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Caso Trentini, Tajani: “Impegno totale per riportarlo a casa”. La madre attacca il governo: “Un anno senza risposte”

Il ministro Tajani assicura “impegno totale” per la liberazione di Alberto Trentini, il cooperante veneziano detenuto da un anno in Venezuela. La madre accusa il governo: “Pazienza finita, non si è fatto abbastanza”.

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A pochi giorni dalle parole amare della madre di Alberto Trentini, il cooperante veneziano detenuto in Venezuela da un anno, il ministro degli Esteri Antonio Tajani ribadisce l’impegno del governo per ottenere la liberazione del 46enne: “Il caso Trentini ci sta molto a cuore, lavoriamo incessantemente per la sua liberazione”, ha dichiarato in un’intervista al Messaggero Veneto.

Le richieste dell’opposizione: “Usare ogni canale diplomatico”

Anche la segretaria del Pd Elly Schlein ha sollecitato un impegno massimo da parte dell’esecutivo: “Chiediamo che si usi ogni canale per riportarlo a casa il prima possibile. Ha sempre aiutato gli altri, ora tocca a noi aiutarlo e non far scendere i riflettori sulla sua situazione”.

Una diplomazia complessa: “Con il Venezuela è più difficile”

Tajani ha spiegato che le dinamiche variano da Paese a Paese. Ha ricordato i casi risolti in Iran, come quelli di Cecilia Sala e Alessia Piperno, e ha sottolineato che in Venezuela la situazione è “più complessa”, anche per il duro confronto internazionale tra Caracas e Washington.
Il ministro ha aggiunto che l’Italia mantiene contatti anche attraverso canali indiretti e che di recente altri due italiani sono stati rilasciati dal governo venezuelano. Per Trentini, però, “la situazione è diversa, forse legata a questioni interne”.

La madre di Alberto: “Un’ingiustizia che non ci dà pace”

Le parole di Tajani arrivano pochi giorni dopo il primo anniversario della detenzione. Una ricorrenza segnata dallo sfogo della madre, Armanda Colusso, durante una conferenza stampa a Palazzo Marino.
“Fino ad agosto il nostro governo non aveva avuto alcun contatto con il governo venezuelano. Questo dimostra quanto poco si siano spesi per mio figlio”, ha accusato.
“Per Alberto non si è fatto ciò che era doveroso fare. Sono stata paziente ed educata, ma ora la pazienza è finita”, ha aggiunto, definendo la prigionia del figlio “un’ingiustizia di cui non sappiamo darci pace”.

Un anno senza la famiglia: “Gli è stata tolta una parte di vita”

La madre ha ricordato la sofferenza quotidiana legata all’assenza di Alberto: “Ci è mancato e ci manca ogni giorno. Si è perso Natale, Pasqua, il compleanno, il poter fare una passeggiata, ascoltare musica o leggere”. Parole che raccontano un dolore che va oltre la distanza fisica e che alimentano l’appello a una soluzione rapida.

Diplomazia in movimento

Da parte sua, Tajani garantisce che la famiglia non è stata dimenticata: “Devono sapere che lavoriamo e continueremo a farlo. La diplomazia degli ostaggi richiede discrezione”.
Un impegno che ora dovrà misurarsi con una vicenda sempre più complessa e con l’urgenza di restituire ad Alberto Trentini la libertà e un futuro dopo un anno di attesa.

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Esteri

Mosca rilancia il processo di Istanbul e apre a nuovi negoziati

Il Cremlino apre alla ripresa del processo di Istanbul e accusa Kiev dello stop ai colloqui. Peskov non esclude un futuro vertice Putin-Trump, ma spiega che non ci sono ancora le condizioni.

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Il Cremlino torna a dichiararsi disponibile a riprendere il processo di Istanbul, il percorso negoziale lanciato nei primi mesi della guerra in Ucraina. Dmitrij Peskov, portavoce del presidente Vladimir Putin, ha spiegato che Mosca “è aperta a continuare, è aperta ai negoziati”, sottolineando però che la pausa attuale sarebbe dovuta “alla riluttanza del regime di Kiev a proseguire questo dialogo”.

Il riferimento a Erdogan e alla mediazione turca

Le parole di Peskov arrivano dopo l’intervento del presidente turco Recep Tayyip Erdogan, che nei giorni scorsi aveva auspicato la ripresa del processo di Istanbul come canale di mediazione tra Russia e Ucraina. Un invito accolto con prudenza dal Cremlino, che continua però a imputare lo stallo alla controparte ucraina.

Possibile un nuovo vertice Putin-Trump

Rispondendo a una domanda sulla possibilità di un incontro tra Vladimir Putin e Donald Trump, Peskov non ha escluso l’ipotesi, precisando che “se necessario, è possibile organizzare immediatamente una conversazione telefonica tra i due leader”. Al momento, tuttavia, “il lavoro preliminare per un vertice non è ancora stato fatto”, ha chiarito.

Il contesto diplomatico

Le dichiarazioni del Cremlino arrivano in una fase di forte incertezza diplomatica, con il conflitto in Ucraina che continua a influenzare gli equilibri internazionali. Il tentativo turco di riattivare il tavolo di Istanbul rimane una delle poche piste percorribili, ma al momento la distanza tra le parti appare ancora ampia.

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Giappone, primo invio di missili Patriot Pac-3 agli Stati Uniti: svolta storica nella politica di export militare

Per la prima volta il Giappone esporta missili Patriot Pac-3 verso gli Stati Uniti grazie alle nuove norme sull’export militare. La fornitura aiuterà Washington a ricostituire le scorte impegnate nel supporto all’Ucraina.

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Per la prima volta nella sua storia, il Giappone ha esportato missili Patriot Pac-3 prodotti sul proprio territorio direttamente agli Stati Uniti. La consegna, anticipata da fonti citate dall’agenzia Kyodo, segna una svolta significativa nella politica del Paese del Sol Levante, tradizionalmente improntata a rigidi principi pacifisti.

L’operazione resa possibile dalle nuove norme sull’export

La spedizione è stata autorizzata grazie alle regole sull’esportazione di armamenti recentemente allentate dal governo giapponese. Fino al 2023, Tokyo consentiva solo l’export di componenti difensive, non di sistemi completi.
Con la riforma voluta dall’allora premier Fumio Kishida, il Giappone può ora esportare sistemi d’arma completi, a condizione che la richiesta provenga dal Paese detentore della licenza originaria—in questo caso, gli Stati Uniti.

Perché gli USA hanno chiesto i Patriot giapponesi

Secondo le fonti, Washington ha chiesto i missili per ricostituire le proprie riserve, mentre prosegue il supporto militare all’Ucraina nel conflitto con la Russia.
Il Giappone produce i Patriot Pac-3 su licenza statunitense e dispone di scorte significative utilizzate per il proprio sistema di difesa antimissile.

Un funzionario del ministero della Difesa giapponese ha confermato che i Patriot forniti saranno utilizzati esclusivamente dalle forze armate USA e non ceduti a Paesi terzi.
Non è stato specificato il numero degli esemplari consegnati.

Una svolta nella postura difensiva del Giappone

L’operazione rappresenta un passaggio cruciale nella graduale ridefinizione della politica di sicurezza giapponese.
Pur mantenendo una Costituzione ispirata al pacifismo post-bellico, Tokyo sta progressivamente adattando le proprie norme al nuovo scenario strategico dell’Asia-Pacifico, segnato dalle tensioni con Cina e Corea del Nord e dalle richieste di maggiore cooperazione da parte degli Stati Uniti.

Una svolta che non riguarda solo l’export militare, ma l’intera architettura difensiva del Giappone, sempre più integrata con quella dell’alleato americano.

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Ex agente FBI denuncia il licenziamento per una bandiera Lgbt+: “Violata la libertà di espressione”

Un ex dipendente dell’FBI denuncia l’Agenzia per essere stato licenziato dopo aver esposto una bandiera Lgbt+ sulla scrivania. Accusa violazione della libertà di espressione e chiede il reintegro.

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Un ex dipendente dell’FBI ha presentato una denuncia formale contro la polizia federale americana, sostenendo di essere stato licenziato per aver posato una bandiera Lgbt+ sulla sua scrivania. La vicenda si inserisce in un clima di crescente conservatorismo all’interno delle agenzie federali, segnato dall’indirizzo politico impresso dal presidente Donald Trump su temi legati alla diversità etnica e sessuale.

La denuncia: “Punito per un simbolo che mi era stato regalato”

L’uomo, David Maltinsky, ha lavorato sedici anni nell’Agenzia e stava completando la formazione da agente speciale, un percorso notoriamente impegnativo. Il mese scorso, però, è stato allontanato.
Secondo la denuncia depositata presso un tribunale di Washington, il direttore dell’FBI Kash Patel ha comunicato il licenziamento tramite una lettera, accusando Maltinsky di aver esposto “un simbolo politico” nello spazio di lavoro.

Il ricorrente sostiene invece che quella bandiera gli fosse stata donata dai superiori, come riconoscimento per il suo contributo nel migliorare il clima interno dell’Agenzia. Per questo contesta una violazione del suo diritto alla libertà di espressione, tutelato dal Primo Emendamento della Costituzione.

L’azione legale e la richiesta di reintegro

Maltinsky, tramite i suoi legali, chiede di essere reintegrato nel ruolo e di veder riconosciuta l’illegittimità della decisione presa ai vertici dell’Agenzia. Il caso arriva in un momento particolarmente delicato per l’FBI, già oggetto di dibattito pubblico per le pressioni esercitate dal governo su tematiche legate alla rappresentanza e all’inclusione.

La vicenda è destinata ad alimentare un confronto politico e istituzionale che negli Stati Uniti resta più che mai acceso.

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