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Cronache

Violentata e uccisa a Santo Domingo, il corpo conservato nel frigo

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Legata e imbavagliata dentro al frigorifero di casa sua, bloccato esternamente da una scala. E’ stata ritrovata cosi’, priva di vita, Claudia Lepore, 59enne originaria di Carpi, in provincia di Modena, che da oltre un decennio si era trasferita a Santo Domingo per cominciare una nuova vita. Sarebbe stata violentata e uccisa per motivi di soldi ma, anche se c’e’ un arrestato, la vicenda e la stessa dinamica dell’assassinio hanno ancora dei contorni poco chiari su cui le autorita’ locali stanno cercando di far luce. Il cadavere di Claudia Lepore e’ stato trovato l’altro ieri nella sua abitazione nella zona residenziale di Bavaro. Si trovava all’interno del frigorifero da almeno tre giorni, secondo quanto ricostruito. L’omicidio, stando alle notizie che arrivano dai Caraibi, avrebbe gia’ un movente, economico, e soprattutto un autore materiale, arrestato: Antonio Lantigua, 46 anni, conosciuto come ‘El Chino’. Il presunto assassino oltre ad essersi tradito con dei messaggi in chat avrebbe infatti confessato la propria responsabilita’: “L’ho uccisa – le parole dell’uomo – per 200mila pesos”, cioe’ poco meno di tremila euro. Sul cellulare di Lantigua la Polizia dominicana ha trovato questo messaggio: “Pagami i 200mila pesos… Se non mi paghi ti succedera’ la stessa cosa, ti ammazzo”.

Destinataria della chat, anche se le finalita’ dell’invio sono tutte da chiarire, sarebbe un’altra donna italiana, Ilaria Benati, che la vittima conosceva molto bene. Benati, anche lei modenese, e’ stata la prima a rivolgersi alla Polizia per denunciare la scomparsa di Claudia Lepore: le due donne anni fa avevano avviato insieme a Santo Domingo un bed&breakfast, ‘Villa Corazon’. Poi il rapporto tra le due si era incrinato, anche a causa di contrasti di natura economica legati alla gestione del b&b, ma pare che di recente si fossero riavvicinate. Claudia nell’ultimo periodo aveva lasciato il bed&breakfast per avviare un’altra attivita’ in autonomia. In queste ore le autorita’ domenicane stanno sentendo la versione di Ilaria Benati, che Lantigua avrebbe chiamato in causa coinvolgendola direttamente nell’omicidio e additando anche un altro italiano. Benati si e’ pero’ difesa, sostenendo la propria innocenza e affermando di essere stata a sua volta ‘incastrata’ dal domenicano. Pur tra versioni fornite discordanti, l’unica certezza resta la confessione del delitto da parte del ‘Chino’. L’uomo, come riportano media locali, ha raccontato alla polizia di aver strangolato Claudia Lepore per una questione di soldi, dopo averla violentata. L’ipotesi circolata a caldo, tuttavia, e’ che la donna fosse stata messa nel frigorifero quando ancora non era morta e che la sua fine sia arrivata per assideramento.

L’uomo le avrebbe anche sottratto del denaro, poi speso per giocare d’azzardo, mangiare e bere. E’ stato lui a consegnarsi direttamente alla polizia e sul giornale online Bavarodigital.net e’ stato pubblicato il video in cui si vede l’uomo consegnarsi, accompagnato dai giornalisti. A Carpi Claudia Lepore era conosciuta per aver gestito fino al 2009 un bar. Nella cittadina modenese vive sua sorella, Anna Lepore: “Ci siamo sentite lo scorso 10 gennaio – racconta – Una videochiamata di famiglia in occasione del mio compleanno. Ci ha fatto vedere la sua casa nuova. Era contenta. Mi ero ripromessa di chiamarla, ma ormai e’ tardi. Da un solo mese abitava nella villetta che si era fatta fare sul terreno che aveva acquistato. Dopo averla sentita, un’amica comune mi ha detto che Claudia discuteva spesso con l’amica Ilaria (Benati, ndr) e che aveva paura”. L’eventuale ruolo nel delitto dell’amica italiana e’ tuttavia ancora da chiarire.

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Sindaco di Avellino Festa arrestato, indagati la vice sindaco Nargi e un consigliere comunale

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Arresto per il sindaco dimissionario di Avellino, Gianluca Festa. L’ex esponente del Pd e’ coinvolto in un’indagine per peculato e induzione indebita a dare e promettere utilita’ ed e’ ora ai domiciliari insieme a un architetto, fratello di un consigliere comunale, Fabio Guerriero e a una dirigente del Comune. I carabinieri, titolari dell’indagine della procura di Avellino, hanno anche eseguito perquisizioni a carico del vicesindaco Laura Nargi, del consigliere Diego Guerriero, capogruppo Viva la Liberta’, lista civica a sostegno di Festa, e fratello di Fabio e dei fratelli Canonico, presidente e commercialista della DelFes, squadra di basket serie B.

Al centro delle indagini c’e’ proprio la squadra di basket di serie B, riconducibile a Festa. Per gli inquirenti, ha ottenuto sponsorizzazioni da imprese che erano assegnatarie di appalti e affidamenti dal Comune di Avellino. Gli inquirenti ipotizzano per questo che esista un’associazione a delinquere.

La sua piu’ grande passione e’ il basket. Gianluca Festa, 50 anni, sindaco di Avellino dal giugno del 2019, si e’ dimesso il 25 marzo quando la procura di Avellino gli ha perquisito casa e ufficio. E proprio nel corso della comunicazione della notizia alla stampa, fece riferimento al suo amato basket, e al fatto che quanto li contestava la procura era relativo alla pallacanestro. Quando venne eletto, infatti, la squadra della citta’, lo storico club Scandone, fondato nel 1948 e per 20 anni in serie A, era fallito. Lui vi aveva giocato come titolare nel 1995. Uno smacco per Avellino e i tifosi, quel fallimento, e cosi’, pur di salvare la pallacanestro, Festa verso’ 20 mila euro dal suo conto corrente per garantire l’iscrizione di una squadra irpina al campionato di serie B. Ora Festa e’ ai domiciliari, indagato tra gli altri insieme all’amministratore delegato della squadra, la Delfes, Gennaro Canonico per presunti appalti pilotati al Comune di Avellino per i reati di corruzione, associazione a delinquere, turbativa d’sta e falso in atto pubblico. Alcune delle imprese che si sono aggiudicate gli appalti hanno anche sostenuto economicamente la societa’ di basket. “Non c’e’ niente perche’ non c’e’ mai stato niente e anche dalle perquisizioni non e’ emerso nulla. Chi pensava che questa fosse una bomba, si e’ ritrovato in mano una miccetta. E se qualcuno pensava di poter condurre con questi argomenti la campagna elettorale che si avvicina, ha sbagliato. Perche’ noi siamo persone perbene e aspetteremo l’esito delle indagini. Che non porteranno a nulla”, aveva detto Festa all’indomani delle perquisizioni.

È sempre d’uopo ricordare che le azioni dei Pm sono esercizi dell’azione penale obbligatoria ma non sono sentenze di condanna e che per gli attuali indagati c’è il principio di non colpevolezza fino al terzo grado di giudizio.

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Uccisero il padre violento, nuova condanna per i figli

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Sono stati condannati di nuovo i fratelli Scalamandrè per l’omicidio del padre Pasquale, indagato per maltrattamenti nei confronti della madre, avvenuto il 10 agosto del 2020 al culmine di una lite nella loro abitazione a Genova. La Corte d’Assise d’appello di Milano, davanti alla quale si è celebrato il processo di secondo grado ‘bis’, ha confermato la sentenza di primo grado: 21 anni di reclusione per Alessio e 14 per Simone. I due uomini, che oggi hanno 32 e 24 anni, sono accusati di avere ucciso il genitore 63enne colpendolo diverse volte con un mattarello dopo che lui si era presentato a casa loro per chiedere al maggiore di ritirare la denuncia nei suoi confronti. I giudici genovesi, in appello, avevano confermato i 21 anni di pena per Alessio, decidendo invece di assolvere Simone.

La Corte di Cassazione, però, lo scorso novembre aveva annullato con rinvio entrambe le sentenze, stabilendo che il nuovo processo si sarebbe svolto a Milano in quanto a Genova esiste una sola Corte d’Assise d’appello e gli imputati non possono essere giudicati due volte dagli stessi giudici. Per il caso del fratello maggiore, nell’annullare la decisione, gli Ermellini avevano tenuto conto della decisione della Corte Costituzionale che aveva decretato l’illegittimità dell’articolo del Codice Rosso che impediva di far prevalere le attenuanti generiche sull’aggravante di un delitto commesso in ambito familiare, e del ricorso dei difensori che invocavano l’attenuante della provocazione.

Nell’annullamento del verdetto nei confronti di Simone, invece, la Cassazione aveva invitato i giudici meneghini a motivare adeguatamente un’eventuale nuova sentenza di assoluzione. La Procura generale di Milano aveva chiesto 8 anni e mezzo per il fratello più giovane e una pena a 11 anni per l’altro, concordata con la difesa. Per quest’ultimo gli avvocati Nadia Calafato e Riccardo Lamonaca avevano invece chiesto l’assoluzione perché, a quanto hanno detto in aula, il ragazzo “non è l’autore materiale, assieme al fratello, dell’omicidio”.

“È un momento difficile, molto negativo”, ha osservato fuori dall’aula l’avvocato Lamonaca, sottolineando che “sicuramente” non sono state riconosciute l’attenuante della provocazione né la prevalenza di quelle generiche. “Le sentenze non si commentano, ma si impugnano. Cercheremo di cambiare ancora una volta questa sentenza. Non è ancora quella definitiva”. Entrambi i fratelli erano presenti alla lettura del dispositivo. Il giorno dell’omicidio erano stati i due fratelli a chiamare la polizia e raccontare l’accaduto, spiegando che i colpi mortali erano arrivati al culmine di una lite che si era trasformata in colluttazione. Alessio lo aveva infatti denunciato per maltrattamenti e minacce nei confronti della madre, che era stata costretta a trasferirsi in una comunità protetta.

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Test omosessualità a poliziotto della penitenziaria, ministero condannato

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Prima un procedimento disciplinare con una serie di “domande ambigue” sul suo orientamento sessuale. Poi addirittura un test psichiatrico per verificare se fosse o non fosse gay. È il calvario denunciato da un agente di polizia penitenziaria che alcuni giorni fa, dopo più di un anno di battaglie a colpi di carte bollate, ha vinto una causa dal Tar del Piemonte ottenendo un risarcimento di 10 mila euro per “danno morale”.

La somma è stata messa in carico al ministero della Giustizia. A originare il caso fu la segnalazione di due detenuti: “quel poliziotto fa le avances”. Era tutto falso. Ma nel frattempo l’agente venne spedito alla Commissione medica ospedaliera di Milano per sottoporsi a controlli psichiatrici: l’obiettivo era accertare la sua idoneità al servizio. Ed è qui il punto: l’amministrazione, che nel corso del procedimento giudiziario si è giustificata sostenendo che il dipendente manifestava “stati di ansia”, secondo i giudici “operò una sovrapposizione indebita” fra omosessualità (effettiva o meno non ha importanza) e “disturbo della personalità”. Una decisione “arbitraria e priva di fondamento tecnico-scientifico”.

Alla fine l’agente fu prosciolto in sede disciplinare e, dopo i test, dichiarato perfettamente in grado di svolgere il proprio lavoro. Ma per l’Osapp, il sindacato di polizia penitenziaria che gli ha fornito l’assistenza legale, resta la gravità di accuse “ingiuste, anacronistiche e degne di un clima da Santa inquisizione”. “Alle tante incongruenze e incapacità constatate negli organi dell’amministrazione – dice il segretario generale, Leo Beneduci – non credevamo di dover aggiungere l’omofobia”.

Secondo il senatore Ivan Scalfarotto (Italia viva) la vicenda “illustra meglio di mille trattati l’idea strisciante, e assai più diffusa di quel che si creda, che le persone gay e lesbiche non siano proprio come le altre, non propriamente degne come tutte le altre”. I giudici ricordano che nel ricorso (depositato il 27 dicembre 2022) l’agente lamentò di “essere stato deriso ed emarginato dai colleghi, per lo più uomini, in ragione delle proprie vicissitudini”, tanto che chiese e ottenne il trasferimento in un altro carcere, dal Piemonte alla Puglia. Ma per questo capitolo non hanno riconosciuto il diritto a un risarcimento.

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