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Politica

Il caso Garofani: una cena alla Grande Bellezza, una mail firmata “Mario Rossi” e il giallo che scuote Chigi e Quirinale

Una cena tra amici, una mail anonima, un articolo sotto pseudonimo e il sospetto di un audio registrato: il caso Garofani diventa un giallo politico che infiamma i rapporti tra Quirinale e Palazzo Chigi.

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L’inizio sembra uscito da La Grande Bellezza: giovedì 13 novembre, Terrazza Borromini, vista mozzafiato su Piazza Navona, un tavolo per 18 persone, occupato da 16 convitati. Un gruppo di amici legati dalla passione per la Roma e riuniti per ricordare Agostino Di Bartolomei dopo un evento al Tempio di Adriano.

Tra loro c’è Francesco Saverio Garofani, consigliere del presidente della Repubblica e segretario del Consiglio supremo di difesa. È proprio lui il protagonista inconsapevole di quella cena diventata, cinque giorni dopo, un caso politico-istituzionale senza precedenti in questa legislatura.

La “chiacchierata in libertà” che diventa un titolo da prima pagina

Tra un brindisi e un ricordo da curva Sud, Garofani parla a ruota libera. Si lascia andare a considerazioni politiche, a ipotesi di “scossoni” futuri, fino all’idea di una lista civica nazionale pensata per contrastare Giorgia Meloni alle prossime elezioni.

Una chiacchierata in libertà tra amici”, dirà lui stesso nell’intervista al Corriere.

Ma quelle parole finiscono nell’apertura de La Verità, con un titolo che deflagra nell’arena politica:
“Così il Colle proverà a fermare Meloni”.

È l’inizio dello scontro più duro fra Quirinale e Palazzo Chigi degli ultimi anni.

La mail misteriosa: firmata Mario Rossi, inviata a più redazioni

Il viaggio delle parole di Garofani è tortuoso.
Tre giorni dopo la cena, domenica alle 13:24, una mail viene inviata a varie redazioni, soprattutto di centrodestra. Mittente: stefanomarini@usa.com. Firma: Mario Rossi.

Contiene il racconto dettagliato della cena e i virgolettati del consigliere quirinalizio.

Il Giornale rivela di aver ricevuto la mail, ma di averla cestinata. Così altri quotidiani.
La Verità, invece, la pubblica integralmente due giorni dopo, firmata con lo pseudonimo Ignazio Mangrano.

Il sospetto decisivo: esiste un audio della cena?

Subito emerge un dettaglio: La Verità avrebbe un audio della conversazione.
Non pubblicato, ma ritenuto sufficiente a certificare ogni parola.

È qui che la storia si tinge di spy story:
chi, tra i 15 presenti a tavola, avrebbe premuto “rec” sul proprio telefono?
Perché?

Nel mondo politico rimbalzano teorie surreali: cimici sotto i piatti, registratori tascabili, camerieri infiltrati.
Più probabilmente, un semplice smartphone appoggiato sul tavolo.

Il tradimento al tavolo della Magica

Garofani, che quella sera credeva di essere tra amici, ora deve chiedersi chi lo abbia tradito.
Il consigliere del presidente Mattarella, da 48 ore, è finito al centro di un caso politico e istituzionale che ha fatto tremare i due Palazzi della Repubblica.

Intanto, a destra cresce la pressione per le sue dimissioni, mentre al Quirinale si difende il ruolo di garanzia del consigliere.
Una vicenda nata in una serata nostalgica dedicata ad “Ago”, e ora diventata una bomba che sta riscrivendo gli equilibri fra governo e Presidenza della Repubblica.

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Politica

Caso Garofani, spunta la mail “Mario Rossi”. Giallo sull’articolo della Verità e nuove ombre sullo scontro istituzionale

Lo stesso testo pubblicato da La Verità sul caso Garofani è arrivato anche ad altre redazioni da una mail anonima. Dubbi, retroscena e il sospetto di un audio nelle mani del giornale alimentano il giallo sullo scontro istituzionale.

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Lo scontro istituzionale nato dal caso Garofani si arricchisce di un nuovo dettaglio che ha il sapore del giallo. L’articolo pubblicato da La Verità e firmato con lo pseudonimo “Ignazio Mangrano” sarebbe infatti arrivato, identico, domenica all’ora di pranzo in almeno tre redazioni del centrodestra—tra cui quella del Giornale—da una casella mail anonima: stefanomarini@usa.com, firmata “Mario Rossi”.

Un particolare emerso solo ieri, quando Repubblica e La Stampa hanno pubblicato la foto della mail, poche ore dopo l’incontro al Quirinale tra Sergio Mattarella e Giorgia Meloni.

Un testo ignorato da tutti il giorno del Consiglio supremo di difesa

Un altro elemento colpisce: nessuna delle redazioni che aveva ricevuto la mail anonima ha pubblicato il contenuto lunedì, proprio quando al Quirinale si riuniva il Consiglio supremo di difesa con Mattarella, Meloni e diversi ministri.

Solo il giorno successivo La Verità ha messo online l’articolo sotto pseudonimo.

Il Giornale: “Abbiamo ricevuto la mail”

Oggi il Giornale, quotidiano di proprietà del deputato leghista Antonio Angelucci, ha confermato di aver ricevuto lo stesso testo.
Nel suo articolo sulle tensioni tra FdI e il Colle, il quotidiano ha rivelato di essere tra i destinatari del misterioso invio.

Una spiegazione, però, non c’è ancora.

La replica della Verità: “Conosciamo la fonte, altro che Mario Rossi”

Massimo De Manzoni, condirettore della Verità, ospite a Un giorno da pecora, ha liquidato come “invidioso” il retroscena del Giornale.

«Pensa che avremmo fatto tutto questo sulla base di una lettera anonima?», ha detto.
E, rilanciando: «Se fosse vero, come mai il Giornale non c’è andato dietro?».

De Manzoni ha ribadito che la fonte è “più che autorevole”, una linea già espressa dal direttore Maurizio Belpietro nel suo editoriale sul presunto “piano del Quirinale per fermare la Meloni”.

Spunta l’ipotesi di un audio della conversazione

Ora l’interrogativo che circola nelle redazioni riguarda un possibile audio del colloquio attribuito a Francesco Saverio Garofani, consigliere del presidente della Repubblica.
Un contenuto che avrebbe potuto essere alla base dell’articolo.

De Manzoni non ha escluso la sua esistenza: «È possibile», ha ammesso.
E ha suggerito che La Verità potrebbe avere materiale aggiuntivo: «Top secret. Un po’ di casino lo abbiamo fatto già, intanto stiamo sfruttando le reazioni».

Uno scontro che resta aperto

La vicenda della mail “Mario Rossi”, l’uso di uno pseudonimo, il silenzio delle redazioni che avevano ricevuto il testo e il possibile audio in mano a La Verità alimentano dubbi e tensioni.
Il “caso Garofani”, nonostante la tregua ufficiale tra Colle e Palazzo Chigi, continua così a muoversi in un terreno opaco, dove si intrecciano giornalismo politico, anonimati sospetti e retroscena ancora da chiarire.

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Politica

Tregua fredda tra Quirinale e Palazzo Chigi dopo il colloquio lampo

Ventiminuti di colloquio tra Giorgia Meloni e Sergio Mattarella non cancellano le tensioni, ma permettono una tregua formale sul caso Garofani. Restano interrogativi, veleni e il nodo delle dimissioni.

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Venti minuti non bastano a ristabilire la pace, ma servono a fermare l’escalation. Giorgia Meloni telefona a Sergio Mattarella e poco dopo sale al Quirinale per un faccia a faccia definito dalle fonti “cordiale e proficuo”. Il messaggio lanciato in serata è unanime: “Il caso è chiuso”. Parola che rimbalza tra Palazzo Chigi, Colle e Fratelli d’Italia, consapevoli che la crisi istituzionale aveva assunto proporzioni inattese.

L’intervento dei vescovi e la richiesta di “fair play istituzionale”

Il clima di allarme è stato tale da coinvolgere perfino la Conferenza episcopale italiana. Il cardinale Matteo Zuppi, da Assisi, non ha usato giri di parole: equilibrio, dialogo e rispetto devono essere garantiti, soprattutto “in un momento come questo”. Un richiamo che ha avuto il suo peso nel congelare le polemiche.

La nota di Palazzo Chigi che riaccende la tensione

Appena Meloni lascia il Quirinale, una nota filtrata da Chigi rimette però pressione sul caso: la premier avrebbe espresso a Mattarella “rammarico per le parole istituzionalmente e politicamente inopportune” del consigliere Francesco Saverio Garofani. Una frase che fa immediatamente risalire la tensione e scatena la caccia ai dettagli sul contenuto reale del colloquio.

Fratelli d’Italia chiude (in apparenza) il dossier

Solo dopo ore arriva una nota più istituzionale di FdI, firmata non solo dal vicepresidente Bignami – che aveva acceso la miccia – ma anche dal capogruppo al Senato Lucio Malan. Una scelta che segnala la volontà di sigillare la tregua: “Rinnoviamo la stima nel presidente Mattarella”, scrive il partito. Il Quirinale accoglie e conferma: “Caso chiuso”.

Il nodo delle dimissioni resta aperto

Dietro la formula diplomatica, però, lo scontro è lontano dall’essere archiviato. A destra c’è chi continua a chiedere le dimissioni di Garofani. E tra i palazzi si ragiona su quanto possa reggere una tregua nata più per necessità che per convinzione.

Walter Veltroni invita alla prudenza: “Presidente della Repubblica e presidente del Consiglio hanno il dovere di andare d’accordo. Il Paese ci rimette in credibilità”. A sinistra fioccano le letture politiche: “Meloni vuole il Colle”, sostiene Matteo Renzi, convinto che lo scontro sia parte di una strategia più ampia.

Veleni, misteri e un certo “Mario Rossi”

Restano da chiarire le circostanze del caso: dove e quando Garofani sarebbe stato ascoltato, chi avrebbe fatto filtrare le sue parole, e soprattutto chi sia quel “Mario Rossi” che avrebbe inviato a più giornali le stesse frasi poi pubblicate da La Verità. Un mosaico di dettagli opachi che continua a alimentare sospetti.

Tregua sì, ma per quanto?

La formula “caso chiuso” è necessaria a entrambi i fronti, ma la sostanza racconta altro. Le tossine restano in circolo, i rapporti sono incrinati e la storia è tutt’altro che conclusa. Ci sarà tempo per capire se la tregua reggerà o se il confronto esploderà di nuovo. Il campo, intanto, resta minato.

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Politica

Manovra, condono e silenzio-assenso dividono la maggioranza: FdI rilancia, Salvini frena e propone sei mesi ai Comuni

FdI conferma condono e riserve auree tra i suoi emendamenti identitari. Salvini stoppa la sanatoria e propone il silenzio-assenso per le pratiche pendenti. La maggioranza divisa, vertice decisivo domani con Meloni e Giorgetti.

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Il pacchetto di emendamenti alla manovra apre un fronte interno nella maggioranza. Fratelli d’Italia conferma tutte le sue bandiere: condono edilizio “large”, norma sulle riserve auree di Bankitalia, contante oltre i 5mila euro con bollo e previdenza complementare per i nuovi nati.

Dalla Lega, però, arriva una frenata netta sul capitolo più sensibile, quello delle sanatorie edilizie. Matteo Salvini, in serata, chiude la porta alla riapertura dei condoni così come formulati finora: “Siccome ci sono milioni di pratiche arretrate, la soluzione non è fare nuovi condoni”.

La proposta alternativa del leader leghista è il silenzio-assenso: sei mesi ai Comuni per rispondere alle vecchie domande di condono, anche presentate 40 anni fa. Se non arriva risposta, l’immobile si considera in regola “con tutti i diritti e i permessi”.

Le altre proposte della maggioranza: Bankitalia, affitti, pensioni

FdI mette sul tavolo un emendamento a firma del capogruppo Lucio Malan che stabilisce che le riserve auree della Banca d’Italia appartengono allo Stato, in nome del popolo italiano: una storica proposta sostenuta anche dal leghista Claudio Borghi.

La Lega, oltre al silenzio-assenso, punta su interventi sugli affitti brevi, sui dividendi e sullo scalino pensionistico, accantonando però l’idea iniziale di abbassare l’età pensionabile con un prelievo triplicato su banche e assicurazioni.

Forza Italia prepara le sue proposte su casa, compensazioni dei crediti, sicurezza e dividendi. Noi Moderati spinge sugli affitti lunghi e sulle detrazioni dei libri scolastici. Civici d’Italia propone di dimezzare la tassa dei Comuni sulla domanda di cittadinanza.

Condono in Campania: “La situazione è sotto gli occhi di tutti”

Sulla sanatoria edilizia interviene anche il viceministro dell’Economia Maurizio Leo, che conferma che uno spazio per un intervento in Campania sarà trovato.

Restano però da definire quali dei quattro condoni proposti da FdI avranno il via libera: due modificano la sanatoria del 2003, uno amplia la regolarizzazione fino al 30 settembre 2025 e un altro consente ai Comuni la regolarizzazione degli abusi in base ai condoni ’85, ’94 e 2003 fino a marzo 2026.

Opposizioni compatte sul fondo affitti, ma con proposte differenziate

Il centrosinistra spinge su un pacchetto unitario, chiedendo di destinare i 100 milioni del tesoretto a un fondo affitti.
Poi le singole bandiere:

  • M5S rilancia il Reddito di cura;

  • il PD indica la digital tax e il taglio ai fondi del Ponte sullo Stretto;

  • Italia Viva segnala la start tax e il taglio del protocollo Albania;

  • Azione propone una no tax area under 35 e l’allargamento del taglio Irpef;

  • Avs mette sul tavolo due patrimoniali, una ispirata alla Cgil e una a scaglioni sul modello spagnolo.

Verso il vertice con Meloni e Giorgetti

Le richieste della maggioranza restano molte e distanti tra loro. Domani sera un vertice con Giorgia Meloni e il ministro Giancarlo Giorgetti dovrà provare a ricucire.

La partita del condono — tra rigidità di FdI e contromossa di Salvini — si annuncia come il punto più caldo della trattativa politica sulla manovra.

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