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Cronache

Csm, archiviata la pratica su Lo Voi: il plenum chiude il ‘caso Caputi’ tra tensioni e accuse di scarsa istruttoria

Il Csm archivia la pratica di incompatibilità ambientale contro il procuratore di Roma Francesco Lo Voi sul ‘caso Caputi’. Decisione contestata da parte dei consiglieri laici di centrodestra che parlano di istruttoria insufficiente e rischio di frattura con l’intelligence.

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Il plenum del Consiglio superiore della magistratura ha archiviato la pratica di incompatibilità ambientale nei confronti del procuratore capo di Roma, Francesco Lo Voi (foto Imagoecnomica), legata alla diffusione di un documento riservato dell’Aisi sul capo di gabinetto della premier, Gaetano Caputi.
La pratica era stata aperta lo scorso febbraio dai consiglieri laici di centrodestra della Prima Commissione, che avevano chiesto il trasferimento d’ufficio del procuratore.

Il nodo del documento riservato Aisi

L’iniziativa nasce dalla presenza di un’informativa classificata come “riservata”, trasmessa dall’Aisi alla Procura di Roma e poi finita nel fascicolo consegnato ai legali di alcuni giornalisti del Domani indagati, che l’hanno pubblicata.
Secondo i promotori, quell’atto avrebbe “seriamente compromesso” i rapporti tra la Procura e i servizi segreti, mettendo in dubbio la tutela del segreto negli atti trasmessi.

Anche l’intelligence aveva espresso malumori: il Dis aveva presentato un esposto alla Procura di Perugia per valutare se Lo Voi avesse violato gli obblighi di legge.

La decisione del plenum e le divisioni interne

Dopo l’istruttoria, la Commissione del Csm ha proposto l’archiviazione della pratica, decisione poi approvata dal plenum a maggioranza, con sei voti contrari e un astenuto.
Un voto che chiude formalmente il caso, ma non le polemiche.

La critica dei consiglieri dissenzienti

Le consigliere Claudia Eccher e Isabella Bertolini hanno contestato duramente la decisione, accusando la Commissione di non aver svolto “alcuna istruttoria idonea a fare chiarezza”.
Secondo loro, l’informativa dell’Aisi — documento classificato e non riproducibile — sarebbe stata gestita “senza le necessarie cautele”, consegnata integralmente agli indagati e inserita nel fascicolo.

Le due consigliere sottolineano inoltre come la denuncia del direttore del Dis, presentata a Perugia, segnali una possibile violazione degli obblighi di riservatezza previsti dalla legge 124.
Una circostanza che, a loro dire, “mina la fiducia reciproca tra intelligence e magistratura”, con effetti diretti sulla sicurezza nazionale.

Il tema della credibilità istituzionale

Per Eccher e Bertolini, Lo Voi resta esposto a “un serio problema di credibilità sul piano istituzionale”, e l’archiviazione non avrebbe valutato adeguatamente i possibili profili di incompatibilità ambientale.

Nonostante la decisione del plenum, le tensioni restano dunque vive, in un quadro delicatissimo per i rapporti tra Procura di Roma, vertici dell’intelligence e organi di autogoverno della magistratura.

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Cronache

Appello bis per l’omicidio di Serena Mollicone: sì alla testimonianza chiave del maresciallo Tersigni

La Corte d’Assise d’Appello ammette la testimonianza del maresciallo Tersigni nel nuovo processo per l’omicidio di Serena Mollicone. Una decisione che può incidere in modo decisivo sull’accusa.

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La Corte d’Assise d’Appello ha dato il via libera alla deposizione del maresciallo Gabriele Tersigni, considerata la testimonianza più attesa del nuovo processo per l’omicidio di Serena Mollicone, la 18enne uccisa ad Arce nel 2001.

Tersigni fu il primo a raccogliere le confidenze del brigadiere Santino Tuzi, suo amico e sottoposto, che anni dopo aveva raccontato di aver visto Serena entrare in caserma il giorno della sua scomparsa. Una rivelazione poi ritrattata, nuovamente confermata e mai chiarita fino al suicidio del brigadiere.

La svolta della Cassazione: motivazioni “contraddittorie e incomprensibili”

La testimonianza non era mai stata ammessa nei precedenti processi: inizialmente i giudici avevano sostenuto che, per avere valore probatorio, Tersigni avrebbe dovuto verbalizzare le confidenze di Tuzi.

La Cassazione, però, ha ribaltato il quadro, giudicando le motivazioni delle assoluzioni “contraddittorie e incomprensibili” e disponendo il nuovo processo. Secondo i supremi giudici, quelle erano confidenze informali tra amici e la testimonianza era pienamente utilizzabile.

La corte presieduta da Galileo D’Agostino lo ha ora confermato:

«Nessun elemento autorizza l’esclusione della sua testimonianza sulle confidenze ricevute da Tuzi».

Un processo che si riapre con 24 nuove testimonianze

Oltre a Tersigni, sono state ammesse altre 24 testimonianze, tra cui:

  • Sonia De Fonseca, vicina di casa dell’amante di Tuzi, che avrebbe ricevuto le stesse confidenze dal brigadiere.

  • Marco Malnati, amico fraterno di Tuzi, pronto a riferire sulle presunte pressioni subite dal carabiniere per ritrattare.

Resteranno da ascoltare anche i tre imputati — Franco, Anna Maria e Marco Mottola — già assolti ma ora nuovamente sotto accusa.

La lesione sulla porta e l’ipotesi dell’aggressione

Rimane ancora sospesa la decisione su una nuova perizia per la lesione sulla porta della caserma, dove secondo l’accusa sarebbe stata scagliata la testa di Serena prima di essere soffocata con del nastro adesivo.

La famiglia Mottola sostiene che quel danno risalga a un litigio interno fra padre e figlio.

La voce di Maria Tuzi: “Non credo al suicidio di mio padre”

La riapertura delle testimonianze ridà forza alla battaglia di Maria Tuzi, figlia del brigadiere, che non ha mai creduto alla tesi del suicidio del padre:

«Mio padre non aveva motivi per farlo. Aveva descritto perfettamente i vestiti di Serena. Se si è suicidato, non è stato per motivi personali».

Maria continua a chiedere nuovi accertamenti balistici e un’analisi più accurata della posizione del corpo e della pistola nella vettura dove fu ritrovato.

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Cronache

Firenze, adescava giovani calciatori con finti regali: 29enne condannato a 5 anni per pornografia minorile

Un 29enne fiorentino è stato condannato a 5 anni per pornografia minorile: adescava ragazzini promettendo scarpe e visibilità social. Interdizione perpetua e multa da 30mila euro.

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È una vicenda che colpisce per metodo, insidia e gravità. A Firenze un uomo di 29 anni è stato condannato con rito abbreviato a cinque anni di reclusione e a una multa di 30mila euro per pornografia minorile. Una sentenza severa, accompagnata dall’interdizione perpetua dai pubblici uffici e da qualsiasi ruolo in scuole o strutture frequentate da minori.

Promesse di scarpe sportive e “visibilità” per ottenere foto intime

Secondo quanto ricostruito dagli investigatori, il 29enne avrebbe ingannato diversi ragazzini di 13 e 14 anni, tutti giovani calciatori dell’area fiorentina. Si presentava come manager di una nota multinazionale sportiva, giornalista o dirigente calcistico, millantando credibilità inesistente.

Dietro quelle maschere prometteva scarpe omaggio, regali e soprattutto visibilità sui social, costruendo una chat privata dove poi pretendeva foto intime dai minorenni.

Il ruolo decisivo dei genitori e l’inchiesta

La denuncia è partita da alcune famiglie, che hanno scoperto immagini e video sui telefoni dei figli. Da lì l’indagine di carabinieri e polizia ha fatto emergere un quadro ancora più grave: l’uomo non aveva alcun ruolo nel mondo dello sport, né era giornalista o manager. Tutto inventato per accedere alla sfera privata dei ragazzi.

Risarcite le vittime, ma resta uno schema di manipolazione

Prima dell’avvio del processo l’imputato ha risarcito le vittime, ma la condanna certifica la responsabilità penale e la pericolosità dello schema utilizzato: un meccanismo di adescamento, frode identitaria e pressioni psicologiche, che sfruttava la passione sportiva dei giovanissimi per ottenere materiale sessualmente esplicito.

Un caso che ricorda l’urgenza della prevenzione

La vicenda è l’ennesimo richiamo alla vulnerabilità dei minorenni online e alla necessità di vigilare con attenzione sui contatti digitali. Le indagini hanno confermato che dietro un profilo credibile può nascondersi chiunque, anche chi costruisce un personaggio per guadagnarsi la fiducia dei più giovani e tradirla nel modo più grave.

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Cronache

Caso Poggi, parla Andrea Sempio: “Vivo come ai domiciliari, sento accanimento. Ma il colpevole resta Stasi”

Andrea Sempio, unico indagato nel nuovo filone del caso Poggi, racconta a Rai 1 di sentirsi “ai domiciliari” e respinge dubbi su spese legali e presunte anticipazioni delle domande: “Il colpevole resta Stasi, lo dicono le sentenze”.

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Andrea Sempio, oggi unico indagato per concorso nell’omicidio di Chiara Poggi, ha affidato a Cinque Minuti su Rai 1 un racconto amaro della sua quotidianità e del nuovo ciclone giudiziario che lo ha travolto. “Un po’ di accanimento c’è – ha detto – spero sia in buona fede. Ormai è una cosa che periodicamente ricapita”.

Ha spiegato di vivere “senza una vita, chiuso nella mia cameretta di quando ero ragazzo. A quasi 40 anni è come essere ai domiciliari”.

Le accuse e l’appunto contestato: “Era una nota di mio padre, le vere spese erano altre”

Sempio ha risposto ai dubbi sulle spese legali e sull’appunto – “20,30 euro” – finito al centro dell’inchiesta per presunta corruzione collegata alla sua precedente archiviazione.

“Era un appunto che si era segnato mio padre, probabilmente il costo del ritiro delle carte. Le vere spese, migliaia di euro, sono scritte in un altro foglio che hanno gli investigatori”.

Ha definito infondate anche le insinuazioni sulle domande investigative conosciute in anticipo:
“Non c’è stato alcun passaggio di domande. Quelle di cui parlavo erano tutte già uscite sui giornali e in TV. Nessuna riguardava elementi non pubblici”.

La posizione su Stasi: “Le sentenze parlano”

La risposta più netta è arrivata sul ruolo di Alberto Stasi, condannato in via definitiva per l’omicidio del 13 agosto 2007.

Ad oggi il colpevole è Alberto Stasi – ha detto Sempio – lo hanno stabilito anni di processi e sentenze, e non ho motivo per pensare il contrario”.

Un’indagine riaperta che pesa come un macigno

Il nuovo filone dell’inchiesta, che lo vede indagato per concorso in omicidio, ha riportato il caso Poggi sotto i riflettori a 18 anni dal delitto.

Sempio, pur ribadendo di non avere nulla da nascondere, descrive un clima pesante: “Ci ricadi dentro e tutto si ferma”.

Ora ha 40 anni e vive sospeso, in attesa degli sviluppi giudiziari che dovranno chiarire la sua posizione.

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