Luciano Violante e Marco Minniti (assieme nella foto di Imagoeconomica in evidenza), due figure simbolo dell’ex PCI, PDS, DS e infine PD, hanno cambiato pelle, spostandosi dal cuore della sinistra politica italiana a posizioni di rilievo in organismi e fondazioni che operano in stretta collaborazione con il governo di Giorgia Meloni. Entrambi, per decenni, sono stati punti di riferimento per il garantismo progressista, per il pacifismo e per un rapporto privilegiato con la magistratura. Oggi, invece, ricoprono ruoli di primo piano in fondazioni strategiche e consigli di amministrazione di aziende di Stato, posizionandosi al centro del sistema istituzionale italiano.
Luciano Violante, ex presidente della Camera e figura storica della sinistra riformista, è oggi presidente della Fondazione Leonardo, un think tank che lavora in ambito tecnologico e industriale, e al tempo stesso è capo del Comitato per gli anniversari nazionali, nomina voluta direttamente da Giorgia Meloni.
Ma non è tutto. Violante ha assunto anche un ruolo chiave nel dibattito sulle università telematiche, in particolare sostenendo gli interessi di Multiversity, società che controlla Pegaso, San Raffaele e Mercatorum. La sua attività di lobbing ha portato a un protocollo d’intesa tra il Ministero della Pubblica Amministrazione e queste università, creando sconcerto nel governo stesso.
La vicenda ha sollevato interrogativi su come e perché un ex magistrato e uomo di punta della sinistra progressista sia oggi uno dei più influenti suggeritori del governo di centrodestra, con rapporti di stima e collaborazione con Giorgia Meloni, Alfredo Mantovano e Ignazio La Russa. Una metamorfosi che, per alcuni, rappresenta il segno di un’abilità politica trasversale, per altri un adattamento strategico al nuovo potere.
Marco Minniti, ex ministro dell’Interno e figura di spicco della sinistra securitaria, è oggi presidente della Fondazione Med-Or, organismo nato sotto l’egida di Leonardo e diventato recentemente “Italian Foundation”, includendo tra i soci Eni, Enel, CDP, Ferrovie, Poste, Snam e Terna.
Minniti è ora uno dei principali promotori del Piano Mattei, l’ambizioso progetto del governo Meloni per rafforzare le relazioni con l’Africa e ridurre la dipendenza economica ed energetica dall’influenza cinese e russa. La sua capacità di muoversi in ambiti strategici e internazionali, un tempo appannaggio della sinistra riformista, lo ha portato a diventare una delle figure chiave per il governo di centrodestra in materia di geopolitica e sicurezza.
Non solo: Minniti ha anche lanciato un allarme pubblico sulle minacce alla premier Giorgia Meloni, invitando lo Stato a proteggere la leader di Fratelli d’Italia, un’affermazione che fino a qualche anno fa sarebbe stata impensabile per un ex dirigente del PD.
Il percorso di Violante e Minniti segna un cambio di paradigma nella politica italiana, dove figure un tempo identificate con il progressismo più rigoroso sono oggi integrate nei meccanismi di potere dell’attuale governo.
Si tratta di un segno di pragmatismo politico o di un riavvicinamento strategico a un centro di comando che ha cambiato colore? Il fatto che entrambi abbiano assunto ruoli in fondazioni di Stato e in progetti istituzionali legati all’esecutivo suggerisce che l’influenza della vecchia classe dirigente della sinistra non sia affatto tramontata, ma abbia trovato nuovi canali per esercitare il proprio potere.
Un tempo garanti dell’ortodossia della sinistra, oggi Violante e Minniti sembrano interlocutori privilegiati del centrodestra, dimostrando come, nella politica italiana, l’appartenenza ideologica possa cedere il passo alla gestione del potere.