Quanto vale indignarsi? É la stampa Baby e tu non puoi farci niente. Piu’ che la stampa sono le dinamiche economiche distorte che regolano alcuni meccanismi malati nel settore giornalistico e in special modo quello legato alle fotografie e alle riprese video.
Antico proverbio, non cinese, ma napoletanissimo recita: “compa’ ma rai ‘na vacca?” che tradotto significa banalmente “Caro amico, se mi dai una mucca gratuitamente, la accetto volentieri”.
Il dilemma è proprio questo, in merito alle varie prese di posizione, legittime e circostanziate da molte parti, ma anche strumentali, poco attente e sinceramente inutili da altre, assunte per la diffusione di immagini dell’arresto del super latitante Marco Di Lauro e per la mancata impossibilità data ai professionisti dell’immagine visiva di poter riprendere l’evento, credo sia giunto il momento di innescare, dopo i vari tavoli “imbanditi” con le associazioni e le istituzioni di categoria, un dibattito che sia veramente pubblico e prima di tutto con il pubblico. Perché, se qualcuno avesse ancora la coscienza di ricordarlo, è il pubblico il principale fruitore del lavoro giornalistico.
C’e stato qualche eminente personaggio della categoria che “inveendo” contro l’uso di immagini non realizzate da iscritti all’ordine, ma da forze dell’ordine, ha definito i secondi dei dilettanti. Non credo assolutamente che siano dei dilettanti, anzi, sono dei signori professionisti della comunicazione.
Comunicazione che non è sinonimo di informazione, ma di esposizione delle cose da un punto di vista particolare e di parte, sia essa giusta o sbagliata. Nel chiaro solco del tutti colpevoli nessun colpevole, si evocano fantomatici pirati, ricordando compiti e mansioni che non credo di aver mai percepito e studiato come esclusivi.
Piu’ ragionata e contestualizzata è stata la posizione del Sindacato, che conoscendo bene la strada e i problemi della categoria inquadra l’accaduto, oramai normalità operativa, come pericoloso e dannoso atteggiamento nei confronti della libertà di informazione.
Ovviamente verrebbe da dire, aldilà delle posizioni delle istituzioni di categoria, che la soluzione sarebbe in un compromesso tra forze dell’ordine e fotocineoperatori, non intervenire quando le ragioni di sicurezza lo impongono, far lavorare gli operatori dell’immagine non solo quando le divise sono ben stirate e i visi sono sorridenti a favore delle telecamere.
Le foto prodotte dai professionisti, le foto inviate dagli uffici comunicazione, le foto libere e le foto pubblicitarie, le foto/foto e le immagini anche sfocate, mi chiedo: ma non sarebbe il caso che queste ultime non venissero pubblicate dalle testate? E ancora, puo’ un direttore che sbandiera la propria autonomia professionale abusare di immagini pubblicitarie di enti preposti alla sicurezza?
Il nodo è questo, se ti danno una vacca gratis la usi, ma poi non sarai piu’ libero di poter dire che l’allevatore maltratta gli animali.
L’Ordine dei Giornalisti, non dovrebbe nascondersi dietro la foglia di fico di comunicati stizziti contro fantomatici pirati dilettanti, ma avviare una seria campagna di sensibilizzazione al diniego dell’uso di immagini fornite dagli enti pubblici. Dovrebbe far capire che oltre al chiaro segnale di prostrazione a tali meccanismi, si interrompe una catena professionale che garantisce libertà e autorevolezza oltre ad arrecare danno a suoi iscritti.
Dovrebbe, l’Ordine, mettere in piedi meccanismi semplici di deterrenza all’uso di tali “servizi” quali l’impossibilità ad accedere a fondi pubblici per tutte le testate che utilizzano foto/videoprodotti realizzati da dipartimenti della comunicazione di enti pubblici o da funzionari e operatori protagonisti di operazioni di ordine pubblico o salvataggio.
Non è certo l’uovo di Colombo, ma un percorso che oramai diventa sempre piu’ lungo, ma come ogni utopia, anche questa ha un protagonista che deve essere risolutivo e come tutti i protagonisti dovrà lottare per far valere le sue ragioni. Il lettore è quel protagonista, sì proprio tu che ora stai leggendo, proprio tu che compri il giornale o con le dita della mano clicchi sulla tastiera o sul display di uno smartphone, tu lettore, quante volte hai scritto ad un giornale o ad una testata televisiva dicendogli che le foto o i filmati che erano in pagina o in onda non erano all’altezza delle tue aspettative? Credo che pochissimi potranno rispondere dicendo IO L’HO FATTO. Ecco il nodo è questo: il lettore italiano non è abituato a dialogare con il giornale e alla fine, passivamente lo subisce, qualunque sia la sua posizione, lo subisce pedissequamente, come oramai, purtroppo, siamo abituati nel nostro Paese in vari campi. E allora lettore, fallo, scrivi ai giornali dicendo che i contenuti fanno schifo, non farlo solo il sabato, con lettere forbite, sperando di uscire nella rubrica la domenica, scrivi a valanga dicendo anche soltanto : “non ti compro piu’, perché le foto fanno schifo” .
Fallo e metterai tutti di fronte alle proprie responsabilità ricordando che tu lettore devi ri-assumere la tua centralità e per farlo devi avere fiducia, una fiducia che passa non per meri comunicati, ma per azioni che ribadiscano l’affidabilità di una categoria sempre piu’ preda non solo di mire politiche e affaristiche, ma anche di mancanza di prospettive e di quella parola, oramai desueta e ridicolizzata, che definiamo ideali.