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Cronache

Agguato nel rione Villa di Napoli, padre ucciso e figlio gambizzato davanti alla scuola elementare mentre i bambini entravano in classe

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Omicidio Rione Villa, il sindaco de Magistris attacca Salvini: ora basta promesse mercante, deve mandare a Napoli uomini in più non chiacchiere

Agguato a Napoli con un morto e un ferito. Il fatto è accaduto in via Sorrento, nel rione Villa , nei pressi di una scuola. Ignoti hanno sparato contro Luigi Mignano, 57 anni, uccidendolo, e il figlio Pasquale, 32 anni, colpito alle gambe e ora ricoverato all’ospedale del Mare. Indaga la polizia. Luigi Mignano, 57 anni, aveva vari precedenti, mentre il figlio Pasquale , ferito alle gambe, non risulta avere pregiudizi di polizia. I due, secondo quanto si è appreso, erano a bordo della loro auto tra via Ravello e via Sorrento, quando sono stati avvicinati da due persone in scooter. Il passeggero dello scooter ha impugnato una pistola e ha sparato contro di loro. Stavano entrando in auto quando sono stati raggiunti dai killer, forse a volto scoperto. Luigi Mignano, considerato vicino al clan Rinaldi egemone della zona, è morto sul colpo. Forse era proprio lui l’obiettivo dei killer.  Il figlio della vittima, Pasquale, 32 anni, è rimasto ferito alle gambe ed è ricoverato all’ospedale del Mare. Sul posto dell’agguato ritrovato c’era lo zaino di un bimbo:  il piccolo era in compagnia dei Mignano, era il figlio di Pasquale Mignano, che era stato appena lasciato davanti alla scuola.

Il parroco del rione Villa sconvolto: non si può uccidere rischiando di ammazzare un bambino di 3 anni che le vittime accompagnavano a scuola

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La tratta delle schiave in Italia: ‘O ti prostituisci o chiusa in casa senza cibo’

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Venivano convinte a partire per l’Italia con la promessa di un lavoro dignitoso, ma dopo il viaggio su imbarcazioni di fortuna per le ragazze iniziava un vero e proprio incubo fatto di violenze e prostituzione. Il gruppo criminale è stato ora smantellato dalla polizia che ha arrestato sei cittadini nigeriani accusati, a vario titolo, di associazione mafiosa finalizzata alla tratta di esseri umani, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, sfruttamento della prostituzione, sequestro di persona, estorsione e procurato aborto.

Alcuni reati aggravati, inoltre, dal metodo mafioso e dalla transnazionalità. L’ordinanza di custodia cautelare, emessa dal gip di Roma, è stata eseguita ieri dal personale del Servizio centrale operativo e della Sisco di Roma, con la collaborazione della Sisco di Brescia, del Servizio per la Cooperazione di Polizia e il Reparto Prevenzione Crimine. L’operazione si è svolta contemporaneamente nella Capitale, a Brescia e sul territorio islandese, dove alcuni degli arrestati si erano trasferiti da qualche tempo. Attraverso le indagini, coordinate dalla Dda capitolina, sono state ricostruite le attività illecite dell’associazione criminale ‘Maphite’, costituita da nigeriani e presente in Italia e in diversi stati europei. Il gruppo era dedito alla tratta di esseri umani, al favoreggiamento dell’ingresso clandestino nel territorio italiano, allo sfruttamento della prostituzione, all’estorsione ed al riciclaggio di denaro.

Rilevanti per le indagini le dichiarazioni di una giovane e coraggiosa vittima che è riuscita a ribellarsi dalla rete dei suoi sfruttatori. A finire nella trappola anche alcune minorenni, che ignare del loro futuro e in compagnia di un “boga”, hanno affrontato un lungo viaggio denso di violenze fisiche, psicologiche e sessuali, attraversando la Nigeria, il Niger e la Libia, da dove sono poi partite via mare su un’imbarcazione di fortuna per giungere a Pozzallo. Appena arrivate a Roma, le ragazze venivano costrette a prostituirsi e in caso di rifiuto rinchiuse in casa senza cibo ed era precluso qualsiasi contatto con i familiari in Nigeria. Una giovane incinta è stata anche costretta ad assumere pericolosi farmaci per l’interruzione di gravidanza, tanto da rischiare la morte, con l’obiettivo di farla prostituire. Gli investigatori hanno inoltre accertato condotte tipicamente mafiose dei sodali, con intimidazioni e violenze, anche nei confronti di familiari in Nigeria per estorcere ingenti somme di denaro come “spese del viaggio” per giungere in Italia. Per il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, l’operazione è “un passo significativo nel contrasto alla criminalità organizzata di matrice straniera”. Un risultato, ha aggiunto, “che conferma l’efficacia investigativa e la determinazione delle nostre forze dell’ordine nel combattere ogni forma di illegalità”.

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Caso Huawei, l’avvocato di Lucia Simeone: mai emesse fatture, pronta a difendersi anche in Belgio

Il legale della collaboratrice dell’europarlamentare Martusciello smentisce ogni coinvolgimento: “Non ha partita Iva, i bonifici ricevuti sono personali”.

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Lucia Simeone, collaboratrice dell’europarlamentare Fulvio Martusciello (Forza Italia), è al centro di un’indagine della magistratura belga su presunte tangenti versate per favorire Huawei nella partita del 5G all’interno delle istituzioni europee. La donna è stata raggiunta da un mandato di arresto europeo ed è comparsa oggi davanti alla Corte d’Appello di Napoli per rispondere alle domande del giudice e del sostituto procuratore generale.

A riferire i dettagli della sua posizione è l’avvocato Antimo Giaccio, difensore della Simeone:
«Secondo quanto emerge da una traduzione ritenuta fedele degli atti, la procura belga contesta a Lucia Simeone il concorso nell’emissione di due fatture che riteniamo essere assolutamente inventate», ha affermato il legale. «L’indagata non è intestataria di alcuna partita Iva e non gestisce attività che prevedano l’emissione di fatture».

I bonifici? «Scambi personali con un ex collega»

Al centro dell’inchiesta ci sarebbero circa 46mila euro in bonifici che, secondo gli inquirenti, avrebbero avuto lo scopo di condizionare alcuni eurodeputati a firmare una lettera a favore di Huawei per chiedere l’apertura del mercato europeo del 5G.

Ma l’avvocato Giaccio precisa: «I bonifici a cui fanno riferimento gli atti sono stati ricevuti da Miguel Benoliel de Carvalho Wahnon Martens, ex collega portoghese dell’onorevole Martusciello e persona con cui Lucia Simeone ha un rapporto personale e di colleganza». Lo stesso legale sottolinea che anche la sua assistita ha effettuato piccoli bonifici all’uomo, da 400 o 500 euro, di natura privata.

Pronta a difendersi in Belgio

Durante l’udienza odierna, Lucia Simeone ha risposto a tutte le domande che le sono state rivolte. Il suo avvocato ha richiesto la concessione della libertà, ribadendo la disponibilità della sua assistita a difendersi in giudizio anche in Belgio, qualora venisse autorizzata l’estradizione.

«È pronta ad affrontare il processo, determinata a dimostrare la propria totale estraneità ai fatti contestati», ha concluso il penalista.

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In Italia 70 detenuti transgender, ‘vivono isolamento’

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Sono sei gli istituti penitenziari italiani che accolgono le persone transgender, per una settantina di detenuti in totale. La loro situazione di “doppia difficoltà”, per la limitazione della libertà e l’appartenenza ad una particolare minoranza è sottolineata dal garante regionale per i detenuti in Emilia-Romagna Roberto Cavalieri che ha promosso per il 9 aprile, nella sede della Regione a Bologna, un convegno di approfondimento sul tema. Il focus sarà sulla sezione di Reggio Emilia dove, viene spiegato, istruzione, formazione professionale e accesso al lavoro, fondamentali per la rieducazione, non vengono garantiti: “Per queste persone si traduce in un vero e proprio isolamento, con la conseguenza della violazione di un diritto fondamentale”, secondo il garante. I dati più aggiornati sono nel rapporto sulle condizioni di detenzione curato di Antigone per il 2023, che conta 69 persone transgender in sezioni protette omogenee riservate, due collocate in una sezione promiscua nuovi giunti, una collocata in isolamento circondariale.

Gli istituti sono Rebibbia Nuovo Complesso (16 su una capienza di 30 posti), Como (11), Reggio Emilia (11), Napoli-Secondigliano (11, di cui 8 collocate nella sezione per persone transgender, su una capienza di 24 posti), Ivrea (7 su una capienza di 20 posti) e Belluno (16). “La scelta di gestire la collocazione in sezioni protette attraverso ‘circuiti’ (connotati dal carattere dell’informalità), anziché attraverso ‘regimi’ (che invece formalizzano la limitazione del diritto all’uguaglianza di accesso al trattamento), non si traduce, nella materialità della condizione detentiva, nel godimento del pieno diritto al trattamento, anzi, può rivelarsi di fatto come una condizione punitiva”, osserva Antigone. “L’essere percepiti e trattati come ‘eccezione’ dentro al carcere non va inteso in termini di opportunità di accedere a una condizione per vari aspetti privilegiata, bensì, al contrario, significa rischiare o sperimentare forme di pluri-stigmatizzazione ed emarginazione”, continua.

“Servirebbe attivare percorsi personalizzati che tengano conto di questa condizione particolare e che non trascurino l’aspetto del disagio psichico che queste persone spesso manifestano”, dice il garante Cavalieri. Nella sezione reggiana (attiva dal 2018), denominata Orione, “il problema riguarda l’offerta di servizi rientranti nel trattamento in carcere, decisamente più carente rispetto ai detenuti maschi”, spiega il garante. Inoltre, “nel caso dei transgender deve essere assicurata la fruizione delle terapie ormonali e della psicoterapia a supporto del percorso di transizione. Un aspetto che, però, non trova piena attuazione a Reggio Emilia, a causa della carenza in struttura di personale sanitario”.

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