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Cronache

‘Uss ha soldi e rete per fuga, doveva stare in cella’

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Da un lato, per la Procura generale di Milano, c’erano già tutti gli elementi negli atti, comprese le sue grandi disponibilità economiche e i contatti all’estero, per ritenere che Artem Uss dovesse restare in carcere. E questo a prescindere dai solleciti del Dipartimento della Giustizia Usa che aveva evidenziato il rischio che scappasse. Dall’altro, per la Corte d’Appello i domiciliari con braccialetto elettronico vennero decisi perché considerati adeguati a contenere il pericolo di fuga e semmai il Ministero della Giustizia, valutati gli elementi nuovi offerti dagli Stati Uniti, avrebbe potuto chiedere l’aggravamento della misura cautelare. Sta in queste diverse valutazioni dei vertici degli uffici giudiziari milanesi il succo delle due diverse risposte fornite alla richiesta di chiarimenti avanzata da via Arenula sulla vicenda dell’uomo d’affari russo, figlio di un governatore di una regione siberiana e magnate del petrolio molto vicino a Vladimir Putin, che il 22 marzo, dopo l’ok all’estradizione chiesta dalle autorità americane, è riuscito a sparire dalla casa di Basiglio (Milano) dove era ai domiciliari dal 2 dicembre.

Oltre tre mesi durante i quali, oltre ad essere autorizzato a ricevere molte visite e a vari colloqui telefonici, avrebbe avuto a disposizione pure i suoi due cellulari che non gli furono sequestrati fino al 13 marzo. Per i giudici della quinta sezione d’appello c’erano una serie di indicatori, tra cui il “progressivo” radicamento della famiglia Uss in Italia, che stava anche comprando casa, per ritenere “adeguata”, in previsione, la scelta dei domiciliari con braccialetto, presa il 25 novembre, dopo che il 40enne era finito in carcere il 17 ottobre. Il Ministero – è il ragionamento dei vertici della Corte d’Appello – se avesse considerato come “elemento nuovo” la missiva degli Usa del 29 novembre (arrivò materialmente alla Corte il 21 dicembre) che parlava di “altissimo” pericolo di fuga, avrebbe potuto richiedere che i giudici disponessero di nuovo il carcere per l’imprenditore, accusato dagli Usa di traffici sul petrolio venezuelano sottoposto ad embargo, ma anche su materiale militare e civile ‘dual use’ anche nella prima fase della guerra in Ucraina. Imputazione quest’ultima, però, che la Corte milanese ritenne non provata nei suoi confronti. Il sostituto pg Giulio Benedetti e la procuratrice generale Francesca Nanni, come ribadito in ambienti giudiziari, avevano comunque già segnalato nel loro parere contrario ai domiciliari che Uss era una persona che, per disponibilità economiche e rete di relazioni, avrebbe potuto facilmente lasciare l’Italia.

Così come, poi, è avvenuto: in poche ore è arrivato in auto al confine triestino ed è riapparso in Russia il 4 aprile, ringraziando quelle persone “forti e affidabili” che l’avevano aiutato. Per i pm che stanno indagando avrebbe avuto l’appoggio di un gruppo operativo di 6-7 persone, in un blitz gestito verosimilmente dai servizi segreti russi. Intanto, mentre i vertici degli uffici giudiziari stanno preparando altre relazioni per il Ministero in seguito ad interrogazioni parlamentari, tra i misteri e le sottovalutazioni nella vicenda, che presenta profili diplomatici delicati, rientra anche il caso dei telefoni non sequestrati. Non gli vennero tolti quando fu arrestato, li consegnò al carcere di Busto Arsizio e li riprese quando uscì a dicembre.

La Procura sta rispondendo in queste ore alle informazioni richieste sul punto dalla Procura generale: la rogatoria con la quale gli Usa avevano chiesto i sequestri dei cellulari e di carte di credito di Uss sarebbe arrivata ai pm del pool Affari internazionali, stando alla ricostruzione, il 17 febbraio, attraverso il Ministero. Pare fosse datata dicembre, ma verifiche sono in corso. Il 27 febbraio, sempre da quanto si è saputo in Procura, ci fu una valutazione degli atti dopo un’interlocuzione con la Corte d’Appello. Rogatoria che poi venne eseguita il 13 marzo col sequestro dei telefoni e del resto. Un iter, secondo la risposta della Procura, in linea coi tempi e senza ritardi, considerando che quella rogatoria era arrivata ai pm meno di un mese prima. Nel frattempo, il figlio dell’oligarca amico di Putin era stato autorizzato dai giudici (la Procura generale si oppose in un paio di casi) a ricevere diverse persone, tra cui rappresentanti diplomatici e pure la sorella, e a colloqui telefonici, anche con il padre.

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Cronache

Falso terapista accusato di stupro, vittima minorenne

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Accoglieva le sue pazienti all’interno di un finto studio allestito in una palestra di Fondi e, una volta solo con loro nelle stanze della struttura, le molestava nel corso di presunti trattamenti di fisioterapia, crioterapia e pressoterapia, facendo leva sulle loro fragilità psicologiche e fisiche affinché non raccontassero nulla. Dolori e piccoli problemi fisici che spingevano ciascuna delle vittime, tra cui anche una minorenne, a recarsi da lui per sottoporsi alle sedute, completamente all’oscuro del fatto che l’uomo non possedesse alcun titolo di studio professionale, né tanto meno la prevista abilitazione, e che non fosse neanche iscritto all’albo. È finito agli arresti domiciliari il finto fisioterapista trentenne di Fondi, per il quale è scattato anche il braccialetto elettronico, accusato di aver commesso atti di violenza sessuale su diverse donne, tra cui una ragazza di neanche 18 anni, e di aver esercitato abusivamente la professione.

Un’ordinanza, quella emessa dal giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Latina ed eseguita nella giornata di oggi dagli agenti del Comando Provinciale della Guardia di Finanza, arrivata al termine di un’indagine di polizia giudiziaria svolta su delega della Procura di Latina. Durata all’incirca un anno, quest’ultima ha permesso di svelare, attraverso le indagini condotte anche con accertamenti tecnici, acquisizioni di dichiarazioni ed esami documentali, i numerosi atti di violenza da parte dell’uomo nei confronti delle pazienti del finto studio da lui gestito. Tutto accadeva all’interno di un'”Associazione sportiva dilettantistica” adibita a palestra nella città di Fondi, nel sud della provincia di Latina: quella che il trentenne spacciava per il suo studio, sequestrata in queste ore dalle fiamme gialle quale soggetto giuridico formale nella cui veste è stata esercitata l’attività professionale, in assenza dei prescritti titoli di studio, della prevista abilitazione e della necessaria iscrizione all’albo, nonché dei locali, attrezzature e impianti utilizzati. Un’altra storia di abusi a Lodi.

Vittima una ragazza siriana di 17 anni arrivata in Italia per sfuggire alla guerra e al sisma del 2023: finita nelle mani dei trafficanti è stata sottoposta a violenze e maltrattamenti e poi abbandonata. La Polizia, coordinata dalla Procura di Lodi e dalla Procura presso la Direzione distrettuale antimafia di Bologna, ha arrestato i due aguzzini.

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Aggressione omofoba a Federico Fashion style, ‘botte e insulti’

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Preso a schiaffi e pugni sul treno e insultato da un passeggero solo perchè gay. Un’aggressione omofoba che ha visto sul treno Milano-Napoli vittima Federico Lauri, conosciuto come Federico Fashion Style, parrucchiere e volto tv. Lo racconta lui stesso sui social e un’intervista al Corriere della Sera on line. “Preso a schiaffi e pugni in faccia su un treno Italo davanti agli occhi di tutti — scrive Federico, che è anche un volto di Real Time —Essere insultato, denigrato e aggredito per l’orientamento sessuale è vergognoso. Vi prego smettetela di chiamare la gente fr… L’omosessualità non è una malattia». L’aggressione è avvenuta sul Milano Napoli all’altezza di Anagni. Il treno si ferma per un guasto, Lauri chiede informazioni e un passeggero prima lo insulta con frasi omofobe e poi lo picchia. Lauri finisce all’ospedale a Colleferro cn un trauma cranico e una prognosi di 15 giorni. Ora promette che denuncerà tutto. “Questa bestia mi ha dato un cazzotto, ma se avesse avuto un coltello mi avrebbe accoltellato -dice al Corriere- Il rischio è uscire di casa e non rientrare più. L’omofobia è la malattia, non l’omosessualità. Loro si devono curare”.

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Lo stupro di Palermo, la difesa vuole la vittima in aula

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Dentro l’aula è scontra tra accusa e difesa. Fuori dal tribunale di Palermo i familiari dei detenuti che arrivano con il pullman della polizia penitenziaria sono in attesa di salutare ‘i loro ragazzi’ mentre non lontano una decina di associazioni hanno dato vita ad un sit in per chiedere di essere ammesse come parti civili. Sono in aula cinque dei sei giovani indagati per lo stupro di gruppo a una 19enne avvenuto lo scorso 7 luglio a Palermo in un cantiere abbandonato del Foro Italico. Uno solo segue l’udienza in videoconferenza, collegato da una sala del carcere dove è recluso. Assente la vittima dello stupro, ospite in una comunità protetta, fuori dalla Sicilia. L’unico minorenne del branco è in un istituto minorile, dopo essere stato già condannato a 8 anni e 8 mesi in abbreviato. L’udienza preliminare davanti al gup Cristina Lo Bue per i sei maggiorenni – Elio Arnao, Cristian Barone, Gabriele Di Trapani, Angelo Flores, Samuele La Grassa e Christian Maronia – si apre in un clima di scontro aperto tra le parti. I legali degli indagati hanno già preannunciato le contromosse per ribaltare le accuse nei confronti dei loro assistiti.

La linea difensiva è chiara ed è legata alla richiesta di ascoltare nuovamente la vittima alla luce delle “nuove prove” che gli avvocati avrebbero raccolto. Alla prossima udienza chiederanno l’abbreviato condizionato a una nuova audizione della vittima, già ascoltata dal gip di Palermo Clelia Maltese due mesi fa nel corso dell’incidente probatorio. Il materiale raccolto dalla difesa già in un’udienza stralcio a marzo non era stato ammesso fra le carte del procedimento, ma i legali insistono. Secondo gli avvocati le nuove prove dimostrerebbero in sostanza che la giovane era consenziente. Una linea difensiva che non sorprende l’avvocato Carla Garofalo, legale della ragazza. “Questa è letteratura – spiega -, lo fanno in tutti i processi per stupro. Lo farei anche io, ma è improbabile perché mai difenderò un indagato per stupro. In ogni caso questa tesi è insostenibile, perché ci sono i filmati che parlano (i video girati con i cellulari dagli stessi indagati ndr)”.

La legale parla di “un ambiente tossico” attorno alla sua assistita “che a Pasquetta è stata pesantemente minacciata e aggredita” e denuncia “una campagna denigratoria nei confronti della ragazza durata tutta l’estate”. “Io, purtroppo – aggiunge -, sono entrata nel processo solo a gennaio per cui non ho potuto gestire e seguire la parte precedente”. L’avvocato Garofalo sottolinea anche lo stato di profonda prostrazione vissuto dalla giovane: “ha alti e bassi, momenti di angoscia e di speranza. Per fortuna abbiamo un buon rapporto. Sta raccogliendo i cocci di tutto lo sfacelo attorno a lei, con aggressioni continue. E a volte si chiede chi glielo ha fatto fare”. Attorno alla ragazza vittima dello stupro si sono strette una decina di associazioni che oltre a manifestare davanti al tribunale hanno chiesto di costituirsi parte civile, così come ha fatto il Comune di Palermo. Il Gup ha rinviato ogni decisione alla prossima udienza, fissata per il 29 aprile. Se il giudice non ammetterà l’abbreviato condizionato i legali degli imputati dovranno scegliere tra l’abbreviato “secco” o l’ordinario.

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