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Washington Post perde 200 mila abbonati: la scelta di Bezos di non sostenere candidati alla presidenza crea sconcerto

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La recente decisione del Washington Post di non appoggiare alcun candidato per le prossime elezioni presidenziali ha avuto un impatto immediato sugli abbonamenti: oltre 200 mila lettori hanno annullato la propria sottoscrizione al giornale di proprietà di Jeff Bezos. La mossa, definita dal patron di Amazon come una “decisione di principio”, è stata annunciata la scorsa settimana e ha causato una significativa perdita di abbonamenti per la testata già in difficoltà finanziarie. Secondo fonti vicine al quotidiano, citate da NPR, il Washington Post contava su oltre 2,5 milioni di abbonati lo scorso anno, principalmente digitali, che lo rendevano il terzo giornale statunitense per diffusione dopo il New York Times e il Wall Street Journal.

Una decisione per preservare l’indipendenza

In un editoriale pubblicato sulle pagine del Washington Post, Bezos ha spiegato che la scelta di non dare un endorsement a nessun candidato è stata motivata dalla volontà di evitare qualsiasi percezione di pregiudizio e di preservare l’indipendenza del giornale. “È una decisione di principio”, ha dichiarato Bezos, collegandosi alle scelte simili fatte dall’editore Eugene Meyer tra il 1933 e il 1946. Il fondatore di Amazon ha evidenziato come la decisione sia volta a ristabilire la credibilità del Post, in un momento in cui la fiducia nei media e nei giornalisti è ai minimi storici.

Errori di pianificazione

Bezos ha ammesso, tuttavia, che la mossa non ha beneficiato di una pianificazione adeguata e che sarebbe stata preferibile attuarla “prima, in un momento meno vicino alle elezioni e alle emozioni che queste suscitano”. L’imprenditore ha anche chiarito che non si tratta di una strategia pianificata con secondi fini, negando categoricamente un “accordo strategico” o un presunto “scambio” legato a incontri di alto profilo avvenuti lo stesso giorno dell’annuncio.

Reazioni e prospettive per il Washington Post

Nonostante le dichiarazioni di Bezos, il calo di abbonamenti rappresenta un colpo significativo per il Washington Post, già sotto pressione per le sfide economiche che affronta il settore editoriale. La scelta del quotidiano di rinunciare al tradizionale endorsement ha sollevato numerose domande sul futuro e sulla sostenibilità della testata, poiché l’appoggio elettorale è storicamente parte dell’identità dei giornali americani, influenzando non solo i lettori, ma anche la credibilità e l’influenza dei giornali stessi. Il caso del Washington Post mostra come i giornali, specialmente in una fase di crisi economica e di reputazione, siano costretti a ripensare il proprio ruolo nel panorama politico e mediatico.

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Giudice sospende caso contro Trump per assalto al Capitol

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Tanya Chutkan, la giudice che supervisiona il caso contro Donald Trump per l’assalto al Capitol, ha accolto la richiesta del procuratore speciale Jack Smith di sospendere le procedure in corso e ha annullato tutte le scadenze pendenti nella fase pre-processuale. Un passo legato alla consolidata prassi del Dipartimento di Giustizia secondo cui un presidente in carica non può essere perseguito.

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Discussioni al Pentagono su come reagire a ordini illegali Trump

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Dirigenti del Pentagono stanno tenendo discussioni informali su cosa fare se Donald Trump dovesse dare un ordine illegale, come ad esempio dispiegare l’esercito internamente, e si stanno preparando all’eventualità che possa modificare le regole per poter licenziare numerosi funzionari pubblici di carriera. Lo riferisce la Cnn. Durante la campagna elettorale, Trump ha ventilato l’ipotesi di impiegare l’esercito contro i suoi nemici politici e anche per respingere i migranti al confine col Messico. La legge americana generalmente vieta l’impiego delle truppe attive per scopi di ordine pubblico. Esistono anche timori che possa smantellare il ruolo dei civili nel Pentagono e sostituire il personale licenziato con dipendenti scelti per la loro lealtà nei suoi confronti.

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Il futuro di Harris dopo la sconfitta

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Kamala Harris non pensa ancora al futuro. La ferita della sconfitta è ancora troppo fresca per consentirle di guardare avanti con lucidità. Ipotizzare la strada che intraprenderà, riferiscono amici e consiglieri, è prematuro ma la vicepresidente potrebbe avere varie opzioni fra cui scegliere una volta che i tempi saranno maturi. La possibilità che resti in politica è la più remota. Al momento anche solo pensare a una sua ricandidatura alle elezioni del 2028 appare un miraggio, considerata la facilità con cui Donald Trump ha vinto. Ma quattro anni in politica sono un’eternità e Harris ha accesso a una vasta rete di donatori che, se il mandato del presidente-eletto dovesse essere caotico, forse potrebbe sostenerla ancora nel cercare di realizzare il sogno di infrangere il soffitto di cristallo. Harris difficilmente – riporta il New York Times – potrebbe decidere di ricandidarsi per il Senato: i due senatori che rappresenteranno la California sono appena stati eletti ed è improbabile che lascino a breve. Nel suo stato Harris potrebbe aspirare a diventare governatrice, raccogliendo l’eredità di Gavin Newsom qualora decidesse, come si vocifera da tempo, di scendere in campo nel 2028.

Fra gli incarichi istituzionali c’è chi sogna che Joe Biden la nomini alla Corte Suprema prima del suo addio alla Casa Bianca. Un’ipotesi irrealizzabile visto che i democratici dovrebbero prima convincere la giudice Sonya Sotomayor a lasciare e poi premere sull’acceleratore per confermare Harris prima del 20 gennaio. Le ipotesi che, al momento, sono le più accreditate fra i sui alleati sono il settore privato, anche nei panni di lobbista, o l’ingresso in un think tank dove avrebbe la possibilità di portare avanti le sue cause senza le restrizioni imposte dal ruolo di vicepresidente di Biden. Harris potrebbe optare anche per scrivere un libro, sulla scia di quanto fatto da Hillary Clinton nel 2016 dopo la sconfitta contro Donald Trump. Quello che appare certo è che la vicepresidente, trascorsi questi ultimi 70 giorni alla Casa Bianca, si prenderà del tempo per sé stessa e per riflettere sulle sue prossime mosse fra passeggiate e cibo non consumato in aereo. Poco prima del voto, per l’esattezza il 27 ottobre, Harris aveva infatti chiarito che fra i suoi piani post-elezioni ci sarebbe stato “ingrassare qualche chilo”. “Mi stanno consumando”, aveva scherzato ignara di quello che l’avrebbe attesa solo qualche giorno dopo.

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