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Esteri

Zelensky aspetta Trump: il 2025 sarà il nostro anno

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Un 2025 di lotta, “sia sul campo di battaglia sia al tavolo dei negoziati”: nella notte di Capodanno, Volodymyr Zelensky traccia la rotta di un nuovo anno in cui l’Ucraina dovrà combattere su due fronti, per rafforzare la propria posizione per porre fine all’invasione che va avanti da tre anni. “Che il 2025 sia il nostro anno. L’anno dell’Ucraina. Sappiamo che la pace non ci verrà regalata, ma faremo di tutto per fermare la Russia e porre fine alla guerra”, ha sottolineato il presidente ucraino. Ma il 2025 è anche l’anno del ritorno alla Casa Bianca di Donald Trump, sul quale Zelensky è tornato a mostrarsi fiducioso: “Non ho dubbi che il nuovo presidente americano sia disposto e capace di raggiungere la pace”.

Il dubbio è che la pace di Washington non sia la stessa pace “giusta” tanto auspicata da Kiev, obbligata a fare i conti col nuovo corso negli Stati Uniti, alleati chiave per proseguire la loro resistenza all’invasione che sono pronti – parola del tycoon – a cambiare la propria politica di sostegno nei confronti del Paese invaso. Che il 2025 dovrà essere un anno di svolta lo dicono le notizie del fronte, dove le difese ucraine non reggono il passo di un’avanzata russa inesorabile. Secondo un’analisi dell’Afp sui dati del think tank statunitense Isw, le forze di Mosca hanno catturato 4 mila chilometri quadrati (3.985) nel 2024, sette volte di più rispetto al 2023. Un successo raggiunto villaggio dopo villaggio, spinto soprattutto dalle avanzate dell’autunno, 610 chilometri quadrati a ottobre e 725 chilometri quadrati a novembre: è dalle prime settimane del conflitto, nel marzo 2022, che i russi non conquistavano così tanto territorio in soli due mesi.

Nel frattempo l’agenzia di stampa russa Tass afferma – con cifre non verificabili – che oltre un milione di soldati ucraini sarebbero rimasti uccisi o feriti in azione dall’inizio di quella che Mosca chiama “operazione militare speciale” contro Kiev, nel febbraio 2022. Propaganda o meno, resta urgente per l’Ucraina trovare al più presto, entro quest’anno, una soluzione – auspicabilmente mediata – alla guerra. Le cifre, intanto, fanno sorridere Vladimir Putin, sempre più zar della Russia con 25 anni di governo alle spalle di cui, alla vigilia del Capodanno, si è detto “orgoglioso”. “Molto resta ancora da decidere”, secondo il presidente russo, che non ha alcuna intenzione di mollare la sua morsa sui territori orientali ucraini e che respinge al mittente qualunque proposta mediata che non sia a condizioni vantaggiose per Mosca, in primis un’Ucraina nella Nato. Così, il conflitto prosegue e nemmeno il Capodanno riesce a fermare lo scambio di attacchi con missili e droni da entrambi i fronti: nella notte tra il 31 dicembre e il 1 gennaio, l’aeronautica ucraina ha riferito di aver abbattuto 63 su 111 droni lanciati su diverse regioni ucraine, anche sulla capitale Kiev dove gli Uav hanno colpito uccidendo due persone e provocando sette feriti. “Anche a Capodanno, la Russia si è preoccupata solo di danneggiare l’Ucraina”, ha commentato Zelensky, mentre nulla è cambiato per una popolazione civile ormai stremata da tre anni di bombardamenti che hanno provocato milioni di sfollati e rifugiati, e li hanno lasciati ancora una volta al buio al gelo dell’ennesimo inverno di guerra.

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Esteri

Presidenziali in Cile: la comunista Jeannette Jara e il conservatore José Kast volano al ballottaggio

La candidata comunista Jeannette Jara e l’ultraconservatore José Kast si sfideranno al ballottaggio del 14 dicembre. Fuori la destra tradizionale, exploit del populista Franco Parisi.

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La corsa alla presidenza del Cile si restringe a due nomi: Jeannette Jara, candidata del Partito Comunista, e José Kast, rappresentante del Partito Repubblicano e figura di riferimento dell’ultradestra. Con il 40% dei voti scrutinati, gli analisti considerano irreversibile il vantaggio dei due candidati, destinati a sfidarsi nel ballottaggio del 14 dicembre.

Jara in testa, Kast subito dietro

Secondo i dati del Servizio Elettorale (Servel), Jara guida il primo turno con il 26,45% delle preferenze, seguita da Kast con il 24,46%. Una sfida polarizzata tra programmi opposti, a cui si aggiunge un inaspettato terzo posto: il populista Franco Parisi, che conquista il 18,62% superando sia la destra tradizionale di Evelyn Matthei che l’ultradestra di Johannes Kaiser.

Il Paese diviso in tre aree

Dai primi risultati emerge un Cile spaccato territorialmente:

  • Sud: forte presenza per Kast, che domina nelle regioni meridionali.

  • Area metropolitana: prevale Jara.

  • Nord: exploit di Parisi, capace di intercettare il voto scontento e antisistema.

La destra promette di ricompattarsi

Nonostante la divisione al primo turno tra Kast, Kaiser e Matthei, i commentatori osservano una schiacciante affermazione complessiva delle destre. Per il ballottaggio è già stata annunciata la convergenza: un sostegno reciproco che potrebbe favorire Kast nella corsa verso La Moneda.

Kast: terzo tentativo per il “duro” della politica cilena

Kast, dichiaratamente simpatizzante di Augusto Pinochet, tenta per la terza volta l’ingresso al palazzo presidenziale. Il suo programma punta sulla repressione della criminalità e sul contrasto all’immigrazione clandestina, temi centrali per l’elettorato cileno.

Matthei riconosce la sconfitta e appoggia Kast

Evelyn Matthei ha ammesso subito la propria uscita di scena, congratulandosi con Kast. Con il 27% dei seggi scrutinati, la leader della destra tradizionale è ferma al 13,07%. “Andrò personalmente al comitato elettorale di José Kast per congratularmi”, ha dichiarato.

Il Cile si prepara ora a un ballottaggio che riflette una polarizzazione profonda: tra la sinistra comunista e un’ultradestra determinata a riunificare il proprio fronte.

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Capire la crisi Ucraina

Trump annuncia nuove sanzioni: “Puniremo ogni Paese che fa affari con la Russia. Possibile l’inserimento dell’Iran”

Donald Trump annuncia una legge repubblicana per sanzionare “severamente” ogni Paese che faccia affari con la Russia e apre alla possibilità di includere anche l’Iran.

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Il presidente americano Donald Trump ha dichiarato che i repubblicani stanno lavorando a una nuova legge capace di introdurre sanzioni automatiche e “severe” contro qualsiasi Paese che intrattenga rapporti commerciali con la Russia. L’annuncio arriva direttamente dalla Casa Bianca, dove il leader statunitense ha parlato ai giornalisti chiarendo la direzione della politica estera americana.

“È stata una mia idea”: la linea dura del presidente Usa

Trump ha sottolineato che l’iniziativa nasce da una sua proposta: “Come sapete, l’ho suggerito io. Qualsiasi Paese che faccia affari con la Russia sarà sanzionato severamente”. Una posizione che conferma l’orientamento sempre più duro dell’amministrazione verso Mosca, in un contesto internazionale già segnato da tensioni commerciali e militari.

Nella lista potrebbe finire anche l’Iran

Il presidente non ha escluso nuovi sviluppi: “Potrebbero aggiungere anche l’Iran”, ha affermato. Una possibilità che amplierebbe ulteriormente il raggio d’azione della legge e irrigidirebbe il confronto con Teheran, già nel mirino delle politiche restrittive dell’amministrazione americana.

Una mossa che accende il dibattito internazionale

Le nuove misure, se approvate, andrebbero a modificare in profondità i rapporti tra Stati Uniti e numerosi Paesi partner, con impatti diretti su scambi commerciali, equilibri diplomatici e sicurezza internazionale. Il dibattito, intanto, è già partito sia negli Usa sia nelle capitali che intrattengono ancora rapporti economici con Mosca.

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Esteri

Zelensky in Europa: accordi con Grecia, Francia e Spagna per superare l’inverno di guerra

Zelensky torna in Europa e ottiene aiuti da Atene, Parigi e Madrid: gas per l’inverno, un accordo storico sulla difesa con Macron e nuovi sostegni dalla Spagna.

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Volodymyr Zelensky è tornato in Europa in uno dei momenti più difficili dall’inizio della guerra. L’offensiva russa prosegue, mentre gli aiuti Ue restano bloccati e quelli Usa dipendono dalle oscillazioni della politica di Donald Trump. In questo quadro di incertezza, Grecia, Francia e Spagna hanno scelto di tendere la mano all’Ucraina.

L’intesa energetica con la Grecia

Ad Atene, prima tappa del tour, Zelensky ha puntato tutto sull’emergenza energetica. Il governo di Kyriákos Mitsotákis ha assicurato una fornitura di gas da gennaio a marzo 2026, per un valore di due miliardi di euro. Il finanziamento sarà coperto grazie ai partner europei.

Il Gnl arriverà in Ucraina tramite la Grecia, ma la provenienza è americana: una triangolazione che divide la partita energetica con Washington. Atene, intanto, rafforza il ruolo di hub europeo del Gnl diretto verso l’Europa centrale e orientale.

Parigi prepara un accordo “storico”

La tappa decisiva sarà Parigi: Zelensky firmerà con Emmanuel Macron un «accordo storico» sulla difesa. I dettagli non sono ancora pubblici, ma il presidente ucraino ha anticipato un rafforzamento dell’aviazione da combattimento, della difesa aerea e di altre capacità militari.

Un passo avanti notevole della Francia, in una fase in cui il sostegno europeo a Kiev appare in stallo.

Madrid chiude il tour

L’ultima tappa sarà Madrid, altro partner considerato «forte» da Zelensky. In programma anche una visita al Reina Sofia, dove è esposto il Guernica di Picasso: nel 2022 Zelensky paragonò il massacro di Mariupol proprio alla tragedia della città spagnola.

La guerra continua senza sosta

Mentre Zelensky cerca sostegni in Europa, la guerra in Ucraina resta feroce. Mosca rivendica la conquista di due villaggi nella regione di Zaporizhzhia. A Pokrovsk gli ucraini resistono, ma in inferiorità numerica.

Secondo Kiev, negli ultimi sette giorni la Russia ha sganciato 980 bombe sull’intero Paese. Una sola notizia positiva sul fronte umanitario: il rilascio di 1.200 prigionieri ucraini dalle carceri russe.

L’appello alla pace

Dal Vaticano, Papa Leone XIV ha rinnovato il suo appello: «Non possiamo abituarci alla guerra e alla distruzione». Anche il presidente Sergio Mattarella, da Berlino, ha richiamato l’urgenza della pace.

Ma un negoziato appare lontano. Yuri Ushakov, consigliere di Vladimir Putin, ha confermato contatti con gli Usa basati sul vertice di Anchorage tra Trump e lo Zar. Un punto di partenza che potrebbe non favorire né l’Ue né Kiev.

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