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Esteri

Biden promette di rispondere all’Iran, rischio escalation

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Nuovo e cruciale dilemma per Joe Biden, riunitosi nella Situation Room della Casa Bianca con il suo team della sicurezza nazionale per decidere quale tipo di rappresaglia lanciare dopo la morte di tre soldati americani – i primi dall’inizio della guerra a Gaza – nell’attacco su una postazione Usa in Giordania, attribuito a “gruppi militanti radicali sostenuti dall’Iran che operano in Siria e Iraq”.

Da un lato il presidente deve difendersi dagli attacchi di Donald Trump e dalle pressioni dei falchi repubblicani, che minano la sua campagna elettorale dipingendolo come un commander in chief “troppo debole” e chiedendogli di colpire direttamente Teheran. Ossia lo sponsor politico, finanziario e militare di tutte le milizie ribelli che in meno di quattro mesi hanno sferrato almeno 160 attacchi con droni e razzi contro truppe americane in Iraq, Siria e Yemen (in totale una settantina i feriti), senza contare quelli di Hezbollah in Libano contro Israele.

Biden è nel mirino anche per il fallimento delle difese aeree, che pare non siano riuscite ad intercettare il drone nemico perché confuse dal suo avvicinamento al target mentre un drone americano stava rientrando alla base poi colpita. Dall’altro il leader dem deve evitare il rischio di una escalation di quella che molti considerano già una guerra d’atrito a bassa intensità con l’Iran e del conflitto a Gaza, cosa che rischierebbe di infiammare il Medio Oriente, terremotare l’economia mondiale e compromettere la sua rielezione alla Casa Bianca. “L’America risponderà, nel momento e nel modo che sceglieremo”, ha promesso Biden. E la risposta sarà “molto consequenziale”, ha assicurato il portavoce del consiglio per la Sicurezza nazionale John Kirby, spiegando che il presidente sta valutando “diverse opzioni” ma sottolineando che “non cerchiamo una guerra con l’Iran nè un allargamento del conflitto in Medio Oriente”.

“Il presidente e io non tollereremo attacchi alle forze statunitensi e prenderemo tutte le azioni necessarie per difendere gli Stati Uniti e le nostre truppe”, ha avvisato anche il segretario alla Difesa Lloyd Austin, tornato al Pentagono ad un mese dall’intervento per un cancro alla prostata. Finora gli Usa hanno replicato con limitati attacchi aerei ma ora non è facile per la Casa Bianca decidere una risposta più forte contro quella che sulla carta è ancora una ‘proxy war’, una guerra per procura. Il raid è infatti stato rivendicato dal gruppo Resistenza islamica in Iraq (coalizione di milizie sciite filo-iraniane), mentre Teheran respinge ogni accusa di coinvolgimento sostenendo che “i gruppi di ribelli nella regione stanno rispondendo ai crimini di guerra e al genocidio del regime sionista e non prendono ordini dall’Iran”.

C’è chi ricorda come gli Usa non bombardarono la Cina o l’Urss per il loro coinvolgimento nelle guerre in Corea e Vietnam, così come Mosca non attaccò Washington per il suo sostegno alla resistenza afghana contro l’Armata Rossa, né sta attaccando gli Stati Uniti e i Paesi Nato per il loro supporto a Kiev. Persino Donald Trump nel 2019 decise all’ultimo momento di non colpire Teheran dopo l’abbattimento di un drone di sorveglianza Usa, seguendo la convinzione dei suoi predecessori che una guerra con l’Iran sarebbe pericolosa e destabilizzante per tutti. Un bombardamento in Iran potrebbe avere un effetto terremoto, dai traffici petroliferi nel golfo di Hormuz a quelli commerciali sul Mar Rosso (con gli Houthi che già imperversano) sino agli Hezbollah, capaci di aprire un nuovo fronte contro Israele.

Certo, la soluzione migliore per Biden sarebbe riuscire a convincere o costringere il premier israeliano Benyamin Netanyahu ad un cessate il fuoco. Ma nel frattempo deve mostrare i muscoli per far vedere che l’Iran non può restare impunito. Un’opzione sul tavolo, insieme a nuove sanzioni economiche mirate – oltre quelle annunciate oggi insieme a Londra -, sarebbe colpire gli operativi iraniani: in particolare delle forze iraniane al-Quds in Yemen, Iraq, Siria e Libano, come fece Trump con il generale Soleimani. Ma richiederebbe tempo e Biden ne ha poco.

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Usa: sondaggio “Cnn”, Trump in vantaggio su Biden di 6 punti a livello nazionale

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A poco meno di sei mesi dalle elezioni negli Stati Uniti, l’ex presidente Donald Trump gode del sostegno del 49 per cento degli elettori, in vantaggio di sei punti percentuali sul suo successore Joe Biden, fermo al 43 per cento. Lo indica l’ultimo sondaggio pubblicato dall’emittente “Cnn” ed effettuato dall’istituto Ssrs. Rispetto alla precedente rilevazione condotta lo scorso gennaio, il candidato repubblicano e’ rimasto stabile, mentre l’attuale presidente ha perso il due per cento del proprio consenso. Soprattutto, e’ in miglioramento l’idea che gli elettori hanno degli anni della presidenza Trump. Ora il 55 per cento degli statunitensi considera “un successo” la sua amministrazione, contro il 44 per cento che la definisce “un fallimento”.

Nel gennaio del 2021, pochi giorni dopo l’insediamento di Biden, era il 55 per cento a considerare un fallimento la presidenza di Trump. Al contrario, il 61 per cento ritiene che la presidenza Biden sia stata un fallimento, mentre il 39 per cento la definisce “un successo”. Il sondaggio mostra anche come i repubblicani siano piu’ convinti dell’idea che la presidenza Trump sia stata un successo (92 per cento) rispetto a quanto gli elettori democratici abbiano la stessa opinione della presidenza Biden (solo il 73 per cento). Tra gli indipendenti, l’amministrazione Trump e’ guardata con favore dal 51 per cento, contro il 37 per cento che ha opinione positiva dell’attuale presidenza. Poi vi e’ un 14 per cento che considera un fallimento entrambe le esperienze, e un 8 per cento che invece ritiene un successo sia la presidenza di Donald Trump che quella di Joe Biden.

Il sondaggio rileva anche come il 60 per cento degli elettori disapprovi l’operato dell’attuale presidente e come il tasso di approvazione, attualmente al 40 per cento, sia al di sotto del 50 per cento anche su materie quali le politiche sanitarie (45 per cento) e la gestione del debito studentesco (44 per cento). A pesare sull’opinione che i cittadini Usa hanno di Biden e’ soprattutto la gestione della crisi a Gaza (il 71 per cento disapprova), in particolare nel caso degli under 35 (tra questi e’ l’81 per cento a esprimere valutazione negativa). Non molto meglio il giudizio degli elettori sull’operato della Casa Bianca in economia (solo il 34 per cento approva), tema che il 65 per cento degli intervistati considera “estremamente importante” per il voto di novembre.

Tra questi ultimi, il 62 per cento ha intenzione di votare Trump, il 30 per cento Biden. In generale, il 70 per cento degli elettori si lamenta delle attuali condizioni economiche del Paese, e il 53 per cento si dice insoddisfatto della propria situazione finanziaria. Tale insoddisfazione sale soprattutto tra gli elettori a basso reddito, tra le persone di colore e tra i piu’ giovani. L’impressione per entrambi i candidati resta per lo piu’ negativa (il 58 per cento ha opinione negativa di Biden, il 55 per cento di Trump) e il 53 per cento e’ insoddisfatto delle opzioni a disposizione sulla scheda elettorale il prossimo novembre.

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Sconosciuti uccidono sette giovani nel sud dell’Ecuador

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Sette giovani, che la polizia sospetta facessero parte di una banda dedita al furto di veicoli, sono stati uccisi a colpi d’arma da fuoco da sconosciuti a Petrillo, località del sud dell’Ecuador. Secondo una prima ricostruzione dell’accaduto, riferisce il portale di notizie Primicias, sei dei giovani, tutti fra i 15 e i 21 anni, sarebbero caduti in un’imboscata mentre stavano riportando una moto rubata al proprietario per incassare il riscatto. Il cadavere di un settimo giovane è poi stato ritrovato ore dopo poco lontano dal luogo del massacro. Gli inquirenti hanno comunicato che praticamente tutte le vittime avevano precedenti penali per furti di vario genere, ed in particolare di veicoli, formulando l’ipotesi che le persone che hanno sparato da un’auto sarebbero membri di una banda rivale o residenti del luogo stanchi delle ripetute estorsioni.

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Nota tiktoker Om Fahad uccisa a Baghdad davanti casa

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Un uomo su una moto ha ucciso la nota influencer Om Fahad davanti casa a Baghdad, hanno riferito funzionari della sicurezza irachena, citati dal Guardian. L’aggressore, ancora non identificato ha sparato a Om Fahad che si trovava in macchina nel quartiere di Zayouna ieri, ha dichiarato un funzionario della sicurezza, che ha chiesto l’anonimato perché non autorizzato a parlare con i media.

Un’altra fonte della sicurezza ha raccontato che l’aggressore avrebbe fatto finta di consegnare del cibo. Om Fahad era diventata famosa per i suoi video spensierati su TikTok in cui ballava musica irachena indossando abiti aderenti. Nel febbraio dello scorso anno, un tribunale l’aveva condannata a sei mesi di carcere per aver condiviso “video contenenti discorsi indecenti che minano il pudore e la moralità pubblica”. Il governo ha lanciato una campagna nel 2023 per ripulire i contenuti dei social media che, a suo dire, violavano “la morale e le tradizioni” irachene. È stato istituito un comitato del ministero degli Interni per setacciare TikTok, YouTube e altre piattaforme alla ricerca di filmati ritenuti offensivi. Secondo le autorità, diversi influencer sono stati arrestati. Le libertà civili rimangono tuttora limitate per le donne i Iraq. Nel 2018, la modella e influencer Tara Fares fu uccisa da alcuni uomini a Baghdad.

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