La presidente della Commissione Ursula von der Leyen sceglie il collegio d’Europa di Bruges, fucina dell’élite blustellata, per offrire – in una sorta di lezione magistrale ai giovani diplomatici – un ramoscello d’ulivo agli Stati Uniti e disinnescare le tensioni neanche troppo striscianti sugli impatti discriminatori del pacchetto anti inflazione di Joe Biden. Usa e Ue, argomenta la presidente, sono ora “uniti” nella lotta al cambiamento climatico con piani d’investimento “simili” e dunque non è il caso di farsi la lotta ma anzi “lavorare insieme” contro l’avversario comune: la Cina. Per farlo – particolare davvero cruciale – l’Unione deve svolgere però i “compiti a casa” e dotarsi di strumenti di leva finanziaria “in comune”.
Con buona pace per i Paesi frugali (i nordici) o i paperoni (la Germania). Von der Leyen nella pratica mette il cappello comunitario alla visita di Emmanuel Macron a Washington, dove è stato incoronato leader d’Europa dal presidente americano. L’inquilino dell’Eliseo ha veicolato tutte le preoccupazioni francesi per le conseguenze nefaste dell’Inflation Reduction Act (Ira), incassando importanti aperture dalla Casa Bianca. Ora, a nome dell’Unione, si muove von der Leyen. Che avverte: c’è il rischio che l’Ira porti a “una concorrenza sleale”, tra le due sponde dell’Atlantico, specie nella parte “buy american” di sapore trumpiano.
“La competizione va bene, è salutare”, mette le mani avanti la presidente, a patto che sia salvaguardata la “parità di condizioni”, evitando magari “una corsa ai sussidi” foriera di duplicazioni e sprechi. Il ragionamento: Usa e Ue stanno mobilitando insieme “un trilione di euro” per la transizione verde, ora che Biden ha archiviato il negazionismo climatico di Trump.
La sfida è trovare la convergenza. Von der Leyen si è tolta un sassolino dalle scarpre ricordano che, mentre l’ex presidente Usa si ritirava dall’accordo di Parigi e la Cina versava miliardi nel carbone, l’Europa ha mantenuto la barra dritta e ha varato il Green Deal, con target legali per la riduzione delle emissioni. Poi il mondo è cambiato, col Covid e ora la crisi in Ucraina, che ha fatto aumentare i costi per le imprese per colpa della guerra ibrida di Putin. Le basi industriali di Usa e Ue vanno dunque “protette insieme”, magari trovando idee alternative sul lungo periodo. Come per esempio la gestione delle materie prime critiche per la rivoluzione verde. La Cina è dominante, soprattutto nei processi di “trasformazione” delle terre rare.
Perché allora non formare “un club” che dia la possibilità a partner e alleati di “superare il monopolio” di Pechino. L’Europa, allo stesso tempo, può imparare dagli Usa. L’Ira è molto efficace ad esempio nell’intervenire su “tutta la catena del valore interna”, al contrario di quanto sono in grado di fare gli strumenti attuali blustellati. Dunque è necessario riformare in modo flessibile gli aiuti di Stato Ue e dotarsi di bazooka appropriati: un fondo sovrano Ue per gli investimenti e maggiore potenza di fuoco per il RePowerEu. Ovvero ciò a cui si sono sempre opposti i soliti noti nell’arco delle alleanze europee.
“Dobbiamo convincere gli Stati membri recalcitranti che questa è la cosa giusta da fare”, spiega una fonte bene informata. La chiave? “Altri Paesi, anche amici, sono molto aggressivi sui finanziamenti alla rivoluzione verde”. Insomma, se l’Ue vuole tenere il passo di Cina e Usa deve infrangere nuovamente i tabù. Il tema del 2023 è già tracciato.