La fiducia della Camerae’ un buon punto di partenza ma per Giuseppe Conte, dal voto al Senato in poi, la strada sara’ tutta in salita. Sara’ uno slalom nel corso del quale il capo del governo dovra’ fare i conti con i malcelati timori nella maggioranza sul ritorno alle urne e con un rimpasto di governo al quale ormai e’ obbligato, che potrebbe includere anche l’opzione forse meno gradita a Palazzo Chigi: quella di salire al Colle da dimissionario per dar vita ad un Conte-ter. Con un dato, da tener presente: se il presidente del Consiglio salira’ al Quirinale per rassegnare le sue dimissioni, chiedendo tempo e spazio per cercare una maggioranza, il capo dello Stato non potrebbe far altro che avviare le consultazioni e, verificata la disponibilita’ delle forze politiche, dargli quindi un incarico esplorativo. Il premier vive con prudenza le ore in cui si decide il suo destino. I numeri del Senato non possono non preoccuparlo e l’obiettivo di rendere irrilevante Italia Viva appare, per ora, poco meno di un’utopia. Nella strategia del premier, infatti, il traguardo massimo, a Palazzo Madama, sarebbe quello di incassare un gap tra il si’ alla fiducia e i voti dell’opposizione superiore alle 18 unita’, ovvero al numero di senatori di Iv. Ma nel gioco di specchi tra centristi e renziani sul mantenere altissima la posta, a farne le spese potrebbe essere proprio il premier. E nei corridoi di Montecitorio piu’ di un pentastellato, dopo aver issato il suo scudo d’ordinanza a difesa di Conte, si chiedeva se davvero lo showdown sia stata una buona idea: “cosi’ il rischio e’ di tornare al voto”. Conte provera’ a giocare la sua partita su un doppio binario: quello del tempo e quello del Recovery Plan, che secondo le richieste europee dovra’ essere pronto entro fine febbraio. Provera’, al di la’ della trattativa sul rimpasto e programma, a muoversi in equilibrio su diversi aspetti – dai contenuti alla composizione della task force, che l’Ue in qualche modo vuole – del Piano di Ripresa e Resilienza, sul quale alla Camera fa una netta apertura anche al contributo delle opposizioni. Ma sale, anche, il pressing dei due maggiorenti di governo: Pd e M5S. Le parole di Nicola Zingaretti ai senatori Dem nel pomeriggio non passano inosservate dalle parti di Palazzo Chigi. E appaiono come un segnale della partita a cui sara’ chiamato Conte, quello di non tergiversare. Rilanciando subito il programma di governo. E, implicitamente, dando atto anche a un profondo tagliando nell’esecutivo. E nel M5S le sensazioni sono simili: “il tempo stringe, bisogna iniziare a voltare pagina subito, gia’ la prossima settimana”, spiega una fonte di primo piano del Movimento. Ma c’e’ un’appendice: per fare un rimpasto o il premier convince i ministri a dimettersi o e’ lui a dimettersi facendo cadere cosi’ tutto il governo. E’ l’opzione Conte-ter. Quella alla quale il premier rischia comunque di andare incontro. Il premier, allo stesso tempo, non puo’ permettersi di escludere a priori il rientro dei membri di Iv. Il suo “no”, di fatto, e’ diretto quasi esclusivamente a Matteo Renzi. Nel discorso a Montecitorio sceglie volutamente di non citarlo ma domani, a Palazzo Madama, il suo intervento si prevede piu’ duro nei confronti dell’ex premier. “Conte ha seguito una sua linearita’ istituzionale. Aveva invitato Renzi a non ritirare le ministre e la mossa di Renzi e’ stato una slabbatura troppo forte”, spiega una fonte che ha dimestichezza con le stanze di Palazzo Chigi. In Aula Conte prova a tracciare anche una traiettoria politica definita. Quella di una coalizione che comprenda, oltre a M5S, al Pd e a Leu, anche il Centro. E in quel “faro’ la mia parte” il premier evoca, in qualche modo, un impegno politico in prima persona per dare amalgama alla coalizione. Se non e’ una discesa in campo, poco ci manca. E’, in fondo, anche l’aspirazione a sostituire la macchina renziana con un’area comunque moderata ma di natura diversa. Un’area che, sottolinea Conte in un passaggio del suo discorso che sembra quasi rimandare all’era del pentapartito, comprenda liberali, popolari e socialisti. E che abbia europeismo e atlantismo come stelle polari. Tanto che, al riferimento alla “maggioranza Ursula” il premier affianca, in sede di replica, quello alla convergenza tra il suo programma e l’agenda Biden provando ad imprimere un’ulteriore spinta anti-sovranista al suo disegno.