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Esteri

Venezuela, Maduro mobilita 4,5 milioni di miliziani contro le minacce Usa

Nicolas Maduro ha annunciato la mobilitazione di 4,5 milioni di miliziani in Venezuela per rispondere al rafforzamento militare statunitense nei Caraibi.

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Il presidente venezuelano Nicolas Maduro ha annunciato il dispiegamento di 4,5 milioni di miliziani in tutto il Paese, come risposta alle recenti mosse degli Stati Uniti nei Caraibi. L’annuncio arriva dopo che Washington ha raddoppiato a 50 milioni di dollari la ricompensa per la sua cattura.

Le milizie fondate da Chavez

La milizia venezuelana, istituita dall’ex presidente Hugo Chavez, conta secondo fonti ufficiali circa 5 milioni di membritra civili e riservisti. È posta sotto il comando diretto dell’esercito e rappresenta un pilastro della strategia di difesa interna di Maduro.

Missili per contadini e operai

Nel suo intervento televisivo, Maduro ha parlato di un piano speciale che prevede la distribuzione di armi e missili ai contadini e alla classe operaia, con l’obiettivo di difendere la sovranità e la pace del Venezuela. Ha definito le pressioni statunitensi una “sporca ripetizione di minacce stravaganti, fantastiche e bizzarre”.

La pressione degli Stati Uniti

Il segretario di Stato americano Marco Rubio ha confermato il dispiegamento di forze navali e aeree statunitensi nei Caraibi, presentandole come parte di una più ampia operazione antidroga. Tuttavia, a Caracas la mossa è stata interpretata come un segnale diretto a Maduro, già accusato da Washington di essere coinvolto in un cartello internazionale della droga.

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Esteri

Gaza, il Consiglio di Sicurezza approva il piano di pace di Trump: via libera alla forza internazionale di stabilizzazione

Con 13 voti a favore e l’astensione di Russia e Cina, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu approva la risoluzione Usa sul piano di pace di Trump e sulla forza internazionale incaricata di smilitarizzare Gaza.

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Fumata bianca al Palazzo di Vetro: il Consiglio di Sicurezza dell’Onu (foto Imagoeconomica) ha approvato la risoluzione statunitense che sostiene il piano di pace di Donald Trump per Gaza e autorizza una forza internazionale di stabilizzazione incaricata anche del disarmo di Hamas. Il voto è passato con 13 sì e due astensioni, quelle di Cina e Russia.

La soddisfazione di Washington

L’ambasciatore americano Mike Waltz ha definito la risoluzione “storica”, sottolineando che sotto la presidenza Trump gli Stati Uniti intendono “continuare a portare risultati” insieme ai partner internazionali. L’approvazione del documento apre la fase due del piano: dopo tregua, scambio dei prigionieri e parziale ritiro dell’Idf dalla Striscia, parte il percorso politico e di sicurezza.

Le trattative e il nodo Mosca-Pechino

Il voto era incerto fino all’ultimo: Russia e Cina avevano criticato la bozza statunitense e presentato un testo alternativo che non prevedeva la smilitarizzazione di Gaza né il ruolo del Board of Peace, presieduto da Trump. La rinegoziazione del documento, unita al sostegno arrivato da numerosi Paesi arabo-musulmani e dall’Autorità Palestinese, ha reso difficile per Mosca e Pechino opporsi apertamente.

I contenuti della risoluzione

Il testo approvato stabilisce che gli Stati membri possono partecipare al Board of Peace fino al 31 dicembre 2027 e sostiene che potrebbero esserci le condizioni per un percorso credibile verso l’autodeterminazione palestinese, a condizione che l’Autorità Palestinese avvii riforme e che la ricostruzione di Gaza faccia progressi.
La forza internazionale, composta soprattutto da Paesi musulmani, avrà il mandato di disarmare Hamas e smantellarne le infrastrutture militari.

Le reazioni più dure: Hamas e Israele

Hamas e un gruppo di fazioni palestinesi hanno denunciato il provvedimento, definendolo un passo verso una tutela straniera sulla Striscia e respingendo ogni clausola di disarmo.
Dall’altro lato, il premier israeliano Benyamin Netanyahu, pressato dall’ala più a destra del suo governo, ha ribadito il rifiuto di uno Stato palestinese e promesso la smilitarizzazione di Gaza “con le buone o con le cattive”.

Tensioni anche in Cisgiordania

Sul terreno la situazione resta infiammata. In Cisgiordania, l’evacuazione dell’avamposto illegale di Tzur Misgavi ha scatenato violenti scontri tra coloni e polizia, con diversi agenti feriti e tentativi di resistenza da parte dei coloni. Disordini anche nel villaggio di Jaba’a, vicino Betlemme, con incendi a veicoli e abitazioni.

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Esteri

Cresce la tensione tra Giappone e Cina: Tokyo avverte i connazionali in Cina sui rischi di sicurezza

Tokyo avverte i cittadini giapponesi in Cina di evitare folle e prestare massima attenzione, dopo le tensioni esplose per le parole della premier Sanae Takaichi su Taiwan.

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Il Giappone ha invitato i propri cittadini residenti in Cina a evitare grandi assembramenti e a prestare massima attenzione all’ambiente circostante. La decisione arriva nel pieno dello scontro diplomatico causato dai commenti della premier Sanae Takaichi su un possibile intervento militare giapponese in caso di attacco cinese a Taiwan.

L’avvertimento dell’ambasciata giapponese

In una nota pubblicata sul sito ufficiale, l’ambasciata giapponese in Cina ha chiesto ai connazionali di evitare i luoghi molto affollati o riconoscibili come ritrovi abituali della comunità giapponese. Le indicazioni seguono l’avviso di Pechino ai propri cittadini di non recarsi in Giappone.

La posizione del governo giapponese

Il capo di gabinetto Minoru Kihara ha spiegato che l’avvertimento è stato deciso dopo “una valutazione completa della situazione politica e della sicurezza nel Paese o nella regione interessata”, sottolineando l’esigenza di cautela in un quadro definito particolarmente delicato.

Le parole della premier Takaichi e la reazione cinese

Lo scontro è esploso dopo le dichiarazioni rilasciate da Takaichi il 7 novembre in Parlamento. La premier aveva ipotizzato la possibilità di un intervento militare giapponese basato sul principio di “autodifesa collettiva” nel caso di un attacco cinese a Taiwan.

Pechino ha giudicato “inappropriati” i commenti, reagendo con durezza e riaffermando la propria posizione: Taiwan è considerata una parte “sacra” e “inalienabile” del territorio cinese, da riunificare anche con la forza se necessario.

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Esteri

Larry Summers lascia gli impegni pubblici dopo la diffusione dei documenti sul rapporto con Jeffrey Epstein

Larry Summers annuncia il ritiro dagli impegni pubblici dopo la pubblicazione di nuovi documenti sui suoi contatti con Jeffrey Epstein. Decisione motivata dalla volontà di “ricostruire la fiducia”.

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La pubblicazione di nuovi documenti relativi ai contatti tra Larry Summers e Jeffrey Epstein ha prodotto un terremoto politico e accademico negli Stati Uniti. Le informazioni diffuse dalla commissione di vigilanza della Camera hanno rivelato scambi di email tra i due, compreso un messaggio in cui Epstein si definiva la “spalla” di Summers.

Le pressioni bipartisan

Sia esponenti democratici sia repubblicani avevano chiesto alle organizzazioni che collaboravano con l’ex segretario al Tesoro di interrompere i rapporti. L’emersione dei file ha riacceso il dibattito sul ruolo di Summers e sulla sua permanenza nella vita pubblica.

La dichiarazione di Summers

In una nota inviata a diversi media, Summers ha affermato di provare “profonda vergogna” per le sue azioni e di assumersi “piena responsabilità” per la scelta di continuare a comunicare con Epstein. Ha aggiunto che, pur mantenendo gli obblighi accademici, si farà da parte dagli incarichi pubblici “per ricostruire la fiducia e riparare i rapporti con le persone a lui più vicine”.

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