Niente no deal, anche a costo di dover chiedere a Bruxelles un rinvio prolungato della Brexit e, se concesso, di dover partecipare alle elezioni Europee. Lo ha deciso stanotte la Camera dei Comuni britannica, imponendo al governo con un maggioranza trasversale di appena un voto – 313 a 312 – una legge ad hoc promossa dalla deputata laburista Yvette Cooper e approvata con un’irrituale procedura sprint di poche ore – in attesa dell’assenso dei Lord – non senza polemiche. Si e’ trattato dell’ultimo colpo a effetto di un Paese in piena fibrillazione, impegnato a provare a fare cio’ che non e’ riuscita a fare in quasi tre anni: in un’affannata corsa contro il tempo alla caccia di una via d’uscita sul dossier Brexit affidata intanto alle incerte speranze di un qualche compromesso fra Theresa May e Jeremy Corbyn, dopo l’apertura al dialogo con il leader dell’opposizione laburista su una soluzione piu’ soft che in queste ore vale alla premier la prevedibile rivolta dei Tory brexiteer ultra’ e qualche nuova defezione nel suo governo. Il ghiaccio e’ stato rotto in un primo incontro faccia a faccia a Westminster durato due ore. Colloquio andato “molto bene”, secondo le poche parole strappate inizialmente al volo da una giornalista al ‘compagno Jeremy’; “utile, ma non risolutivo”, secondo quelle di una successiva dichiarazione piu’ articolata e molto cauta. “Abbiamo avuto discussioni esplorative costruttive su come rompere lo stallo”, e’ stato il commento ufficiale di un portavoce del Labour.
Theresa May. Non c’è ancoraaccordo su Brexit
Mentre anche Downing Street si e’ limitata a evocare un’atmosfera “costruttiva”. Il programma e’ di andare avanti domani e fino al weekend compreso per tentare di chiudere la partita. Oltre del resto non si si puo’ spingere. “Il 12 aprile e’ la data ultima per l’approvazione” dell’accordo, ha ricordato con l’orologio in mano il presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, avvertendo che altrimenti una proroga, almeno la proroga “di breve durata” limitata al 22 maggio che la May spera di riesumare al vertice Ue di mercoledi’ 10 per evitare il coinvolgimento britannico nelle prossime Europee, non potra’ essere nemmeno presa in esame. Jason Groves, political editor del Daily Mail, pronostica in effetti un’intesa realistica a portata di mano: con “unione doganale; allineamento permanente (a Bruxelles) sui diritti dei lavoratori e altro; annacquamento dei piani Tory (restrittivi) sull’immigrazione, ma fine comunque della liberta’ di movimento confermata; senza un secondo referendum; e con l’uscita dall’Ue prima delle euro-elezioni”. Parlare di ottimismo appare pero’ avventato. Tanto piu’ che le divisioni restano: sia tra i fronti opposti ai Comuni, arrivati addirittura a sperimentare un pareggio – 310 voti per parte – prima di bocciare l’idea di una nuova sessione di voti indicativi su opzioni di piani B alternativi alla linea May; sia all’interno dei partiti. Sulla richiesta d’un referendum bis confermativo il Labour e’ diviso. Ma cresce il pressing su Corbyn, anche tra i fedelissimi del governo ombra, a considerarlo irrinunciabile. Fra i conservatori poi, dove il secco cambio di rotta della premier non e’ piaciuto a molti, e’ guerra aperta. I brexiteer piu’ oltranzisti l’hanno presa di mira senza sconti nel Question Time del mercoledi’, rinfacciandole d’aver tradito lo zoccolo duro del partito e del gabinetto, deciso a uscire dall’Ue il 12 aprile anche sfidando le paure di tanti (business in testa) su un traumatico no deal.
Accuse a cui lei ha risposto rivendicando di considerare “il no deal preferibile ad un cattivo accordo, ma non a un buon accordo”. E invocando “un consenso trasversale” come il modo piu’ sicuro a questo punto per “attuare la Brexit”. Spiegazioni che non sono bastate a evitare le dimissioni di altri due membri governo. Soltanto esponenti junior stavolta, Nigel Adams e Chris Heaton-Harris, sottosegretari rispettivamente al dicastero per il Galles e a quello per la Brexit, dopo la girandola d’abbandoni eccellenti dei mesi scorsi, ma comunque di un qualche peso: soprattutto nel caso di Heaton-Harris, addetto proprio ai piani per un eventuale no deal, che nella lettera di congedo ha scritto di ritenere il suo lavoro ormai “irrilevante” data la scelta di campo della May. Non la pensa cosi’ il governatore della Bank of England, Mark Carney, convinto al contrario che la minaccia dell’epilogo di’un “no deal accidentale sia ancora elevata”, ed elevata “in modo allarmante”. A meno che il dialogo May-Corbyn non vada davvero in buca e non trovi finalmente la ratifica d’una maggioranza. Magari con l’aggiunta di quel voto referendario confermativo cui la premier continua a dire no, ma che i gruppi minori della opposizione e molti laburisti, fra cui la ministra degli Esteri ombra Emily Thornberry, invocano ancora come conditio sine qua non per un via libera. Anche al prezzo di far saltare tutto.
Non vedono il loro nipote da cinque anni, portato via dalla madre nel Donbass, epicentro degli scontri tra Russia e Ucraina, e ora, dopo le ultime accuse a Vladimir Putin, hanno il timore che anche lui sia tra le vittime delle deportazioni e ‘rieducazioni’ del regime di Mosca. Quella che era finora una amara disputa familiare si tramuta nel terrore di una tragedia ben più grave, nella vicenda di Roman, un bambino di 6 anni figlio di un italiano, ora residente in provincia di Verona, e di una cittadina ucraina che dopo la nascita del piccolo si è trasferita a Donetsk. A lanciare un appello per rivederlo sono stati i nonni, che da anni cercano di mobilitare autorità, esponenti della diplomazia e anche la Presidenza della repubblica. La questione riguarda innanzitutto i difficili rapporti tra i genitori, e tra di loro e i nonni. Il padre del bimbo aveva conosciuto la moglie in Ucraina e si erano sposati. Sei anni fa è nato il piccolo Roman, ma poco dopo i rapporti tra i due coniugi si sono incrinati, e la madre lo ha portato via con sé quando aveva 3 mesi, stabilendosi a Donetsk, centro di una delle autoproclamate repubbliche filosovietiche, e ha divorziato.
L’ultima volta che i nonni hanno visto il bambino è stato nel 2018. Adesso, alla luce delle accuse di deportazione avanzate dalla Corte internazionale di giustizia de L’Aja contro Vladimir Putin, l’incubo è che il piccolo abbia fatto la fine di molti suoi coetanei. Adombrano il sospetto – ma non ci sono elementi che lo provino – che la madre lavorasse per i servizi segreti ucraini, e poi sia passata dalla parte dei filorussi. In un appello pubblico diffuso oggi, i nonni di Roman raccontano che nell’ultima chiamata whatsapp avrebbe fatto vedere loro una pistola giocattolo e al papà il modellino di un aereo. Lo scorso anno, in un altro appello, avevano sostenuto che un missile era caduto a meno di due chilometri dall’abitazione dove il piccolo risiede con la madre, e avevano sottolineato che è “in costante pericolo di vita”.
“Malgrado l’interessamento del console italiano in Ucraina e i vari tentativi fatti da noi anche con l’aiuto di politici locali – hanno riferito – la posizione della madre si è ulteriormente irrigidita, azzerando totalmente i contatti da circa un anno. A tuttora non sappiamo dove Roman sia e con chi viva. Ci appelliamo alla Convenzione sui diritti dell’infanzia. Noi riceviamo notizie frammentarie da persone che rischiano la loro vita fornendoci queste informazioni. Fino ad un anno fa facevamo qualche videochiamata con il piccolo, che non parla italiano per scelta della madre, poi nemmeno quella, e i numeri di telefono risultano bloccati”. La sindaca del Comune veronese ha riferito di non aver mai visto il padre, unico residente in Veneto della famiglia, mentre un anno fa aveva ricevuto il nonno, che le aveva raccontato la storia della separazione e la sua preoccupazione per le sorti del piccolo.
Un’intesa senza svolta. E’ finita così la lunga maratona negoziale che sabato ha visto impegnato il capo della diplomazia europea, Josep Borrell, alla ricerca di un accordo sulla normalizzazione delle relazioni tra Serbia e Kosovo con i leader dei due paesi, Aleksandar Vucic e Albin Kurti. Una prima intesa era stata raggiunta a fine febbraio sulla base di una proposta avanzata dall’Ue. A Ohrid, le parti hanno cercato di fare un passo più, quello più complesso: concordare i termini di attuazione dell’accordo. L’intesa è stata annunciata a tarda notte da Borrell e, dopo alcune ore, ha incassato il plauso del presidente del Consiglio Ue Charles Michel e della Nato. Ma la sua applicazione resta avvolta nella nebbia. Borrell ha ammesso che Belgrado e Pristina “non sono riuscite a raggiungere un accordo” sulla proposta iniziale dell’Ue “più dettagliata e ambiziosa” di cui alcuni punti restano in piedi. Quello principale riguarda l’introduzione di un regime speciale per la minoranza serba in Kosovo. Il testo contiene l’obbligo per Pristina di avviare “immediatamente dei negoziati nell’ambito del dialogo mediato dall’Ue per stabilire disposizioni e garanzie specifiche al fine di garantire un livello adeguato di autogestione per la comunità serba in Kosovo”.
Le parti, inoltre, hanno concordato di “approvare con urgenza la dichiarazione sulle persone scomparse”. Come sottolineato dai due leader balcanici al termine dell’incontro, l’allegato attuativo non è stato firmato per il rifiuto opposto da Belgrado a sigillare l’accordo. “Sono pronto ad attuarlo, ma niente che sia collegato con l’ammissione del Kosovo alle Nazioni Unite, o con il suo riconoscimento de facto o de jure”, ha avvertito Vucic. La mancata firma di Ohrid ha sollevato un ginepraio di polemiche sull’obbligatorietà degli impegni. Scettico anche il premier albanese, Edi Rama: “Speriamo – ha scritto – che quest’intesa concordata ma non firmata non sia un altro inganno balcanico”, ma “un traguardo storico”.
Nell’allegato, tuttavia, vi sono una serie di disposizioni che mirano a blindare l’intesa. La più significativa è il fatto che la proposta di normalizzazione delle relazioni diventi “parte integrante dei processi di adesione all’Ue” dei due Stati: in altre parole, niente accordo, niente Ue. Il testo prevede l’organizzazione di una conferenza dei donatori da parte dell’Ue “entro 150 giorni per istituire un pacchetto di investimenti e aiuti finanziari per il Kosovo e la Serbia”, ma nessun esborso avverrà prima della piena attuazione dell’accordo. Entro 30 giorni, verrà istituito inoltre “un comitato di controllo congiunto presieduto dall’Ue” per garantire che quanto concordato venga tradotto in realtà. Borrell, dopo le dodici ore di negoziato è stato chiaro: il mancato rispetto degli obblighi derivanti dall’accordo “potrebbe avere conseguenze negative dirette sui rispettivi processi di adesione all’Ue e sull’aiuto finanziario che ricevono dall’Ue”. “Spetta all’Ue trovare un meccanismo per rendere lo status di quest’accordo legalmente vincolante”, è stata la replica di Kurti.
In Russia da domani a mercoledì, il presidente Xi Jinping rafforzerà i suoi rapporti con Vladimir Putin, partner sempre più dipendente da Pechino ma anche sempre più imprevedibile. “Una missione per la pace”, l’ha presentata venerdì il ministero degli Esteri cinese, collegandola alla guerra di Mosca contro l’Ucraina. Forte dell’inedito terzo mandato consecutivo appena ricevuto alla presidenza della Repubblica popolare dopo l’altrettanta storica terza segreteria di fila del Partito comunista di ottobre, Xi ha deciso di iniziare le visite all’estero del nuovo decennio da Mosca, proprio come fece 10 anni fa una volta conquistato il vertice istituzionale del Paese. Il suo incontro con Putin sarà il 40/mo di persona, a sottolineare la continua importanza della sua intesa russa anche se il viaggio rischia di mettere a repentaglio altri obiettivi di politica estera, tra cui quelli di evitare che le relazioni della Cina con gli Stati Uniti sfuggano da ogni controllo e di tutelare i rapporti con Bruxelles con cui Pechino sta cercando di far avanzare ulteriormente la cooperazione economica e commerciale.
La Cina ha ancora bisogno dell’accesso ai mercati, alla tecnologia e al capitale occidentali per ritornare ad una crescita robusta, la vera fonte di legittimità del Pcc. Il Cremlino, invece, è sempre più dipendente dal Dragone per l’acquisto di petrolio e gas di fronte alle sanzioni occidentali, ma rivendica la sua capacità di manovra. “Proprio prima dell’inizio della visita di Stato di Xi, Putin ha fatto il suo primo viaggio nella città ucraina occupata di Mariupol, più che simbolica per l’invasione russa, in un altro apparente tentativo di segnalare che ha il sostegno di Pechino”, ha notato una fonte diplomatica. Tuttavia, piuttosto che spingere Putin a ritirarsi dall’Ucraina, Xi – per alcuni osservatori – userà l’incontro con il presidente russo per sviluppare il partenariato strategico bilaterale. Al fine di rafforzare l’immagine di parte neutrale interessata alla pace, Xi dovrebbe poi parlare in modalità virtuale con l’omologo ucraino Volodymyr Zelensky per la prima volta dall’inizio dell’invasione russa, probabilmente dopo il suo viaggio a Mosca, ha riportato nei giorni scorsi il Wall Street Journal.
La Casa Bianca si prepara alla visita in una posizione attendista: “Vedremo cosa emergerà da questo meeting”, afferma il portavoce della Consiglio per la Sicurezza Nazionale della Casa Bianca, John Kirby, ma se dovesse emergere la richiesta di una tregua in Ucraina sarà “inaccettabile” perché significherebbe “ratificare le conquiste fatte fino a oggi dalla Russia” e “concedere più tempo a Putin”. Da quando Mosca ha attaccato l’Ucraina oltre un anno fa, Pechino ha evitato qualsiasi condanna mantenendo una posizione ambigua.
Qualsiasi presa di distanza significativa da Mosca avrebbe un contraccolpo che la Cina non può permettersi: è possibile che la leadership comunista stia cercando un migliore equilibrio tra il duplice obiettivo di raggiungere la stabilità nelle relazioni con l’Europa e garantire che la Russia non perda la guerra, rimanendo allineata con la Cina, essenziale per i piani di Xi sui nuovi assetti mondiali a danno degli Usa. “Xi si rifiuterà di mettere il suo nome su qualsiasi cosa possa causare un contraccolpo economico all’Occidente”, ha aggiunto la fonte diplomatica. Mentre Hu Xijin, ex direttore del Global Times, tabloid nazionalista del Quotidiano del Popolo, ha osservato che “gli Usa forniscono la ragione e l’energia per continuare la guerra ucraina”. Invece, la Cina “fornisce la razionalità e la speranza per porvi fine”, ha scritto Hu su Twitter.