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Chiusure domenicali dei negozi?, Sala: “Sì, Di Maio le faccia ad Avellino e non rompa le palle a Milano”. Di Maio: “Sindaco fighetto e offensivo”

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Sulla chiusura domenicale il sindaco di Milano Beppe Sala spara su Avellino con poco garbo e poi polemizza con il capo politico del M5S Luigi Di Maio. La divergenza sulla chiusura domenicale dei negozi è andata oltre i limiti della diplomazia e della buona educazione istituzionale da perte del sindaco di Milano. Beppe Sala, infatti, con poca eleganza, ha detto che “se la vogliono fare in provincia di Avellino (paese di nascita del vicepremier, ndr) la facciano, ma a Milano è contro il senso comune. Pensassero alle grandi questioni politiche, non a rompere le palle a noi che abbiamo un modello che funziona e 9 milioni di turisti”.

Avellino. Piazza Libertà

Di Maio nel tweet di replica ha ricordato i diritti dei lavoratori: “Per il sindaco di Milano Sala i diritti delle persone sono una rottura di palle. Nessuno vuole chiudere nulla a Milano né da nessun’altra parte, ma chi lavora ha il diritto a non essere più sfruttato. Questo rompe le palle a un sindaco fighetto del Pd? E chi se ne frega!”. Via Twitter la controreplica di Sala: “Quando il ministro Di Maio avrà lavorato nella sua vita il 10% di quanto ho fatto io sarà più titolato a definirmi fighetto”. Anche Salvini è intervenuto a sostegno dell’alleato, definendo Sala “irrispettoso”. E anche poco garbato sul piano istituzionale con un’altra città, Avellino.

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Ex parlamentari contro il taglio dei vitalizi: “Sentenza sbagliata, servono tagli equi per tutti”

Gli ex deputati contestano la sentenza della Camera sui vitalizi. Proposta di rinuncia all’Istat per distribuire i tagli in modo equo. Possibile ricorso alla Corte europea.

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Gli ex deputati non ci stanno. Dopo la decisione del Collegio di Appello della Camera – definito la “Cassazione di Montecitorio” – che mercoledì ha respinto il ricorso contro il taglio ai vitalizi, l’Associazione degli ex parlamentariinsorge: parla apertamente di «sgorbio giuridico», solleva dubbi sulla natura tecnica della sentenza e rilancia con una controproposta politica.

A guidare la protesta è Peppino Gargani, giurista, ex parlamentare ed ex membro del Csm, secondo cui le motivazioni della decisione sarebbero più politiche che giuridiche. Un’accusa che trova conferma – a loro dire – nelle parole di Giuseppe Conte, che ha parlato di “vittoria politica”. Dichiarazioni che hanno suscitato la reazione della presidente del Collegio di Appello, Ylenia Lucaselli (FdI), la quale ha replicato: «Valutiamo le questioni alla luce del diritto e dei principi dell’ordinamento. Nessuna pressione politica».

La proposta degli ex parlamentari: meno Istat, ma tagli più equi

Il cuore della polemica è il meccanismo disomogeneo con cui i tagli vengono applicati: oggi la sforbiciata grava solo su 800 dei 3.300 ex deputati, lasciando “salvi” i più anziani. L’Associazione propone una soluzione: rinunciare all’adeguamento Istat per tutti gli assegni, in cambio di una ridistribuzione uniforme dei tagli. La proposta – avanzata già in primavera al presidente della Camera Lorenzo Fontana – permetterebbe di risparmiare 20 milioni di euro, secondo il bilancio interno della Camera, in discussione questa settimana.

Una cifra importante, soprattutto a fronte del Fondo da 113 milioni già accantonato per far fronte a eventuali sconfitte nei ricorsi futuri. Un rischio concreto: gli ex parlamentari sono pronti a ricorrere alla Corte europea dei diritti dell’uomo, a Strasburgo.

La sentenza e i suoi effetti: 250 ex parlamentari deceduti

Il ricorso, ora respinto, nasce dalla delibera 14/2018 voluta dall’allora presidente della Camera Roberto Fico, che per la prima volta introdusse il taglio dei vitalizi. Tuttavia, i tribunali interni di Montecitorio con diverse sentenze hanno finito per tutelare gli ex deputati più anziani, rendendo il sistema ingiusto secondo i ricorrenti.

Nel frattempo, però, oltre 250 ex deputati sono deceduti, tra cui nomi noti come Guido Bodrato, Giorgio Carta, Roberto Cicciomessere, Gianfranco Spadaccia, Aristide Gunnella e molti altri. Anche uno degli avvocati patrocinatori, Felice Besostri, è scomparso.

Ora la palla passa alla politica

Esaurite le strade giurisdizionali interne, la questione torna sul tavolo politico. La proposta di Gargani e Giuseppe Soriero è ora nelle mani del presidente Fontana, a cui gli ex parlamentari si stanno appellando per avviare una riflessione sulla riforma dei vitalizi, più equa e meno discriminatoria.

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Politica

Meloni: riformiamo la giustizia per eliminare storture

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Il caso Open Arms e le parole del ministro Carlo Nordio fanno divampare lo scontro tra esecutivo e magistratura. Il governo, assicura la premier Giorgia Meloni, sta lavorando “per riformare la giustizia italiana, per mettere fine alle storture a cui abbiamo assistito negli ultimi decenni, per coniugare le necessarie garanzie con l’equità e la velocità dei processi”. La dichiarazione arriva dopo la decisione della procura di Palermo di ricorrere in Cassazione contro la sentenza che ha assolto Matteo Salvini per la vicenda Open Arms. Nordio attacca: “niente impugnazione contro le sentenze di assoluzione, come in tutti i Paesi civili. Rimedieremo”. Meloni parla di “surreale accanimento, dopo un fallimentare processo di tre anni. Mi chiedo cosa pensino gli italiani di tutte queste energie e risorse spese così, mentre migliaia di cittadini onesti attendono giustizia”.

Il guardasigilli adombra poi provvedimenti contro il magistrato Raffaele Piccirillo che lo aveva criticato per il caso Almasri in un’intervista. Scatta subito la richiesta di una pratica a tutela da parte dei consiglieri togati del Csm. Sulla Open Arms, a parere di Nordio, “si pone il problema tecnico. Come potrebbe un domani intervenire una sentenza di condanna al di là di ogni ragionevole dubbio quando dopo tre anni di udienza un giudice ha dubitato e ha assolto? La lentezza della nostra giustizia dipende anche dall’incapacità di molti magistrati di opporsi all’evidenza”. Governo e maggioranza fanno cerchio attorno a Salvini. “Mi dispiace umanamente e personalmente e anche professionalmente, io ho vissuto quella stagione da capo di gabinetto di Salvini”, dice il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi. Arianna Meloni invita il vicepremier ad “andare avanti a lavorare per il bene dell’Italia: è l’unica risposta possibile da dare a chi non riesce ad accettare la sua sconfitta. Forza Matteo!”.

Ma la giornata apre anche un altro fronte di tensione tra esecutivo e toghe. Nordio, infatti prende di mira il magistrato Piccirillo che, in un’intervista a Repubblica, aveva spiegato che non c’erano “valide ragioni giuridiche per non convalidare l’arresto” di Almasri “e non consegnarlo alla Corte penale internazionale”. Per il guardasigilli “che un magistrato si permetta di censurare su un giornale le cose che ho fatto, in qualsiasi paese al mondo avrebbero chiamato gli infermieri. Potrebbe essere oggetto di valutazione. I magistrati – aggiunge – sono convinti di godere di una impunità tale da poter dire quello che vogliono. Questo rimane fino a che non faremo una riforma perché non c’è sanzione di fronte a esondazioni improprie”.

Un intervento pesante, che scatena la reazione dell’Anm. “Che il titolare del dicastero della Giustizia possa ritenere che l’espressione pubblica del pensiero di un magistrato in servizio meriti l’intervento degli ‘infermieri’ o diventi oggetto di valutazione disciplinare – sostiene l’associazione – rappresenta un fatto grave, incompatibile con i principi fondamentali di uno Stato di diritto”. Per gran parte dei consiglieri togati del Csm il ministro “ha dileggiato e tentato di intimidire”. Dura anche l’opposizione. Francesco Boccia (Pd) è “allibito dalle parole di Nordio, che continua a non dire la verità e il cui modello di giustizia, evidentemente, è quello di Trump”. Per Valentina D’Orso (M5S) “è il trionfo dell’arroganza al potere”.

Le fa eco Nicola Fratoianni (Avs): “qualcuno a Palazzo Chigi gli spieghi che è un ministro della Repubblica non il Marchese del Grillo”. Come se non bastasse, un ulteriore tema toccato dal ministro ha movimentato la giornata. Questa volta a sentirsi toccato è stato il vicepresidente del Csm, Fabio Pinelli. Il Consiglio superiore della magistratura, secondo il numero 1 di via Arenula, è “il riflesso delle correnti. Se non sei iscritto a una corrente non hai nessuna possibilità non dico di carriera, ma neanche di essere ascoltato. Se tu invece ha in una corrente il tuo padrino, il tuo protettore, anche quando finisci davanti alla sezione disciplinare c’è una stanza di compensazione”.

Pinelli non ci sta. “Nell’esperienza acquisita quale presidente della sezione disciplinare del Csm – spiega – l’attività da essa compiuta si è caratterizzata, grazie alla serietà e competenza di ciascun componente, dall’analisi rigorosa degli atti e dalla applicazione dei principi di diritto, senza alcuna influenza sulle decisioni prese legata all’eventuale appartenenza a gruppi associativi o a presunte camere di compensazione”.

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Politica

Inchiesta su Milano, il Pd difende Sala ma il centrodestra accelera: “Città contendibile”

Milano al centro dell’inchiesta urbanistica, il Pd conferma la fiducia a Sala. Il centrodestra punta su un civico: in pole Ferruccio Resta. Tensioni su ius scholae e legge elettorale.

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Il Partito Democratico si stringe attorno a Beppe Sala (foto Imagoeconomica in evidenza con Schlein), indagato nell’ambito dell’inchiesta sull’urbanistica a Milano, scoppiata oltre 48 ore fa. A parlare, con una nota dal tono compatto ma prudente, è la segretaria Elly Schlein, che garantisce il pieno appoggio del partito al primo cittadino milanese, sottolineando che «il Pd è al fianco del sindaco e continua a sostenere il lavoro dell’amministrazione per i prossimi due anni». Ma nella stessa dichiarazione appaiono anche due segnali importanti: l’invito a dare prova di innovazione e cambiamento nelle sfide su casa e ambiente, e la promessa di seguire con attenzione gli sviluppi giudiziari.

Maggioranza compatta, ma con distinguo. Il M5S chiede le dimissioni

La posizione del centrosinistra appare per ora solida, con i leader di Italia Viva, Azione, Verdi e Pd che ribadiscono la fiducia a Sala. Tuttavia, solo Renzi e Calenda si espongono senza riserve. Più sfumate le posizioni di Bonelli e Schlein. Da parte sua, Pierfrancesco Maran, eurodeputato Pd ed ex assessore milanese, esprime «massima fiducia» sia in Sala che nell’assessore Tancredi. A rompere l’unità è il Movimento 5 Stelle, che dall’opposizione comunale chiede le dimissioni del sindaco.

L’inchiesta segna comunque un contraccolpo politico, facendo tramontare l’ipotesi di Sala federatore del centro o del centrosinistra in vista delle prossime elezioni.

Il centrodestra intravede l’occasione: “Milano ora è contendibile”

Dall’altro fronte si respira attesa, ma anche fermento. Secondo più fonti, l’indagine offre l’occasione di contendere Milano, finora considerata roccaforte progressista. La premier Giorgia Meloni, pur ribadendo la linea del garantismo, non esclude un’accelerazione nella definizione del candidato. La Lega preme per ottenere subito le dimissioni, denunciando la gestione «paralizzante» del Comune.

Ignazio La Russa, presidente del Senato, attacca apertamente: «Se la giunta Sala non ha la maggioranza sull’urbanistica, tragga le conseguenze». Parole che pesano, considerata la sua influenza a Milano.

Scenari futuri: commissariamento, voto nel 2027, e nodo candidato

Un’ipotesi che circola è quella di un commissariamento nel caso di dimissioni anticipate, con le elezioni che slitterebbero al 2027, in contemporanea con le Politiche. In quest’ottica, Forza Italia propone un candidato civico: in pole c’è Ferruccio Resta, ex rettore del Politecnico, mentre Maurizio Lupi pare in discesa nei sondaggi. La Lega punta a conquistare il consenso di giovani e professionisti, mentre Fratelli d’Italia valuta nomi più politici come Fidanza o Osnato.

Il dossier su Milano, secondo indiscrezioni, non rientrerà nel tavolo sulle Regionali che i leader del centrodestra dovrebbero riaprire lunedì, per sbloccare il confronto su Veneto e Campania.

Sullo sfondo: legge elettorale e scontro Lega-Forza Italia

Intanto sullo sfondo si infittisce il confronto interno alla maggioranza. Meloni lavora a una riforma elettorale di stampo più proporzionale, tentando di portare con sé la Lega e Forza Italia, che al momento resta in bilico. Nuove tensioni anche sullo ius scholae: Tajani rilancia la proposta, ma la Lega la boccia come «non prioritaria». La replica di Paolo Barelli è durissima: «Ignoranti, leggete la proposta prima di bocciarla».

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