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Zucchero, ‘me ne frego del politically correct’

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Diretto e genuino come sempre. Verace e battagliero come la sua terra. Quell’Emilia-Romagna che si rimbocca le maniche e va avanti. Sempre. E che lui, Zucchero, non dimentica alla partenza italiana del 2023 del World Wild Tour, dalle Terme di Caracalla a Roma (si replica stasera, poi il 2, 3 e 4 giugno). “Per la Romagna” martoriata dall’alluvione canta Let it shine, il brano che aveva scritto nel 2006 per New Orleans devastata dall’uragano Katrina. “Ho cambiato un verso sostituendo la parola ‘Mississippi’ a ‘la mia terra’. Non ho detto molto di più, ma cosa vuoi dire che non abbiano già detto gli altri senza scadere nella retorica?”. Il collegamento con Bruce Springsteen – accusato di non aver detto nulla dal palco di Ferrara nel pieno dell’emergenza – arriva puntuale: “Conoscendolo, per me non sapeva niente: è uno attento a queste cose, come Bono o Peter Gabriel. Gente che non ha bisogno di nascondersi”.

Ma Zucchero va già oltre: “Il 24 giugno, però, per Italy Loves Romagna al concerto di beneficenza alla Rcf Arena a Reggio Emilia ci sarò. La sera prima sono a Sofia e la sera dopo a Bucarest, ma come fai a non esserci? Non mi sono neanche posto la domanda. Come nel 2012 per Italy loves Emilia nel post terremoto”. Già venduti 20mila biglietti, l’obiettivo minimo è arrivare a 50mila (e i 4 milioni di euro del 2012). Il palco, tra l’altro, sarà quello che lui utilizzerà per la festa nella sua Reggio del 9 e 10 giugno. “Rispetto al resto del tour sarà una festa – racconta nell’albergo romano a due passi da Villa Borghese – un po’ più lunga e che parlerà di più delle mie radici. Ho invitato Salmo: erano 3-4 anni che mi dicevano di fare qualcosa con i giovani, questi rapper e trapper, quelle cagate lì. Ma io non avevo mai individuato nessuno e soprattutto non ci riesco perché concepisco la musica come melodia, come spazi aperti e loro invece mettono una parola ogni 10 secondi. Invece Salmo mi ha colpito con la sua versione di Diavolo in me al festival di Sanremo (in coppia con Shari, ndr). È un vero musicista, conosce la musica che conosco io. Pur facendo il suo suono, ha un bagaglio musicale. E siamo diventati amici. Con lui si può pensare anche di fare qualcosa a livello discografico che sia credibile. Altri amici-artisti che girano ci sono, ma si decide all’ultimo momento”. A Caracalla ha portato in scena uno spettacolo energico, per oltre due ore e mezzo di show, in cui non si è risparmiato. L’esempio è Mick Jagger? “Lo prendo ad esempio, ma non lo seguo – risponde divertito -. Vorrei avere la sua costanza e la sua disciplina, ma deve costare una fatica.. e io non ce la faccio”.

Verace, si diceva. Senza peli sulla lingua, come sempre. “Se qualcuno ha dei dubbi sul fatto che accanto a brani definiti sublimi come Dune Mosse o Un Soffio Caldo, scrivo robe da osteria come Vedo Nero o Bacco Perbacco, piene di doppi sensi, allora non ha capito niente del blues. Il disagio e il sesso vannno di pari passo, e poi, ragazzi, si vive una volta sola! A me del politically correct non me ne frega un cazzo. Non vi piace la mia giacca di pelle gialla? Armocromista che? no, no… non ho mai seguito neanche la moda. Nell’armadio ho ancora le giacche bellissime che Armani e Versace mi hanno fatto su misura. Ma io anche a Sanremo andavo vestito da tonno nostromo. Non fa parte del posto dove sono cresciuto”.

Verace e genuino, ma anche malinconico. “Non si direbbe vedendomi sul palco, ma lo sono. Anche per le forze oscure che aleggiano intorno a noi. Forse anche per questo inizio il concerto con Spirito nel Buio. Speri sempre in un raggio di luce, ma tra conflitti, disarmonie, disastri, la primavera la vedo ancora lontana”. Durante il live Zucchero, che ha rivelato di essere senza contratto discografico dopo l’ultima scadenza (“ormai con le discografiche non si parla più di musica, ma si fanno solo i conti. Ma io concepisco ancora gli album come qualcosa che va ascoltato come si guarderebbero varie parti di un quadro”), ha reso omaggio anche all’amico Luciano Pavarotti sulle note di Miserere (indossando anche un foulard che il maestro gli regalò) e a Tina Turner, scomparsa nei giorni scorsi.

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Con Garrone l’Italia punta all’Oscar

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Io Capitano di Matteo Garrone è il film designato dall’Italia per la corsa all’Oscar internazionale. Lo ha deciso la commissione di selezione riunita all’Anica scegliendo l’opera tra altri 11 film indicati tra cui La Chimera di Alice Rohrwacher e Rapito di Marco Bellocchio. Io Capitano, nonostante al momento non abbia ancora chiuso la distribuzione in America pur essendo in corso trattative – un fattore decisivo per la campagna Oscar, ndr – è stato scelto forte del premio prestigioso appena vinto a Venezia, il Leone d’argento per la regia a Garrone e per l’onda emotiva che sta spingendo il film nelle sale nonostante il tema ostico dei migranti di attualità ogni giorno. Proprio oggi 01 Distribution ha annunciato che salgono a 350 le copie del film anche per il tam tam che si è creato per Io Capitano dall’emozionante premiere nella sala grande del Palazzo del Cinema.

E Garrone, persona generosa – come ha dimostrato sul palco della finale di Venezia con i suoi giovani protagonisti Seydou e Moussa e lasciando la parola a Mamadou, un migrante sopravvissuto alla traversata – sta accompagnando in tour nelle sale questa sua opera poetica e tragica insieme. “Siamo molto orgogliosi di poter rappresentare l’Italia agli Academy Awards con Io Capitano e ci auguriamo che il viaggio di Seydou possa toccare il cuore anche del pubblico americano”, dice a caldo parlando al plurale il regista di Gomorra e Pinocchio. Il prossimo step per Io Capitano è entrare nella shortlist che includerà i quindici migliori film internazionali selezionati dall’Academy e che sarà resa nota il 21 dicembre 2023. L’annuncio delle nomination (la cinquina dei film nominati per concorrere al premio) è previsto invece per il 23 gennaio 2024, mentre la cerimonia di consegna degli Oscars si terrà a Los Angeles il 10 marzo 2024. Il film è l’Odissea contemporanea di due giovani del Senegal che decidono di partire verso l’Europa attraversando come in una via crucis le tappe del deserto, delle carceri dei torturatori libici, del viaggio per il mare Mediterraneo fino ad arrivare ad una sorta di Terra Promessa.

Un film che Garrone ha voluto dedicare a tutti coloro che non ce l’hanno fatta durante il viaggio verso la Fortezza Europa, sottolineando però come sia un anelito di libertà, di libera circolazione quello che muove ad ogni latitudine specie i giovani, cercando un futuro migliore e diverso. Io capitano è una coproduzione internazionale Italia-Belgio; una produzione Archimede con Rai Cinema e Tarantula ed è stato già venduto in India, Canada, in tutta l’America Latina, Israele, Spagna Portogallo, Grecia, Bulgaria, paesi della ex Yugoslavia, mentre Francia, Belgio, Olanda e Lussemburgo sono già presenti come paesi coproduttori La strada è lunga, lunghissima e gli altri competitor non sono certo film meno belli: dall’Australia che candida Shayda che ha vinto il Sundance, dal Giappone con il magnifico Perfect Days di Wim Wenders, alla Finlandia con il toccante Fallen Leaves di Aki Kaurismäki, all’Ucraina con 20 Days In Mariupol, ma Io Capitano intanto alza le vele.

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Tiziano Ferro divorzia da Victor Allen, ‘penso solo ai figli’

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“Come sempre, che sia gioia o dolore, consegno a voi la mia storia. Perché non saprei fare diversamente, perché di voi mi fido. Da qualche tempo è cominciata una dolorosa separazione da Victor. L’ho affrontata in silenzio, proteggendo la riservatezza di tutti. Recentemente abbiamo avviato le pratiche per il divorzio. È un momento delicato, in cui tutta la mia attenzione è concentrata sulla tutela dei miei due meravigliosi figli, che attualmente trascorrono la maggior parte del tempo a casa con me”. Con questo messaggio sui social Tiziano Ferro annuncia ai fan che sta divorziando dal marito Victor Allen con cui è sposato dal 2019. Il cantante poi aggiunge lasciando trasprire la sua preoccupazione: “In questo momento non posso lasciarli, e non posso portarli con me in Italia. Voi lo sapete: ho portato avanti un tour contro il parere dei medici. Non avrei mai cancellato quei concerti. Questa volta, però, è diverso. Non si tratta di me e della mia salute, si tratta di due bambini piccolissimi e della loro serenità. Chiedo immensamente scusa, ma adesso loro sono la mia priorità”.

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Cinema su Rai, da Scott a film dossier di Sciarelli

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Grandi film internazionali su Rai 1 come House of Gucci di Ridley Scott o fra i titoli italiani la commedia Bla Bla baby di Fausto Brizzi; la saga di Creed, Freaks out di Gabriele Mainetti e Diabolik dei Manetti Bros su Rai 2; protagonisti da Oscar come Anthony Hopkins per The Father e Jessica Chastain con Gli occhi di Tammy Faye su Rai 3, dove approderanno anche i film dossier in prima serata, legati all’attualità, con l’introduzione e l’approfondimento di Federica Sciarelli (si partirà da Caivano attraverso ‘Fortuna’ di Nicolangelo Gelormini, con Valeria Golino). Il debutto sull’ammiraglia Rai (dopo l’esordio nel 2021 su Sky) della miniserie di Marco Pontecovo Alfredino – Una storia italiana con Anna Foglietta e Il ritorno di successi come Morgane detective geniale, con la terza stagione al via il 19 settembre in prima serata; ma anche le serie action su Rai 2 da Ncis a Swat. Sono fra i punti principali della stagione autunnale Rai nella programmazione di film, serie di successo e documentari d’autore. Un’offerta nell’anno di circa 20mila ore di programmazione, proposta dalla Direzione Cinema e Serie Tv, tra grandi produzioni internazionali, cinema italiano e coproduzioni della Rai.

“Il cinema è un prodotto molto nobile che rimane evergreen – spiega il direttore direttore Cinema e Serie TV Adriano De Maio – fa da didascalia alla nostra vita. La programmazione non va fatta solo pensando all’audience, ma per far ragionare e dare un contributo”. Il tutto con appuntamenti fissi “per fidelizzare il pubblico” e l’introduzione con nuove sigle create ad hoc, come si faceva con lo storico jingle di Lucio Dalla che aveva ‘Lunedì cinema . “Dopo Sanremo vi adatteremo i brani dei tre giovani sul podio al festival”. Sotto i riflettori anche approfondimenti, omaggi e collegamenti con l’attualità: da Bread and Brexit ciclo di 14 titoli di tema sociale di Ken Loach su Rai 5 dal 19 settembre, alla maratona di film il 3 ottobre su Rai Movie per la giornata nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione; passando per Fortpasc di Marco Risi in prima serata su Rai 3 il 21 settembre a 28 anni dall’uccisione di Giancarlo Siani; Bellissima il 23 settembre, a 50 anni dalla morte di Anna Magnani; la retrospettiva su Billy Wilder (Rai Movie) o gli approfondimenti cinematografici su Rai storia e Rai 5, per i quali De Maio pensa alle introduzioni di Alessandro Barbero e Piero Chiambretti.

Grande spazio su tutte le reti al cinema italiano: “E’ una strategia da sempre della Rai dargli attenzione, anche perché ci racconta e varca i confini” spiega De Maio. In programma, fra gli altri, in prima serata su Rai 3, i pluripremiati Settembre di Giulia Steigerwalt, vincitore come migliore opera prima del David di Donatello e il Nastro d’argento e Il bambino nascosto di Roberto Andò, con Silvio Orlando e Giuseppe Pirozzi (Marefuori); il cinema d’autore italiano su Rai 5; documentari di maestri come Cecilia Mangini (Il mondo a scatti, il 23 settembre in seconda serata su Rai 3) o Marco Bellocchio con Marx può attendere (a dicembre). Senza dimenticare i generi su Rai 4, tra ritorni e novità come la serie poliziesca spagnola Rapa con Javier Camarà o Nancy Drew, L’approdo di House of Gucci su Rai 1 rimanda alla polemica sulle icone italiane interpretate da attori stranieri. “Non sono d’accordo con Favino – spiega de Maio – questa è l’opera di un maestro del cinema e ricordiamo il ruolo fondamentale per questi film dei nostri doppiatori”.

Per Paolo del Brocco, ad di Rai Cinema “Favino faceva un discorso generale di cui è stato preso solo un pezzo per fare titolo” osserva, e sottolinea l’importanza nella programmazione Rai per il cinema italiano: “tra noi c’è stata stata sempre una collaborazione nel valorizzarlo. Comunque bisogna smettere di dire che vada male in sala. I film italiani a grosso budget sono andati benissimo, mentre film più piccoli hanno perso terreno. La tv in questo può fare molto per rilanciare l’interesse, distinguendosi dalle piattaforme e raggiungendo tutti i tipi di pubblico”.

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