Un piccolo robot che si attiva quando e’ il momento di prendere un farmaco, lo spazzolino da denti che misura il valore della glicemia e il tremore della mano, possibile spia del Parkinson, e ancora l’app che riconosce le lesioni tipiche della lebbra che si sperimenta in Brasile e il robot che in Rwanda ha dato un aiuto prezioso durante la pandemia: intelligenza artificiale e Big data sono pronti a dare il loro contributo hi-tech alla tutela della salute, ma perche’ questo avvenga servono nuove regole, nell’Unione Europea come all’interno dei suoi Paesi membri, Italia compresa. E’ un cambiamento che vale la pena affrontare, considerando che nell’arco di dieci anni il valore dei dati potrebbe aumentare dagli 8,23 miliardi di dollari del 2020 a 194,4 miliardi nel 2030. Lo indica il Libro Bianco sul futuro dei dati per la salute, messo a punto da un gruppo di esperti europei e presentato oggi a Bruxelles da esperti di intelligenza artificiale, aziende e istituzioni europee, ricercatori e associazioni di pazienti. L’appello e’ per un “cambiamento culturale”: “il ritmo dello sviluppo tecnologico permette di elaborare enormi quantita’ di dati in pochi minuti, estraendo conoscenze e approfondimenti eccezionali per la tutela della salute, mentre solo pochi anni fa questo avrebbe richiesto decenni. Dobbiamo sfruttare questa opportunita’ lavorando insieme per portare benefici a tutti”, osserva il coordinatore del libro bianco Andrea Pescino, esperto di trasformazione digitale. “Bisognerebbe cercare di investire in questo settore, partendo dai dati di base fino alle tecniche di intelligenza artificiale piu’ sofisticate”, aggiunge. La sfida e’ “mettere a punto nuovi metodi di comunicazione per portare i dati a disposizione di tutti”. Questo e’ particolarmente importante per combattere malattie diffuse come i tumori, o per mettere a punto nuovi vaccini, o ancora per studiare malattie emergenti e ancora sconosciute: sono obiettivi ambiziosi, per raggiungere i quali e’ ormai chiaro che servono dati di molti pazienti, da raccogliere in molti Paesi. Condividere i dati richiede anche un punto di vista diverso, che non consideri piu’ solo l’interesse individuale, ma che tenga conto dei benefici che potrebbero essere alla portata di tutti. Parlando a titolo personale, Pescino osserva che “in Italia “c’e’ una situazione di grande frammentazione e di resistenza sulla sanita’ digitale, sebbene ci siano grandi opportunita’”, aggiunge riferendosi alla condivisione quotidiana dei dati sulla pandemia di Covid-19. E’ emblematica la storia di Pillo, il robot ideato in Italia, da una startup nata dall’Universita’ di Genova, ma che e’ stato possibile commercializzare solo negli Stati Uniti. “La nostra idea era avere un robot che entrasse nelle case per assistere chi deve prendere ogni giorno piu’ dosi di farmaci”, dice Emanuele Baglini, cofondatore e Ceo della Ermit. Messo a punto fra Italia, Cina e Stati Uniti, il robot e’ ora sul mercato americano: “nel mercato europeo sarebbe stato piu’ complesso arrivare a questo risultato, considerando che ogni Stato ha regole diverse, cosi’ come pubblico e privato”. Negli Stati Uniti “le regole sono piu’ semplici”. Basti pensare al fatto che il Pillo ha un blister che viene riempito in farmacia e spedito a casa, dove viene inserito nel robot: “questo negli Stati Uniti si puo’ fare, ma in Italia no – dice Baglini – perche’ i farmaci non possono essere estratti dal blister”.