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Cronache

Vessazioni e abusi sessuale ex moglie, condannato avvocato

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Il Gup del Tribunale di Lamezia Terme ha condannato a quattro anni per maltrattamenti contro familiari e conviventi, violenza sessuale e lesioni personali R.M., avvocato sospeso del foro della citta’ calabrese. L’uomo e’ stato interdetto per cinque anni dai pubblici uffici e dalla professione. Il professionista venne arrestato dalla Polizia di Stato con l’accusa di avere sottoposto per anni l’ex moglie ad una serie innumerevole di violenze, anche di natura sessuale, vessazioni e minacce. Le indagini nei confronti del professionista hanno consentito di ricostruire le violenze andate avanti sin dal 2003, quando la coppia viveva ancora insieme, nei confronti della donna alla quale l’ex marito avrebbe impedito anche di uscire dalla propria abitazione. Gli episodi di violenza si sarebbero verificati anche in presenza di terze persone, oltre che davanti al figlio minore dei due, determinando nella vittima uno stato psicologico tale da sopportare anche pedinamenti e controlli sulle sue frequentazioni. La donna, inoltre, ha vissuto in uno stato costante di paura e di ansia poiche’ temeva sia per la propria incolumita’ che per quella del figlio minore. Il professionista avrebbe anche costretto l’allora consorte a sottostare a rapporti sessuali non consenzienti.

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Cronache

Imprenditore scomparso a Modena, un arresto per omicidio

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Non è stato un allontanamento volontario, non un sequestro di persona, ma un omicidio. Salvatore Legari, imprenditore edile 54enne padre di due figli originario di San Pancrazio Salentino (Brindisi), è stato ucciso e il suo corpo fatto sparire. All’alba, le ipotesi avanzate dalla procura di Modena, che comprendono anche un movente, economico, hanno portato alle manette ai polsi di Alex Oliva, 38enne modenese indagato per omicidio volontario e occultamento di cadavere. L’uomo è in carcere dopo che i carabinieri di Modena hanno dato esecuzione all’ordinanza cautelare firmata dal gip. Dopo esattamente un anno e mezzo dunque, un giallo sembra chiudersi e i parenti della vittima, il figlio Nicholas e le sorelle Nunzia e Floriana, ringraziando gli inquirenti auspicando che presto i resti del loro congiunto vengano trovati.

Oliva, che doveva dei soldi a Legari per lavori su una villa di sua proprietà, avrebbe tentato in più modi di depistare le indagini che avrebbero potuto, e d’altronde lo hanno fatto, condurre a lui. La procura di Modena ne è certa: dal furgone della vittima ritrovato a Sassuolo alla maglietta del 54enne indossata per ingannare le telecamere, così come l’hard disk dell’occhio elettronico puntato sulla sua proprietà sostituito evidentemente per eliminare immagini che lo avrebbero incastrato. Un piano pensato nei dettagli che motiva il pesante capo di imputazione e probabilmente anche la durata delle complesse indagini. Salvatore Legari sparisce nel nulla il 13 luglio del 2023 dopo essere stato, al mattino, in un cantiere edile di cui si stava occupando a Lesignana, alle porte di Modena. Quel cantiere era nella proprietà di Alex Oliva, il committente. Proprio il 13 luglio Oliva, ritengono gli inquirenti, avrebbe dovuto saldare un ingente debito che aveva nei confronti di Legari. Ma da Lesignana Legari non fa più ritorno e di lui non si sa più nulla fino al 22 luglio successivo.

Mentre nel frattempo la compagna dell’imprenditore sporge denuncia per la scomparsa ai carabinieri, a Sassuolo viene infatti rinvenuto il furgone del 54enne con all’interno le chiavi, vestiti ed effetti personali, come le carte di credito. Secondo la ricostruzione fatta dalla procura di Modena e dai carabinieri, Oliva avrebbe indossato una maglia della vittima a Lesignana e si sarebbe messo in viaggio sul furgone verso Sassuolo, presumibilmente dopo aver consumato l’omicidio. Il mezzo lo avrebbe abbandonato lì, a Sassuolo, per allontanarlo il più possibile dalla sua proprietà, dalla casa-cantiere di Lesignana. Proprio su quell’edificio puntavano le telecamere il cui hard disk sempre Oliva avrebbe tolto per sostituirlo con un altro ‘pulito’. Ma gli inquirenti quel viaggio fatto in furgone lo hanno ricostruito successivamente, attraverso l’attenta visione degli impianti di videosorveglianza pubblica e privata e analizzando il tabulato di traffico dell’utenza che era in uso alla vittima fino al suo spegnimento. Non solo: una consulenza foto-antropometrica ha stabilito che, nonostante quella maglietta gli appartenesse, alla guida del furgone non c’era Salvatore Legari.

Piuttosto le fattezze della persona al volante corrispondono proprio a quelle di Alex Oliva. Per questi motivi il 38enne ora è nel carcere di Modena, ma manca ancora un tassello di questa tragica vicenda: dov’è il corpo dell’imprenditore edile? In questo anno e mezzo gli inquirenti hanno eseguito scavi intorno alla villa di Lesignana, dettaglio questo che aveva lasciato intendere come la vicenda dovesse essere in qualche modo collegata al cantiere ed a un debito mai estinto. All’ipotesi di un allontanamento volontario, non a caso, gli stessi parenti di Legari non avevano mai creduto, come ribadiscono oggi in un testo diffuso dagli avvocati Antonio Cozza e Corina Torraco: “Abbiamo sempre sostenuto che – le parole del figlio di Legari, Nicholas, e delle sorelle Nunzia e Floriana – quello di Salvatore Legari non fosse un allontanamento volontario, ma che qualcosa di grave, forse di irreparabile, fosse successo e che l’abbandono del suo furgone nel territorio di Sassuolo fosse solo un depistaggio.

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Insulti sui social, alcuni alunni chiedono scusa a sindaco

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Alcuni degli alunni che ieri hanno postato insulti e messaggi offensivi nei confronti del sindaco di San Giorgio a Cremano (Napoli) Giorgio Zinno per non aver chiuso le scuole per allerta gialla, oggi li hanno cancellati dai social o hanno chiesto scusa per il gesto. “Devo ammettere che questo gesto merita di essere riconosciuto come un primo passo verso una maggiore consapevolezza” scrive sulla pagina facebook è il primo cittadino “E’ vero anche che non tutti lo hanno fatto. Infatti per quei ragazzi che non si sono resi conto della gravità del loro comportamento, procederò con un esposto alla Polizia Postale, come atto dovuto per tutelare l’Istituzione che rappresento e per lanciare un chiaro segnale che certi comportamenti non possono essere tollerati. Quindi, la diffusione di quanto accaduto ha sortito l’effetto sperato, ovvero ha scosso le coscienze ed avviato una riflessione sul clima che sta emergendo in alcuni contesti della nostra comunità”.

Per Zinno occorre insegnare ai ragazzi “l’uso consapevole dei mezzi di comunicazione e fargli comprendere le responsabilità che hanno nell’uso delle parole” perché spiega “purtroppo stiamo andando nella direzione in cui i rapporti umani sembrano sempre più filtrati e amplificati dai mezzi digitali che possono diventare pericolosi strumenti di offesa, soprattutto se manca il senso di responsabilità. È un problema culturale, ma anche sociale, che ci coinvolge tutti e che richiede un intervento congiunto”. “Insieme possiamo e dobbiamo intervenire, attraverso strumenti come i patti educativi ad esempio, che rappresentano una rete di valori condivisi e di supporto educativo.

Dobbiamo insegnare ai nostri adolescenti e alle future generazioni, che vivere con leggerezza è giusto e necessario, ma ciò non può mai prescindere dal rispetto verso gli altri e verso le istituzioni”. “Rispettare non significa soltanto evitare l’insulto o l’aggressione verbale: significa scegliere di costruire relazioni basate sull’ascolto e sulla comprensione. Significa crescere come persone e come comunità. Mi auguro che questa vicenda possa rappresentare non solo un monito, ma un’opportunità per riflettere insieme su quale tipo di società vogliamo diventare e su quali valori desideriamo trasmettere”. E infine conclude: “Da parte mia, continuerò ad ascoltare, a dialogare e ad impegnarmi per il bene dei nostri ragazzi, perché credo fermamente che solo con un lavoro collettivo possiamo aiutarli ad affrontare le sfide del presente e a costruire un futuro migliore.

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Ucciso a martellate, condannato ex pentito di camorra di Frattamaggiore

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featured, Stupro di gruppo, 6 anni ,calciatore, Portanova

Per mesi il corpo senza vita di Massimo Lodeserto è rimasto negli scantinati di una vecchia palazzina del centro storico di Torino. Per mesi i parenti avevano fatto l’impossibile per cercare questo signore di 58 anni, conosciuto nel quartiere per il carattere affabile e scherzoso, che pareva essersi dissolto nel nulla. Fino a quando, il 4 dicembre 2024, al termine di un’indagine lunga e complicata, i carabinieri non avevano fatto irruzione nel sotterraneo: Massimo era stato preso a martellate alla testa, trafitto due volte alla schiena da un coltello, portato laggiù e ricoperto di masserizie. Oggi il tribunale ha inflitto 20 anni di carcere per omicidio volontario e occultamento di cadavere al presunto killer.

Si tratta di Nino Capaldo, 57 anni, originario di Frattamaggiore (Napoli), ex collaboratore di giustizia. Ma la camorra non c’entra. Il delitto sarebbe il tragico epilogo di una lite per un debito e, forse, una donna. Capaldo stava già scontando in regime di detenzione domiciliare una vecchia condanna a 15 anni per un omicidio risalente al 2014. La vittima, il nigeriano Edokpa Gowin detto ‘Nokia’, era stata uccisa con un colpo di pistola nel Casertano. Si parlò di contrasti fra gang rivali per il controllo dello spaccio. Capaldo, indicato come affiliato al clan Gagliardi-Fragnoli di Mondragone, collaborò con gli inquirenti, fu inserito nel programma di protezione e allontanato dallaCampania. A Torino nessuno, tranne le forze dell’ordine, sapeva del suo passato. A volte diceva di essere un maresciallo dei carabinieri in pensione.

Secondo una delle ricostruzioni della vicenda, Capaldo si era invaghito della ex fidanzata di Lodeserto. Sembra che la donna sostenesse che da Massimo avanzava 100 mila euro dai tempi in cui gestivano una piccola impresa di pulizie. E sembra che Capaldo avesse deciso di riscuotere il credito (di cui peraltro non c’è traccia nelle cartelle esattoriali esaminate). Fra i due uomini ci fu un incontro. Il 30 agosto 2024, giorno in cui doveva cominciare un nuovo lavoro, Massimo scomparve. L’avvocato difensore di Capaldo, Gianluca Orlando, in aula ha parlato di legittima difesa, ma la tesi non è stata accolta. I vent’anni di reclusione sono stati il massimo della pena, visto che il processo si è svolto con il rito abbreviato, che comporta lo sconto automatico di un terzo, e non sono state contestate né la premeditazione né altre aggravanti. Tre familiari di Lodeserto si sono costituiti parte civile con l’avvocato Roberto Saraniti e hanno ottenuto, per ora, una provvisionale di 40 mila euro ciascuno. Quanto a Capaldo, adesso è in un carcere fuori Piemonte.

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