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Economia

Verizon compra Frontier per 20 miliardi di dollari

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Verizon acquista Frontier Communications con un accordo del valore di 20 miliardi di dollari, compreso il debito acquisito, per rafforzare la sua rete in fibra ma anche per “rafforzare la sua incursione nell’intelligenza artificiale e nei dispositivi ‘smart’ connessi”. Manca ancora l’ok degli azionisti di Frontier ma le trattative, assicurano i media Usa, sono in fase avanzata e la transazione dovrebbe essere conclusa in circa 18 mesi. Per certi versi e’ un viaggio di ritorno, dato che Verizon riacquistera’ alcune delle linee in fibra ottica che aveva venduto quasi un decennio fa a Frontier tramite un accordo da 9,6 miliardi di dollari.

L’accordo, in base al quale Verizon acquisirà Frontier per 38,50 dollari ad azione (che rappresenta un premio del 44% rispetto al prezzo medio ponderato in base al volume delle azioni a 90 giorni del 3 settembre), espanderebbe significativamente il suo mercato nel settore negli Stati Uniti. I 2,2 milioni di abbonati di Frontier in 25 stati si uniranno ai 7,4 milioni di connessioni Fiber Optic Service di Verizon in nove stati e a Washington Dc.

La combinazione, si legge in una nota dell’azienda, integrerà la rete in fibra all’avanguardia di Frontier nel portafoglio leader di asset in fibra e wireless di Verizon, inclusa la sua offerta Fios best-in-class. In circa quattro anni, Frontier ha investito 4,1 miliardi di dollari nell’aggiornamento e nell’espansione della sua rete in fibra. “La connettività è essenziale in quasi ogni aspetto della nostra vita e del nostro lavoro e nessuno ha un’offerta migliore di Verizon”, ha affermato il presidente e ceo del colosso Hans Vestberg.

“L’acquisizione di Frontier – ha proseguito – è una scelta strategica. Si baserà sui due decenni di leadership di Verizon in prima linea nella fibra ed è un’opportunità per diventare più competitivi in più mercati negli Stati Uniti, migliorando la nostra capacità di fornire offerte premium a milioni di clienti in più su una rete in fibra combinata”. “Diventeremo il player numero uno nella telefonia mobile e il player numero tre della banda larga”, ha affermato in un’intervista il responsabile della divisione consumer di Verizon, Sowmyanarayan Sampath. L’operazione mira a fronteggiare la concorrenza di AT&T e T-Mobile. e anche dei provider tv via cavo che vendono servizi cellulari a basso prezzo alle famiglie nei loro mercati.

“Meno di quattro anni fa, abbiamo definito un piano ambizioso per costruire Gigabit America, l’infrastruttura digitale di cui questo paese ha bisogno per prosperare per le generazioni a venire”, ha affermato Nick Jeffery, Presidente e ceo di Frontier. “L’annuncio di oggi – ha aggiunto – è il riconoscimento dei nostri progressi nella costruzione di una rete in fibra di prima categoria e nella fornitura di banda larga affidabile e ad alta velocità a milioni di clienti in tutto il paese. È anche un voto di fiducia per il futuro della fibra”. Un bella parabola, considerando che nel 2020 Frontier aveva richiesto la protezione del capitolo 11sulla bancarotta perche’ aveva bruciato la liquidità ed era gravata da un pesante carico di debiti.

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Economia

Tim crolla in Borsa,matrimonio con Poste non ha appeal

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Tim e Poste promessi sposi, Cdp le trasferirà la sua quota e poi potrebbe trasformarsi in un’alleanza industriale che l’ad Pietro Labriola peraltro non disdegnerebbe. Davanti al fatto compiuto, che qualcuno legge come una mossa del Governo per sbarrare la strada ai fondi Cvc o ai francesi di Iliad, la reazione della Borsa è la fuga. Tim aveva appena riconquistato la soglia dei 30 centesimi e la Borsa riversa una doccia fredda sul titolo, che arretra a 28 centesimi perdendo il 7,59% mentre qualcuno legge l’ipotesi di un ingresso di Poste (-0,5% a 14,7 euro) nel capitale come una mossa del governo per trovare un’alternativa nazionale agli investitori internazionali che si stavano muovendo, da Cvc a Iliad. “L’operazione in sé non modifica gli assetti, ma notiamo i commenti del ministro Giorgetti in parlamento che sembrano segnalare una posizione piuttosto fredda del governo sulle ipotesi circolate in queste settimane di progetti prospettati da CVC/Iliad” commentano gli analisti di Equita.

Il 9,8% di Tim verrebbe trasferito a Poste (in cambio la Cassa riceverebbe il 3,8% di Nexi e un conguaglio cash), di cui peraltro Cdp è il primo azionista con il 35% e il Mef il secondo con il 29,26 per cento. Il dossier, secondo quanto si apprende, sarà sul tavolo dei rispettivi cda sabato. L’ad di Tim Pietro Labriola ha spiegato, a margine del Capital Market Day, che entrambi sarebbero dei partner con una valenza industriale e in particolare la collaborazione con Poste potrebbe partire da un accordo commerciale con accordi distributivi di prodotti sulla rete di Poste per poi diventare strategico (con il consolidamento di Tim con Poste Mobile). Nell’immediato però toglie l’appeal speculativo che si era risvegliato nelle ultime sedute sul titolo. I sindacati sono preoccupati: “Assistiamo ad un disastro dietro l’altro in un settore che sprofonda in una crisi sempre più grave” dichiara la Cgil e il timore è di “un ulteriore spezzettamento”.

L’ad di Tim, Pietro Labriola (foto Imagoeconomica in evidenza) ha chiarito di non aver avuto ancora nessun contatto ne con Iliad ne con Poste ma, secondo Bloomberg, avrebbe già un adivsor (UniCredit) che lo dovrebbe aiutare valutare le opzioni a disposizione dei pretendenti. “In Italia, dopo Fastweb-Vodafone, si esploreranno altre combinazioni – riflettono gli analisti di Mediobanca – Dopo anni di forte concorrenza, lo spazio europeo delle Tlc sta lottando per finanziare gli investimenti in infrastrutture digitali e per remunerare gli azionisti. Il consolidamento non può essere rimandato: la nuova Commissione UE è destinata ad adottare una posizione più proattiva, sostenendo l’agenda di Draghi, aumentando gli impegni per l’innovazione e facilitando le autorizzazioni alle fusioni. Riteniamo che l’accresciuta rilevanza dell’IA sia un campanello d’allarme per i responsabili politici dell’UE, che riflette la necessità di attuare un consolidamento del settore per creare conglomerati in grado di competere su scala globale”.

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Economia

Da lunedì al via il Btp Più, tasso minimo al 2,80%

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Arriva al debutto il Btp Più, il nuovo titolo di Stato dedicato ai risparmiatori di cui il Mef ha fissato i tassi minimi garantiti: 2,80% nei primi quattro anni, 3,60% nel successivo quadriennio per chi aderisce al collocamento che parte lunedì 17 febbraio per concludersi alle 13 di venerdì 21. I tassi cedolari definitivi, che potranno essere confermati o rivisti al rialzo rispetto ai minimi in base alle condizioni di mercato del giorno di chiusura dell’emissione, saranno annunciati al termine del collocamento. I valori fissati oggi sono “perfettamente in linea con i tassi espressi dal mercato per pari scadenza”, dice il direttore generale del Mercato dei titoli di Stato (Mts), Ciro Pietroluongo. “Considerata un’inflazione intorno all’1,7% – dice Pietroluongo -, mi sembra che siano tassi abbastanza premianti. Il fatto di aver premiato ulteriormente le scadenze è un segnale ulteriore di fiducia”. Difficile anticipare la raccolta che il Mef riuscirà a realizzare, in un mercato europeo che ultimamente ha visto un rialzo dei tassi di mercato trainato dai treasuries Usa nonostante la Bce stia progressivamente tagliando. “Credo – dice Pietroluongo – che i risultati saranno comunque buoni e li immagino in linea con i precedenti, ma ogni emissione ha una vita a sé”.

Il Btp “ipotizza una certa stabilità dei tassi”, spiega poi Pietroluongo. Fonti di mercato indicano che un fattore d’incertezza, come del resto per tutte le emissioni non indicizzate ai prezzi, potrebbe essere il rischio-inflazione in uno scenario geopolitico sempre più complesso per i dazi e le tensioni commerciali globale. Tuttavia il nuovo collocamento retail, che fa parte della famiglia del Btp Valore condividendone le cedole crescenti dopo quattro anni (‘step up’) che incentivano a mantenerli in portafoglio fino a scadenza, introduce una ‘finestra d’uscita’ per chi sottoscrive fin dal collocamento. Si tratta dell’opzione di rimborso anticipato alla pari (al valore nominale del titolo), alla fine del quarto anno, dell’intero capitale investito o anche solo di una sua quota.

L’opzione, esercitabile tra il 29 gennaio e il 16 febbraio 2029, vuole incentivare i risparmiatori che dovessero essere scoraggiati dalla durata estesa a otto anni del Btp Più, scelta nella logica complessiva di allungare la durata media del debito italiano. Come per tutti i titoli di Stato, poi, c’è la tassazione agevolata al 12,5%, l’esenzione dalle imposte di successione e l’esclusione dal calcolo Isee fino ad un investimento massimo di 50.000 euro complessivi. Incentivi con cui il Mef punta a diversificare le fonti di finanziamento del debito italiano – che a dicembre in base ai dati di Bankitalia è ridisceso sotto i 3.000 miliardi a quota 2.965,7 miliardi – consolidando il portafoglio retail. Perché la Bce, compratore di peso nel passato decennio, da dicembre non c’è più e anzi sta gradualmente dismettendo il suo portafoglio titoli: a fine 2024 la quota del debito detenuto dalla Banca d’Italia, anche se ancora ragguardevole, era diminuita al 21,7% del totale dal 24,2% del 2023.

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Economia

Bankitalia, il debito a dicembre sotto i 3.000 miliardi

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Al 31 dicembre del 2024 il debito pubblico era pari a 2.965,7 miliardi, in aumento di 97,3 miliardi rispetto a un anno prima ma in flessione dal record segnato a novembre a 3.005,2 miliardi. Lo rende noto Bankitalia nella pubblicazione su fabbisogno e debito. L’aumento su anno è parzialmente compensato dalla diminuzione di 12,3 miliardi delle disponibilità liquide del Tesoro a 37,6 miliardi. Tale voce, a novembre, era pari a 63,9 miliardi. A far salire il debito rispetto all’anno precedente è un fabbisogno di 105,7 miliardi, oltre a scarti, premi all’emissione e al rimborso, rivalutazione dei titoli indicizzati all’inflazione e variazione del cambio (3,9 miliardi).

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