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Virus misterioso in Congo, l’Italia controlla gli scali

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L’Italia alza il livello di attenzione sulla malattia ancora sconosciuta che ha portato a oltre 70 decessi in Congo, nella regione di Panzi, a circa 700km a sud-est di Kinshasa. Con una lettera inviata dal ministero della Salute, si chiede agli Uffici di sanità marittima, aerea e di frontiera del ministero della Salute, “di fare attenzione su tutti i punti di ingresso, in particolare modo per i voli diretti provenienti dal Paese”. Le autorità locali in stretta collaborazione con quelle internazionali “stanno lavorando per verificare la situazione e fornire una risposta rapida ed efficace a questo nuovo focolaio epidemico che sta colpendo il Paese” già recentemente duramente provato dall’epidemia di Mpox.

Una “doverosa attenzione” ma “niente allarmismi”, afferma Maria Rosaria Campitiello, Capo Dipartimento Prevenzione e emergenze sanitarie del ministero della Salute sottolineando la presenza di una “sorveglianza attiva e di un monitoraggio costante in corso”. “Il ministero – aggiunge – in modo responsabile si è attivato in via cautelativa”, sui controlli. “Attenzione, mai sottovalutazione ma mai allarme”, tiene a precisare in un post su Fb Francesco Vaia, direttore generale della Prevenzione del ministero della Salute “anche perché – scrive – non ci sono voli diretti con il Congo”.

Da ieri nel Paese africano vige la “massima allerta”, dopo la dichiarazione da parte del ministro della Difesa, Samuel-Roger Kamba. Mentre l’Oms riferisce che si studiano alcuni virus come possibili cause, fra questi uno respiratorio come l’influenza, insieme a malaria, morbillo e altre malattie. Gli esperti italiani invitano a “fare presto” per individuare il patogeno e a “fare di più”, ed evidenziano la necessità di inviare “subito” in laboratori mobili, anche se, dicono, “non siamo ancora in una situazione di allarme” per via dell’area molto circoscritta. I primi casi di questa malattia finora ‘misteriosa’, sono stati rilevati alla fine di ottobre.

ùLa patologia è caratterizzata da febbre, mal di testa, raffreddore e tosse, difficoltà respiratorie e anemia. Il 40% dei casi riguarda bambini sotto i cinque anni, mentre i maggiori decessi tra i 15 e 18 anni. Il numero di vittime non è ancora chiaro, potrebbe essere superiore alle cifre ufficiali. In tal senso, ha sottolineato il ministro Kamba, non è possibile dire se i decessi siano collegati al fenomeno. Nella regione, ha rilevato il ministro, il tasso di malnutrizione (61%) è tra i più alti del Paese.

“Ancora non sappiamo nulla, ma probabilmente è una malattia infettiva. Visti i morti nei villaggi potrebbe trattarsi di zoonosi, ma ancora non abbiamo dati”, spiega Massimo Ciccozzi, ordinario di Epidemiologia al Campus Bio-medico di Roma. “Il concetto fondamentale è che bisogna imparare a ragionare in termini di global health”. Ma bisogna anche “fare di più”. “In Italia per il Giubileo avremo 38 milioni di pellegrini in un anno, bisogna effettuare un monitoraggio epidemiologico anche a livello regionale”, afferma l’esperto. Quello che serve subito sono i “laboratori mobili internazionali” disponibili in Italia, in alcuni Paesi europei e negli Stati Uniti, approntabili in 24 ore, altamente specializzati con strumenti, tende attrezzate, personale dedicato e sistemi di protezione che consentano di prelevare, trasportare e analizzare il probabile patogeno con macchinari avanzati e avere una diagnosi rapida”, dice Carlo Perno, responsabile Microbiologia e diagnostica di immunologia, ospedale pediatrico Bambino Gesù secondo il quale il decorso molto rapido del patogeno “può ricordare, e sottolineo può ricordare i filovirus come Ebola”.

La letalità, riferisce Gianni Rezza, professore di Igiene e sanità pubblica presso l’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, già dirigente di ricerca dell’Iss, “appare molto alta: circa un terzo sulle oltre 370 persone colpite e ricorda quanto si osserva per la febbre emorragica, ma i sintomi sono molto diversi”. Secondo Rezza “non siamo ancora in una situazione di allarme, che si avrebbe in caso di presenza di un elemento diagnostico nuovo”.

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Zelensky: lunedì uccisi 20 alti ufficiali nordcoreani e russi

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Le forze ucraine hanno ucciso lunedì scorso (3 febbraio) 20 alti ufficiali nordcoreani e russi durante un attacco a un posto di comando nella regione russa di Kursk: lo ha detto il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, come riporta RBC-Ucraina. “Hanno colpito un centro di controllo lì. Prima di avanzare 2,5 chilometri, le nostre truppe hanno colpito il centro di controllo nella regione di Kursk”, ha detto Zelesnky. “Mi è stato detto che probabilmente sono stati uccisi 20 ufficiali. Tra loro ci sono alti ufficiali nordcoreani e russi”, ha aggiunto. RBC-Ucraina ricorda che il 3 febbraio l’aeronautica militare ucraina ha lanciato un attacco di precisione contro un centro di controllo e comando russo a Novoivanivka, nel Kursk. L’esercito ucraino continua la sua offensiva in questa direzione e, secondo Zelensky, le Forze armate di Kiev sono riuscite ad avanzare di 2,5 chilometri nella regione questa settimana.

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A Mariupol i bambini costretti a ringraziare i soldati russi

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Gli studenti di Mariupol, nella regione ucraina di Donetsk (est), sono costretti a scrivere “lettere di gratitudine” ai soldati russi: lo riporta Ukrinform, che cita il Comune della città occupata. “Le scuole nella Mariupol occupata stanno costringendo i bambini a scrivere lettere di gratitudine ai soldati russi – si legge in un comunicato stampa del Comune -. Gli studenti devono ringraziare gli occupanti per la ‘liberazione’ della loro città”. L’ultima serie di lettere è stata scritta in vista del 23 febbraio, quando i russi celebrano la Giornata del Difensore della Patria. Tuttavia, il Consiglio comunale di Mariupol ha sottolineato che gli stessi “difensori” hanno distrutto la città e ucciso gli amici e i parenti dei bambini delle scuole di Mariupol. Gli ufficiali notano che queste campagne mirano a manipolare ideologicamente i bambini, che oggi rappresentano uno dei principali obiettivi della prpoaganda russa. “Organizzazioni pseudo-patriottiche, ‘lezioni di patriottismo’, addestramento militare nelle scuole, glorificazione dei militanti russi e degli invasori: questi sono solo alcuni dei modi in cui le forze russe stanno cercando di cancellare l’identità ucraina, di militarizzare le giovani menti e di instillare l’odio verso tutto ciò che è ucraino”, afferma il Consiglio comunale di Mariupol.

 

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Giuristi: indagare Cpi si può ma lo ha fatto Mosca

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Indagare i funzionari della Corte penale internazionale (foto Imagoeconomica in evidenza) è possibile, ma il precedente è scomodo: porta dritto a Mosca, dopo il mandato d’arresto per crimini di guerra spiccato contro Vladimir Putin. Le sanzioni annunciate da Donald Trump contro la Cpi e lo scontro tra il governo italiano e la stessa Corte sul caso Almasri hanno lasciato frastornati gli esperti di diritto umanitario internazionale, divisi tra chi preferisce restare in silenzio e chi cerca di analizzare gli sviluppi – distinti, ma intersecati tra loro – da un punto di vista legale.

Non senza un certo rammarico nell’osservare che è stata proprio l’Italia nel 1998 a essere la culla della Corte con lo Statuo di Roma. Il caso russo – con il procuratore della Cpi Karim Khan (nella foto Imagoeconomico sotto), la presidente Tomoko Akane e il giudice italiano Rosario Salvatore Aitala finiti sotto accusa – “non è certo un precedente che fa onore all’Italia”, è la prima riflessione di Gabriele Della Morte, professore ordinario di diritto internazionale alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Cattolica di Milano. Senza sconfinare nel dibattito politico, il giurista evidenzia a più riprese che il mancato rispetto del mandato d’arresto della Cpi per il generale libico Nijeem Osama Almasri, rappresenta “una chiara violazione di una norma di diritto internazionale e di un obbligo di cooperazione con la Corte”, sancito proprio nello Statuto.

KARIM AHMAD KHAN. PROCURATORE CAPO DELLA CORTE PENALE INTERNAZIONALE

“Forse dovremmo cambiare il nome al trattato, ma c’è una norma che prevede un obbligo di cooperazione”. E ora l’Italia potrebbe trovarsi di fronte a “una procedura particolare”, in cui la Cpi “avrà autonomia, dopo un’interlocuzione con il governo, nel decidere il da farsi” e scegliere “se deferire la mancata attuazione degli obblighi all’Assemblea degli Stati o portarla davanti al Consiglio di Sicurezza dell’Onu”, che sulla Libia è responsabile. Che la questione possa arrivare fino al Palazzo di Vetro è un’ipotesi condivisa anche da No Peace Without Justice e da diversi giuristi dal profilo internazionale, alcuni anche profondamente legati alla Corte dell’Aja. Seppur la denuncia depositata da un cittadino sudanese contro Meloni, Nordio e Piantedosi non sia sufficiente da sola, nelle descrizioni dei più, ad aprire un’indagine sulla violazione dell’articolo 70 dello Statuto, resta il principio cardine che invece nessuno mette in discussione: “Ogni Paese membro ha l’obbligo di eseguire i mandati di arresto della Cpi”.

“Se uno Stato ha bisogno di documenti tradotti, può richiederlo ai sensi dell’articolo 87(2) dello Statuto al momento dell’adesione”, sottolinea Alison Smith, board member e legal counsel di Npwj, soffermandosi poi sul nodo più ampio: un sistema giudiziario internazionale “sempre più sotto attacco, sia dall’interno che dall’esterno”. “Sempre più Stati membri mettono in discussione l’obbligo di arrestare e trasferire all’Aja latitanti internazionali e l’Italia – osserva Smith -, in quanto membro fondatore e culla dello Statuto, dovrebbe avere un ruolo di spicco nella difesa dei valori cardine”.

Un ruolo ancora più cruciale oggi, con Donald Trump che soffia sul fuoco e alimenta “un clima ostile”. A rischio, è la constatazione della consulente legale, “c’è il lavoro della Corte proprio mentre è impegnata in indagini e processi in tutto il mondo”, dal Darfur all’Afghanistan. Senza dimenticare “tutti quei casi in cui la Cpi rappresenta l’unica speranza di giustizia e risarcimento per le vittime”.

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