Rosa Mariniello con “Vitiligo”e Mariano Silletti con “Serra Maggiore” sono la prima e il secondo classificati alla tappa Jonica del Portfolio Italia, oramai uno dei premi fotografici più ambiti nel panorama autoriale italiano. Indetto dalla FIAF, (Federazione Italiana Associazioni Fotografiche), nasce come premio per gli amanti della fotografia, ma man mano è stato volano di crescita per tantissimi giovani fotografi ad inizio carriera che partecipando al premio hanno definitivamente scelto la professione fotografica conseguendo ottimi risultati lavorativi pubblicando ed esponendo in tutto il mondo e addirittura arrivando alla vittoria di importanti premi internazionali, come World Press Photo, Sony Awards e POY.
Questa formula a tappe che tocca tutta la penisola e vede la fase finale ospitata a Bibbiena, presso il Centro Italiano della Fotografia d’Autore anche quest’anno ha avuto al Corigliano Festival della Fotografia, giunto alla sua XVII edizione, la cornice mediterranea fatta di mare, sole, spiagge ed un meraviglioso castello ducale, dove si sono susseguiti, oltre alle letture portfolio dei tanti lavori proposti, anche dibattiti, workshop, presentazioni, mostre e quest’anno, per la prima volta, un premio dedicato anche al miglior progetto editoriale non ancora dato alla stampa e per questo sponsorizzato e prodotto proprio dal Festival Fotografico Calabrese, il 1° Corigliano Calabro Book Award, presieduto da Francesco Cito, noto fotogiornalista internazionalee vinto da Francesco Faraci con il progetto editoriale “Atlante Umano Siciliano”. Come sempre numerose le mostre di vari autori italiani, quest’anno nelle sale del castello esponevano:
Olivo Barbieri, l’autore dell’anno al Festival, Maurizio Faraboni, Mario Laporta, Stefano Mirabella, Frank Gruber, Mario Greco, Lorenzo Zoppolato, Jacopo La Forgia e Michele Spatari, Chiara Leone e poi le collettive di GT Art Photo Agency, Cities e International Prix of Photography Rainbow.
10 i lettori impegnati nella intensa due giorni che ha visto la scelta finale presa all’unanimità ma con la soddisfazione di aver visionato tanti lavori di grande pregio, Angelo Cucchetto, Angelo Ferrillo, Attilio Lauria, Daniela Sidari, Elena Givone, Federica Paola Capecchi, Giusy Tigano, Maurizio Garofalo, Maurizio Faraboni, Stefano Mirabella ed Enzo Gabriele Leanza. L’atmosfera del Festival è sempre amicale e distesa, il direttore artistico e ideatore del Festival Gaetano Gianzi riesce a mettere a proprio agio chiunque vi partecipi, Lettori, autori, visitatori e specialmente tutti i partecipanti che cercano con la presentazione dei propri portfolio consigli e dritte per proseguire le proprie ricerche fotografiche. Coadiuvato dallo staff dell’associazione Corigliano Fotografia, insieme a Mena Romio, Marco Terranova, Amelia e Antonio Donadio, Francesco Sapia, Alfonso di Vincenzo e tanti altri associati, riescono a rendere questo evento un appuntamento al quale non si puo’ mancare.
Tantissimi i fotografi di chiara fama che sono stati ospiti del Festival, Francesco Zizola, Franco Fontana, Maurizio Galimberti, Shobba, Joe Oppedisano, Letizia Battaglia, Mario Dondero, Francesco Radino, Gabriele Basilico, Ferdinando Scianna e naturalmente Gianni Berengo Gardin che di Corigliano ha anche la cittadinanza onoraria, testimonianza che questa realtà ora fusa con la confinante Rossano per far nascere la città di Corigliano-Rossano, ha la fotografia nel suo DNA e approfitta della sua luce mediterranea per promuoverla e farla amare.
Fotogiornalista da 35 anni, collabora con i maggiori quotidiani e periodici italiani. Ha raccontato con le immagini la caduta del muro di Berlino, Albania, Nicaragua, Palestina, Iraq, Libano, Israele, Afghanistan e Kosovo e tutti i maggiori eventi sul suolo nazionale lavorando per agenzie prestigiose come la Reuters e l’ Agence France Presse,
Fondatore nel 1991 della agenzia Controluce, oggi è socio fondatore di KONTROLAB Service, una delle piu’ accreditate associazioni fotografi professionisti del panorama editoriale nazionale e internazionale, attiva in tutto il Sud Italia e presente sulla piattaforma GETTY IMAGES.
Docente a contratto presso l’Accademia delle Belle Arti di Napoli., ha corsi anche presso la Scuola di Giornalismo dell’ Università Suor Orsola Benincasa e presso l’Istituto ILAS di Napoli.
Attualmente oltre alle curatele di mostre fotografiche e l’organizzazione di convegni sulla fotografia è attivo nelle riprese fotografiche inerenti i backstage di importanti mostre d’arte tra le quali gli “Ospiti illustri” di Gallerie d’Italia/Palazzo Zevallos, Leonardo, Picasso, Antonello da Messina, Robert Mapplethorpe “Coreografia per una mostra” al Museo Madre di Napoli, Diario Persiano e Evidence, documentate per l’Istituto Garuzzo per le Arti Visive, rispettivamente alla Castiglia di Saluzzo e Castel Sant’Elmo a Napoli.
Cura le rubriche Galleria e Pixel del quotidiano on-line Juorno.it
E’ stato tra i vincitori del Nikon Photo Contest International.
Ha pubblicato su tutti i maggiori quotidiani e magazines del mondo, ha all’attivo diverse pubblicazioni editoriali collettive e due libri personali, “Chetor Asti? “, dove racconta il desiderio di normalità delle popolazioni afghane in balia delle guerre e “IMMAGINI RITUALI. Penitenza e Passioni: scorci del sud Italia” che esplora le tradizioni della settimana Santa, primo volume di una ricerca sui riti tradizionali dell’Italia meridionale e insulare.
“Siamo diventati una civiltà di gente che vuol vedere, non sente più, sente male, per mancanza di conoscenza, per ignoranza”. Polemico, anche se “felice di essere qui con i miei giovani musicisti dell’Orchestra Cherubini”, Riccardo Muti ieri sera al Teatro Pergolesi di Jesi, in provincia di Ancona, ha inaugurato le celebrazioni per i 250 anni dalla nascita (avvenuta nella vicina Maiolati) di Gaspare Spontini, con un concerto al termine del quale ha attaccato l’oblio in cui è caduta tanta parte del patrimonio musicale italiano. Un discorso molto politico, “anche se la politica dal podio non si fa”, diretto soprattutto “a chi ha in mano le sorti del nostro Paese” per chiedere più attenzione per la musica, lungo oltre 20 minuti, punteggiato dagli applausi del pubblico.
La musica italiana “ha dominato il mondo con Spontini a Berlino, Mercadante a Madrid, Cherubini a Parigi, Salieri e, ancora prima, Porpora e a Vienna, Cimarosa e Paisiello a San Pietroburgo. I nostri compositori hanno fatto l’Europa, prima dei nostri politici ed economisti”. Muti ha elogiato le Marche, una regione che “ha dato i natali a tantissimi artisti, non solo nel campo dell’architettura e della pittura, ma anche della musica. Voi avete a distanza di pochi chilometri Giovan Battista Pergolesi (nato proprio a Jesi, ndr) e Spontini”. E ha elogiato le due città che “si stanno prodigando per sottolineare l’importanza di questi due giganti della musica”, ma “molte persone non sanno chi sono e questa è una vergogna per noi”. Perché “la musica italiana non è semplicemente l’espressione sguaiata di note acute tenute all’infinito, ma la nostra storia è una storia di nobili e grandi compositori”. Compositori che “hanno fatto l’Europa prima dei nostri politici ed economisti”.
“Pensate che Spontini era un re prima a Parigi e poi a Berlino – ha detto ancora Muti -, e nelle memorie di Wagner si legge che quando Spontini arrivò a Dresda per dirigere La Vestale scese da una carrozza principesca venendo da un’umile casa di Maiolati. Wagner s’inginocchia addirittura davanti a lui”. Due colossi della musica “dimenticati”: “Pergolesi era ammiratissimo da Bach, all’età di 26 anni muore lasciandoci dei capolavori incredibili”. Capolavori raramente eseguiti e lo stesso accade per La Vestale o l’Agnese di Hohenstaufen di Spontini o altre opere. “Va bene il ‘Vincerò’ che dura mezz’ora ed è anche piacevole – ha ironizzato il maestro – ma non rappresenta tutta la nostra musica”. E “se andate a vedere la partitura di Puccini, non esprime ‘ad libitum’ fino a quando tutti quanti, presi da frenetici orgasmi, urlano uau”. “Cosa è successo al nostro Paese? – si è chiesto Muti -. E’ successo che nelle grandi occasioni ci si veste bene, si compare nei palchi e poi si scompare? O dobbiamo metterci in testa che la musica e la storia della musica insegnata bene e portata alle nuove generazioni possa migliorare il futuro del nostro Paese?”.
Tutto queste però “non succede” e per questo il pubblico non sa più ascoltare. “Noi abbiamo in debito verso il nostro passato – si è accalorato -, abbiamo una storia infinita di bellezza e arte che molti ragazzi oggi non conoscono e che sta diventando solamente un’occasione di ascolto per alcuni privilegiati. Non sono un politico, ma con grande malinconia mi avvicino alla fine della vita perché noi non siamo più degni delle radici su cui abbiamo fatto spuntare fiori, o alberi o foglie”. “Verdi rimane il Michelangelo del musica e ha coperto tutto l’Ottocento”. E anche Puccini è rappresentativo di un certo periodo. Ma “quando Spontini scrive la Vestale, dentro c’è tutto quello che poi Wagner prenderà. Questo siamo e questo dovrebbero sapere quelli che guidano l’Italia e questo dovrebbero insegnare a scuola”.
La parola d’ordine è trasparenza. Quella chiesta a gran voce dall’industria culturale e creativa davanti allo sviluppo vertiginoso dell’intelligenza artificiale generativa (IA). L’appello è stato raccolto dall’Ue, che con l’AI Act, appena vidimato dal Parlamento europeo, sta provando a creare uno scudo a tutela di giornalisti, scrittori, musicisti, registi, chi vive insomma della propria creatività. Si parla di professioni che rischiano di essere travolte dalla nuova tecnologia alimentata dal petrolio dell’economia digitale: i dati. Le loro opere – canzoni, libri, reportage, film – sono impiegate sia per addestrare i cosiddetti modelli linguistici di grandi dimensioni, su cui si basano sistemi come ChatGPT, sia per creare opere derivate. Si può ritenere questo processo come una violazione del diritto d’autore? Secondo il New York Times la risposta è affermativa.
In un caso destinato a fare scuola, la Vecchia Signora in Grigio ha portato in tribunale Microsoft e OpenAI, la società nota per aver creato ChatGPT, accusandole di aver copiato e utilizzato illegalmente i suoi articoli per addestrare i modelli di IA. I due colossi tech non hanno rivelato pubblicamente la composizione dei dataset su cui viene istruita la nuova tecnologia. Ed è su questo che interviene l’AI Act. I sistemi come ChatGPT e i modelli su cui si basano dovranno, infatti, soddisfare determinati requisiti di trasparenza e rispettare le norme europee sul diritto d’autore durante le fasi di addestramento dei vari modelli.
“Un passaggio importante” per Innocenzo Cipolletta, presidente dell’Associazione Italiana Editori (Aie) e di Confindustria Cultura Italia (Cci), secondo cui le richieste del mondo delle industrie culturali e creative “hanno trovato orecchie attente nel governo italiano e in modo trasversale tra gli europarlamentari che hanno votato a favore dell’AI Act”. “La trasparenza – ha evidenziato – è il requisito per poter analizzare criticamente gli output dell’IA e, per chi detiene i diritti, sapere quali opere sono utilizzate nello sviluppo di questi strumenti, se provengono da fonti legali e se l’uso è stato autorizzato”.
Ma la strada è ancora lunga. La legge europea è solo “un primo passo per far valere i propri diritti”, ha commentato un’ampia coalizione di organizzazioni dei settori creativi e culturali europei, esortando a mettere in pratica “queste importanti norme in modo significativo ed efficace”. A fare la differenza sarà l’attuazione della normativa, la definizione degli standard, ma anche la previsione di una policy a tutela del diritto d’autore che affronti ad esempio la questione della remunerazione dei detentori dei diritti per l’uso di opere coperte da copyright.
Dopo Pesaro per il 2024 e Agrigento per il 2025 è l’Aquila la città scelta come capitale italiana della cultura 2026. A proclamarla è stato il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano nel corso della cerimonia che si è svolta a Roma, nella Sala Spadolini del ministero, alla presenza della giuria presieduta da Davide Maria Desario e composta da Virginia Lozito, Luisa Piacentini, Andrea Prencipe, Andrea Rebaglio, Daniela Tisi, Isabella Valente, e dei rappresentanti di tutte e dieci le città finaliste: oltre all’Aquila, Agnone (Isernia), Alba (Cuneo), Gaeta (Latina), Latina, Lucera (Foggia), Maratea (Potenza), Rimini, Treviso, Unione dei Comuni Valdichiana Senese (Siena). “L’Aquila è una città ricca di storia e di identità e merita certamente di essere capitale della cultura” dice parlando con i giornalisti Sangiuliano, che ricorda anche come la commissione sia “assolutamente autonoma e indipendente dalla mia persona”. Il ministro avrebbe voluto dare “questo riconoscimento a tutte le città che erano candidate, questo purtroppo non era possibile. Adesso studieremo un modo per coinvolgerle in questo momento”.
L’Aquila “si avvia a celebrare i 15 anni del terremoto – commenta il sindaco della città Pierluigi Biondi -. Essere capitale italiana della cultura non è un risarcimento, ma rappresenta un elemento attorno a cui ricostruire il tessuto sociale della nostra comunità”. La cultura “è un elemento fondante, è recupero dell’identità e proiezione nel futuro – aggiunge – . Le altre città finaliste saranno parte di questo percorso. Vi garantiamo che saremo all’altezza del compito che ci assegnate… viva l’Italia”. Il progetto presentato dal capoluogo abruzzese è intitolato ‘L’Aquila Città multiverso’ ed è “un ambizioso programma di sperimentazione artistica per la creazione di un modello di rilancio socio-economico territoriale a base culturale, capace di proiettarla verso il futuro seguendo i quattro assi della Nuova Agenda Europea della Cultura: coesione sociale, salute pubblica benessere. creatività e innovazione, sostenibilità socio-ambientale”, si legge nelle linee guida. “Siamo molto felici, è un altro segno di rinascita dell’Abruzzo – commenta Marco Marsilio, appena confermato alla presidenza della Regione -. Sapevamo di essere molto competitivi e che il dossier presentato era eccellente. La giuria lo ha riconosciuto”. Il progetto dell’Aquila “ci ha convinto per la sua qualità, ma anche per aspetti come il budget, la capacità di includere per tutto l’anno i territori e per il coinvolgimento dei giovani” spiega Davide Maria Desario, presidente della giuria. Ognuno dei progetti delle città finaliste “rappresenta l’emblema dell’Italia come vorremmo che fosse, l’Italia del fare”. Per questo Desario torna a lanciare la proposta (poi accolta dal ministro, ndr) “che oltre oltre al premio alla città vincitrice si integri il bando con un riconoscimento anche alle altre finaliste”. Fra le reazioni alla vittoria, prevalgono le congratulazioni da parte delle altre città finaliste ma si solleva anche qualche polemica.
“A pensar male si fa peccato ma, come dice l’adagio, spesso si indovina. O forse è solo un caso che, a pochi giorni, dalle elezioni regionali in Abruzzo il titolo sia stato conferito proprio a La città de L’Aquila?” si chiede in una nota il deputato del Pd Andrea Gnassi, ex sindaco di Rimini. Critico anche l’attuale sindaco della città romagnola Jamil Sadegholvaad che fa i complimenti a L’Aquila ma parla di “invasioni di campo preventive scomposte anche da parte di chi dovrebbe essere super partes” nella competizione. Il nostro auspicio “è che Rimini e la Romagna alluvionata possano essere Capitale italiana della cultura l’anno successivo – commenta il governatore dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini -, a partire proprio dall’alluvione senza precedenti del maggio 2023 da cui hanno saputo subito risollevarsi e ripartire”. Invece il consigliere regionale del Movimento 5 Stelle del Molise Andrea Greco oltre a esprimere il rammarico per la sconfitta di Agnone (Isernia) che era tra le dieci finaliste, critica Bruno Vespa, che avrebbe dimostrato “una meno che sufficiente caratura giornalistica” per l’endorsement a L’Aquila che avrebbe fatto sulla tv pubblica alla vigilia della designazione: “E’ stato per lo meno spiacevole per non utilizzare altri termini”.