area Marina Protetta Regno di Nettuno hanno diffuso raccomandazioni fondamentali per chiunque dovesse incontrare una foca monaca, in mare o sulla costa:
mantenersi a grande distanza,
evitare rumori forti o movimenti bruschi,
non interagire né cercare un contatto,
non inseguirla né filmarla da vicino, per non alterarne il comportamento naturale.
Ogni comportamento scorretto potrebbe mettere in pericolo la sopravvivenza dell’esemplare, che ha bisogno di tranquillità, silenzio e tutela assoluta per poter sostare o rifugiarsi lungo le nostre coste.
(il video è stata fornito da Checco Curci, battelliere della “Coop San Michele di Sant’Angelo” all’AMP Regno di Nettuno ed è diventato virale)
Il Tribunale amministrativo regionale della Campania ha accolto il ricorso dei consiglieri municipali Pino De Stasio, Thomas Straus e Carmine Stabile nei confronti dell’Università Federico II e dell’ex rettore Gaetano Manfredi, oggi sindaco di Napoli. I tre avevano richiesto l’accesso agli atti per sapere se l’Ateneo avesse avviato un procedimento disciplinare contro Manfredi dopo la sua condanna — con patteggiamento — da parte della Corte dei Conti per danno erariale pari a 210.000 euro, legato a consulenze ritenute illegittime.
La prima risposta dell’Università e l’intervento del Tar
Inizialmente l’Università Federico II aveva opposto un rifiuto alla richiesta, motivando la scelta con la tutela della privacy dell’ex rettore. Ma dopo la notifica del ricorso al Tar, l’Università ha rettificato la propria posizione, dichiarando semplicemente che non è stato adottato alcun procedimento disciplinare. Una risposta considerata insufficiente dai ricorrenti, che hanno chiesto al giudice amministrativo di imporre all’Ateneo una spiegazione più dettagliata.
De Magistris: “Serve trasparenza, l’opinione pubblica ha diritto di sapere”
L’ex sindaco di Napoli, Luigi de Magistris, ha commentato la decisione del Tar sottolineando l’importanza di chiarire perché non è stata attivata alcuna iniziativa disciplinare nei confronti del professore Manfredi. «È doveroso che i cittadini sappiano — ha dichiarato — quali atti risultino nel fascicolo e per quale motivo nulla sia stato fatto di fronte a una indebita percezione di oltre 700.000 euro da parte di un docente che dovrebbe essere un esempio per gli studenti».
De Magistris ha anche sollevato interrogativi su eventuali conflitti di interesse: «Bisogna verificare chi ha erogato le consulenze in violazione di legge a Manfredi, e se questi soggetti abbiano rapporti anche con l’amministrazione comunale di Napoli».
Il precedente della Corte dei Conti e l’appello alla politica
Il caso è nato dalla condanna della Corte dei Conti nei confronti di Manfredi, che aveva patteggiato per un importo di 210.000 euro a fronte di consulenze ritenute non legittime. «Vediamo se anche la politica, quella che usa la questione morale in maniera strabica solo quando riguarda avversari, avrà il coraggio di battere un colpo», ha incalzato de Magistris.
Falsa testimonianza e calunnia. Sono i reati per i quali l’attrice Eva Grimaldi (foto Imagoeconomica) rischia di finire indagata a Perugia dopo che il pm di Roma, Carlo Villani, ha chiesto la trasmissione degli atti in relazione a quanto riferito dalla donna nel corso del processo a carico del produttore tv, Alberto Tarallo, accusato del crac della società Ares Film. Il rappresentante dell’accusa contesta alla Grimaldi di avere sostanzialmente sconfessato, nel corso dell’udienza svolta lunedì davanti ai giudici della nona sezione collegiale del Tribunale della Capitale, quanto da lei dichiarato nel corso delle indagini. Grimaldi ha negato alcuni passaggi citati del pm del verbale dell’audizione resa a piazzale Clodio nel marzo del 2021 e in particolare sul ruolo di Tarallo all’interno della società. Il manager è accusato di bancarotta fraudolenta per la società che negli anni ha prodotto numerose fiction per il piccolo schermo. Titoli come il Bello delle donne, L’Onore e il rispetto o il Sangue e la rosa hanno fatto il pieno di ascolti e lanciato attrici e attori poi sbarcati sul grande schermo.
La società è stata dichiarata fallita nel febbraio del 2020. Secondo l’impianto accusatorio il manager, nella veste di amministratore di fatto, “distratto, avrebbe occultato e comunque dissipato dal patrimonio della società 41.124 euro attraverso reiterati utilizzi delle carte di credito aziendali”. Operazioni messe in atto dall’imputato “in assenza di alcuna giustificazione di natura economico-aziendale e, dunque, in violazione del principio di inerenza” e senza di alcuna utilità corrispettiva per la società fallita”. Nel corso dell’udienza sono stati ascoltati altri testi, tra cui gli attori Giuliana De Sio e Gabriel Garko. “Con Tarallo ho fatto circa 8 fiction – ha detto De Sio -. Per le questioni artistiche parlavo con lui, per quanto riguarda i contratti non ne so nulla perché se occupava il mio agente. Con Losito non avevo rapporti, l’ho visto pochissime volte”. Per Garko “le decisioni sulla produzione dei film erano prese da Tarallo. Il rapporto tra lui e Losito era a volte conflittuale e a tratti Teo si sentiva messo da parte”. Tarallo è al centro di un doppio filone giudiziario. Oltre alla bancarotta, è già a giudizio per l’accusa di falso, legata al testamento del suo compagno e sceneggiatore Teodosio Losito, morto suicida nel gennaio del 2019.
Durante il dibattimento è intervenuta anche l’ex parlamentare ed ex socia della Ares, Patrizia Marrocco, a cui è stata chiesta una spiegazione su una frase contenuta in un verbale precedente, in cui definiva Losito “una rondine al guinzaglio”. “Voleva fare altro – ha affermato – si sentiva incagliato. Aveva comprato casa a Milano, voleva scrivere musica e suonare. Quel lavoro gli stava stretto, ma non voleva deludere Alberto”: In aula anche l’attrice Rosalinda Cannavò, in arte Adua Del Vesco, che ha chiesto di deporre dietro un paravento. ”Ho difficoltà a vedere Tarallo” ha detto la donna motivando la sua richiesta. “Ho conosciuto Tarallo e Teodosio Losito facendo provini e ho iniziato con loro un percorso lavorativo. Ho anche vissuto con loro dal 2013 al 2018 nella villa a Zagarolo. Avevo un contratto con la Ares Film e per il lato artistico parlavo con Tarallo mentre per quello amministrativo con Losito”.