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Economia

Ok al decreto Ponte. Il Mit, “Opera da record”

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Via libera al Decreto per il Ponte sullo Stretto di Messina. “Una scelta storica, che apre a una infrastruttura da record mondiale e con forte connotazione green”, afferma il ministero delle Infrastrutture che spiega che gli uffici hanno terminato gli ultimi approfondimenti, confermando il testo che era stato approvato in Consiglio dei Ministri lo scorso 16 marzo con la formula “salvo intese”. Il provvedimento, si apprende, è stato firmato dal Capo dello Stato e va in Gazzetta Ufficiale. Il ministero sottolinea come il Ponte permetterà “una drastica riduzione dell’inquinamento da Co2 e un calo sensibile degli scarichi in mare”. E “significativo” è l’aspetto economico: il costo per la realizzazione del Ponte e di tutte le opere ferroviarie e stradali di accesso su entrambe le sponde è oggi “stimato in 10 miliardi”, sottolinea il Mit, facendo presente che dal 2019 al 2022, il “Reddito di Cittadinanza ha avuto un impatto per le casse dello Stato di 25 miliardi”.

Con il completamento dell’alta velocità in Calabria e Sicilia e la messa in esercizio del Ponte, si stima “un dimezzamento” dei tempi di percorrenza da Roma a Palermo “oggi pari a 12 ore, di cui un’ora e mezza per il solo traghettamento dei vagoni” e si inserisce nel tracciato del Corridoio multimodale Scandinavo-Mediterraneo. Il ministero di Porta Pia illustra quindi il progetto. L’attraversamento stabile sullo stretto è stato progettato secondo lo schema del ponte sospeso. Il progetto tecnico attualmente disponibile consiste in circa 8.000 elaborati e prevede una lunghezza della campata centrale tra i 3.200 e i 3.300 metri, a fronte di 3.666 metri di lunghezza complessiva comprensiva delle campate laterali, 60,4 metri larghezza dell’impalcato, 399 metri di altezza delle torri, 2 coppie di cavi per il sistema di sospensione, 5.320 metri di lunghezza complessiva dei cavi.

L’opera è costituita da 6 corsie stradali, 3 per ciascun senso di marcia (2 + 1 emergenza) e 2 binari ferroviari, per una capacità dell’infrastruttura pari a 6.000 veicoli/ora e 200 treni/giorno. E’ stata progettata con “una resistenza al sisma pari a 7,1 magnitudo della scala Richter”, con un impalcato aerodinamico di “terza generazione” stabile fino a velocità del vento di 270 km/h. In concreto, conclude il Mit, l’operazione-Ponte riparte così: la società Stretto di Messina, in liquidazione, torna in bonis e si trasforma in una società in house. L’assetto societario prevede la partecipazione di Rfi, Anas, delle Regioni Sicilia e Calabria e per una quota non inferiore al 51% di Mef e Mit.

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Economia

La Blue economy cresce, muove fino a 142,7 miliardi di euro

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La Blue economy, ovvero l’economia del mare, cresce in Italia e nel 2021 ha prodotto 52,4 miliardi di euro di valore aggiunto e fino a 142,7 miliardi se si considera l’intera filiera diretta e indiretta, l’8,9% dell’intera economia nazionale. Con 228mila imprese che danno lavoro a quasi 914mila persone, il settore ha vissuto un boom dell’export tra il 2021 e il 2022 con una crescita del 37,4%. Sono alcuni dei numeri contenuti nell’XI Rapporto sull’Economia del mare dell’OsserMare (Osservatorio nazionale sull’economia del mare) di Informare elaborato con il Centro studi Tagliacarne di Unioncamere e presentato durante il secondo Summit nazionale sull’economia del mare Blue forum in corso a Gaeta (Latina).

A trainare il recupero del ‘Sistema mare’ (escludendo l’impennata dell’industria delle estrazioni marine +69,8%) dal 2020 al 2021 sono stati in particolare i servizi di alloggi e ristorazione (+22,1%), la cantieristica (+11,7%) e la filiera ittica (+8%). Il 61% della ricchezza prodotta dal mare proviene dal Centro e dal Mezzogiorno nel 2021 contro poco più del 44% dell’intera economia ma a livello regionale è la Liguria a ricoprire un ruolo di primo piano per incidenza del valore prodotto dall’economia del mare sul totale regionale (11%). Il Lazio è la prima regione in Italia per numero delle aziende blu con 35.241 unità, seguita da Campania (32.449) e Sicilia (28.640).

La cantieristica, spiega il rapporto, fa volare l’export con un aumento del 40,7% nel 2022 contro una crescita del 37,4% delle esportazioni totali della blue economy. E per la prima volta dopo oltre 10 anni la bilancia commerciale torna in attivo, evidenzia il rapporto, indicando il saldo commerciale positivo con un avanzo di 1,9 miliardi di euro nel 2022 a fronte di un passivo di 1,6 miliardi nel 2021. Ancora una volta a fare la differenza è la cantieristica con un forte incremento delle vendite verso l’estero (+2,7 miliardi di euro) e una notevole riduzione del valore delle importazioni che si attestano nel 2022, su poco più di un miliardo di euro, in calo del 58,6%. La base imprenditoriale del sistema mare è aumentata dell’1,6% tra il 2021 e il 2022 e il valore diretto prodotto è aumentato del 9,2% tra il 2020 e il 2021.

I valori aggiornati “aiutano a definire lo scenario e la strategia marittima della nostra nazione” ha spiegato Antonello Testa, coordinatore nazionale di OsserMare. Per molti versi “la Blue economy si è dimostrata leader di resilienza e di sviluppo nel nostro Paese” ha evidenziato Gaetano Fausto Esposito, direttore generale del Centro Studi Tagliarne, aggiungendo che “la pandemia ha picchiato duro in una filiera dove lo spostamento di persone e merci e la componente turistica pesano per quasi il 50%. Ma già nel 2021 la Blue economy ha manifestato un tasso di sviluppo del valore aggiunto in termini monetari del 9,2% contro il 6,4% del dato complessivo nazionale consentendo di recuperare quasi del tutto la perdita del 2020. E le prime informazioni di cui disponiamo – ha annunciato Esposito – ci fanno prevedere un ulteriore sviluppo per il 2022, che consentirebbe di superare di quasi il 9% i livelli di prodotto del 2019, anche grazie agli andamenti particolarmente positivi di cantieristica e logistica”.

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Economia

Mercoledì le ultime considerazioni di Visco

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Il suo suo mandato scadrà a novembre e il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco nelle sue ultime considerazioni finali che terrà il 31 maggio, come da tradizione, traccerà il bilancio dell’anno e delle prossime sfide per il paese e l’istituto. Ma sarà anche il punto finale di dodici anni del suo mandato in cui l’istituto, il sistema bancario-finanziario e il paese sono profondamente cambiati. Dal governo Berlusconi, dal quale fu nominato, a quello odierno della Meloni e della sua maggioranza con i quali, dopo le prime incertezze, c’è una sostanziale comunanza su alcuni temi chiave, in primis il rigore sui conti pubblici. Istituzione indipendente per prassi e, dalla nascita della Bce di cui fa parte, per legge, la Banca d’Italia, si sa, ha un rapporto comunque stretto con la politica e le sue istituzioni. Il governo di Mario Draghi e del suo ministro dell’economia Daniele Franco (già dg dell’istituto) ne è la prova recente. Visco in questi anni ha evitato frizioni e attacchi diretti ma non ha ceduto sull’indipendenza e autonomia. Tensioni al calor bianco si sono comunque verificate quando il premier Renzi mise in dubbio il suo rinnovo nel 2015 o davanti alla commissione d’inchiesta sulle banche nel 2017.

L’arrivo della maggioranza di governo Lega-M5s, per la gran parte apertamente anti euro, anti Bce e contro il sistema finanziario, fu un altro punto critico poi superato anche grazie al ruolo del Quirinale. Di recente presentando il volume sulla storia della banca (i libri sono la sua manifesta passione) Visco ha citato uno dei suoi predecessori, Bonaldo Stringher, per affermare come l’indipendenza “è inviolabile” e che fra “banca d’Italia e Stato non ci possono essere dissidi”. Ma, politica a parte, sono stati anni ‘intensi’ come li ha definito lui stesso di recente, anche perché attraversati da una lunga serie di crisi nazionali come la risoluzione delle 4 banche, Mps e dei crediti deteriorati e internazionali quali quella del debito sovrano, il Covid e da ultimo l’aggressione all’Ucraina. Crisi nelle quali la banca è finita più volte sotto tiro, accusata di non essere stata troppo o troppo poco severa con gli istituti di credito. La nascita della vigilanza unica Bce ne ha rimodellato i compiti, ponendo fine ad alcune prassi e tradizioni non scritte come quella della ‘regolazione all’orecchio’ (la definizione è coniata in un recente libro di Stefano Lucchini e Andrea Zoppini). La Banca vigila comunque direttamente su banche medie e piccole ed è nei team congiunti della Bce per quelle maggiori. E poi c’è la partecipazione alle decisioni di Francoforte.

Visco ha sostenuto le politiche straordinarie di Draghi che hanno permesso al paese di superare la difficilissima fase della crisi del debito con lo spread alle stelle e al sistema bancario italiano di risanare e sgonfiare il bubbone dei crediti. Con l’arrivo dell’inflazione ha approvato il cambio di passo chiedendo però una maggiore gradualità e di considerare anche i rischi che una correzione brusca può causare in un paese come il nostro che cresce ma che si porta dietro un debito elevato e un’economia dipendente dal canale del credito bancario cui una stretta può appunto provocare danni. Per il momento non è stato ascoltato nè lui nè l’altro componente italiano del board, Fabio Panetta, da molti indicato come il suo successore. Una ipotesi comunque non scontata visto che la soluzione interna, se si eccettua la parentesi di Draghi, è quella seguita nella Banca. La prima parola spetta, per legge, al governo e al presidente del consiglio ma la nomina è poi del presidente della Repubblica, un passaggio questo non formale.

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Economia

La crescita c’è ma moderata. Resta il nodo del cuneo

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L’Italia modera il passo ma continua a crescere, nonostante le prospettive economiche generali restino fortemente incerte a causa di un’inflazione più persistente delle attese. Dopo la revisione al rialzo delle stime di Fmi e Ue, ora è il centro studi di Confindustria a confermare l’andamento positivo del Pil italiano anche per il secondo trimestre, soprattutto grazie al turismo che continua a correre ed è ormai tornato ai livelli pre-Covid. Migliori saranno i numeri del Pil e maggiori saranno gli spazi che il governo avrà a disposizione per i suoi interventi, come rendere strutturale ed ampliare quel taglio del cuneo fiscale annunciato al festival dell’economia di Trento dalla premier Giorgia Meloni.

In totale il taglio per quest’anno vale 8,5-9 miliardi. Per capire se le risorse ci saranno anche l’anno prossimo bisognerà aspettare settembre, quando la nota di aggiornamento al Def farà i calcoli aggiornati delle uscite e delle entrate. Nell’analisi mensile sulla congiuntura Confindustria spiega che il secondo trimestre 2023 si è aperto con qualche segnale debole per l’Italia, dopo il buon andamento del Pil a inizio anno. La situazione è solida nei servizi, con il turismo nei primi tre mesi dell’anno salito al di sopra dei livelli del 2022, portandosi intorno a quelli del 2019. Più grigia la situazione di industria e costruzioni. Il calo del prezzo del gas è una potente spinta positiva, spiega Confindustria, ma i consumi restano zavorrati dall’inflazione, risalita ad aprile da +7,6% a +8,2% su base annua. Dovrebbe essere una risalita solo temporanea, perché nei prossimi mesi peseranno il prezzo del gas sempre più basso e gli effetti sempre più pieni del rialzo dei tassi.

I rialzi dei tassi, da parte loro, stanno pesando sugli investimenti, rallentati dal costo del credito alle stelle: il tasso pagato dalle imprese italiane è balzato a 4,30% a marzo, oltre il triplo del livello di fine 2021 (1,18%). Calando i prestiti, per Confindustria manca un sostegno a produzione e investimenti. Inoltre, l’export si è praticamente arrestato, data la frenata mondiale. Tutto ciò ha portato a marzo al terzo calo consecutivo della produzione industriale. La sfida per l’economia italiana è continuare a crescere anche in un contesto di debolezza che i rialzi dei tassi stanno alimentando: la produzione industriale dell’area euro scivola a marzo (-4,1%), portando il 1° trimestre in negativo (-0,2%), e la Germania è finita in recessione tecnica.

Se il Pil italiano reggerà alla prova dei prossimi rialzi (il mercato ne ha prezzati almeno due) e a quella dell’attuazione del Pnrr, a settembre si faranno i conti dello spazio disponibile anche per intervenire nuovamente sul cuneo fiscale. Il governo Meloni l’ha già fatto due volte. La prima in manovra, rifinanziando il taglio del 2% introdotto da Draghi per i redditi fino ai 35mila euro e incrementandolo al 3% per quelli fino a 25mila euro, con un costo complessivo di circa 5 miliardi. La seconda nel decreto lavoro, dove il taglio del cuneo fiscale è salito a 4 punti per i redditi fino a 35mila euro lordi.

Vale nel complesso 3,5-4 miliardi che spalmati in 9 mesi, secondo alcune valutazioni, può tradursi fino a 80-100 euro mensili in busta paga. L’intervento scade a fine anno, ma il governo aveva già annunciato di voler trovare i fondi per prorogarlo. Sul fronte del Pnrr, assicura da Trento il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani, non ci saranno problemi perché “è uno degli impegni fondamentali del governo”. Non a caso il ministro responsabile del piano, Raffaele Fitto, fa un appello alla collaborazione a tutti i soggetti coinvolti e in particolare chiede alla Corte dei Conti un supporto “nella fase di rendicontazione, di campionamento, e di verifica del raggiungimento dei risultati’ dopo la relazione di ieri di giudici contabili.

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