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Esteri

Usa e Gb accusano l’Iran: pagherà per l’attacco alla petroliera Mercer Street del miliardario Eyal Ofer

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Rullano i tamburi della minaccia e degli avvertimenti quasi ultimativi, se non quelli da improbabili venti di guerra aperta, fra l’Iran e il fronte dei governi occidentali dopo l’ultima “provocazione” attribuita a Teheran: il blitz sanguinoso denunciato nei giorni scorsi al largo dell’Oman contro la petroliera Mercer Street, gestita da Eyal Ofer, miliardario israeliano con sede operativa a Londra, attraverso la societa’ monegasca Zodiac Maritime. Un attacco rinfacciato direttamente alla Repubblica Islamica dapprima da Israele e poi anche da Usa e Regno Unito: che nelle ultime ore hanno alzato i toni in direzione del Paese degli ayatollah, anche in vista dell’insediamento alla presidenza del neo eletto Ebrahim Raisi, considerato espressione dei falchi, non senza ventilare apertamente ritorsioni a fronte delle quali gli iraniani si sono gia’ detti pronti a reagire a muso duro. L’Iran “dovra’ affrontare le conseguenze dell’inaccettabile e oltraggioso attacco” contro la Mercer Street, ha tuonato oggi Boris Johnson, associandosi al monito scagliato dall’amministrazione di Joe Biden. Nel raid – che stando a fonti israeliane e occidentali sarebbe stato condotto con droni esplosivi auto distruttisi sulla nave – sono morti due marittimi, uno dei quali di nazionalita’ britannica. E la dichiarazione di Johnson e’ stata diffusa da Downing Street dopo che il governo Tory aveva convocato al Foreign Office l’ambasciatore iraniano, Mohsen Baharvand, per formalizzare la propria protesta per quanto accaduto. Teheran deve “rispettare la liberta’ di navigazione” internazionale nel Golfo Persico e “io credo che debba affrontare le conseguenze di cio’ che ha fatto”, ha affermato il primo ministro di Sua Maesta’, parlando dell’episodio come di “un inaccettabile e oltraggioso attacco a una nave commerciale nel quale un cittadino del Regno Unito e’ morto”. Nelle ore precedenti era stato Anthony Blinken, segretario di Stato di Joe Biden, a evocare “una risposta appropriata” di Usa e “alleati” nei confronti dell’Iran: accusato da Washington di essere dietro il raid dell’altro giorno come di svariate altre azioni ostili “ingiustificate”. “Abbiamo prove d’intelligence che e’ stato l’Iran ad attaccare la nave” di Ofer (la cui famiglia in anni passati ha dovuto interrompere ogni parvenza di relazioni d’affari con partner iraniani dopo essere stata toccata da sospetti di violazione dell’embargo), aveva a sua volta sentenziato poco prima il premier israeliano Naftali Bennett. Lasciando immaginare da parte dello Stato ebraico nuove possibili ‘rappresaglie coperte’. Parole alle quali il portavoce del ministero degli Esteri di Teheran, Saeed Khatibzadeh, ha replicato in due tempi: ieri rinfacciando al “nemico sionista” di “lanciare accuse infondate come al solito”; e oggi sfidando anche “l’avventurismo” rimproverato a Washington e Londra. L’Iran – ha tagliato coro Khatibzadeh – “non esitera’ a proteggere la sua sicurezza e i suoi interessi nazionali e rispondera’ immediatamente, con decisione, a qualsiasi possibile prova di avventurismo” da parte di coloro che sono tornati a chiamarlo sul banco degli imputati.

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Trump spinge per il cessate il fuoco in Ucraina: “Ora Putin deve aprire ai colloqui diretti”

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Donald Trump ha deciso di accelerare i tempi. Dopo mesi di logoramento sul fronte, ora il presidente americano punta a ottenere da Vladimir Putin un’apertura concreta ai colloqui diretti, oltre a una tregua immediata e “senza condizioni” che apra la strada ai negoziati di pace. A dirlo chiaramente è stato lo stesso Trump, mentre da Mosca il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha dichiarato che la Russia è pronta a negoziare.

Il piano di Trump e la controproposta di Kiev

Mentre la Russia rivendica la completa riconquista della regione di Kursk, l’Ucraina propone come contromossa uno schieramento internazionale che impedisca futuri attacchi russi. Una misura di garanzia per evitare che la tregua si trasformi in una nuova aggressione. Nonostante le difficoltà militari, Volodymyr Zelensky sembra disposto a valutare un compromesso “dignitoso” per salvaguardare l’indipendenza ucraina dopo tre anni di guerra.

Il compromesso proposto da Kiev prevede:

  • La difesa della sovranità nazionale senza limitazioni sull’esercito.

  • L’utilizzo degli asset russi congelati in Occidente per il risarcimento dei danni di guerra.

L’ombra della resa dei conti e la pressione di Trump su Putin

Trump, incontrando Zelensky a Roma all’ombra della Cupola di San Pietro, ha fatto capire che il tempo stringe. Ammette apertamente il sospetto che Putin voglia “continuare la guerra” per logorare la situazione e far perdere tempo agli Stati Uniti. Una strategia che Trump non intende subire, rilanciando l’obiettivo di concludere la guerra nei primi 100 giorni della sua presidenza.

L’annuncio della riconquista russa della regione di Kursk, accompagnato dal primo riconoscimento ufficiale dell’uso di truppe nordcoreane da parte di Mosca, alimenta le preoccupazioni. Ma allo stesso tempo, la Russia continua a mostrare difficoltà economiche profonde nonostante il regime autarchico tenti di nascondere la crisi.

Il difficile equilibrio: salvare l’onore per tutti

Per Trump, per Putin e per Zelensky l’obiettivo è quello di poter dichiarare una vittoria:

  • Trump vuole essere il presidente che ha portato la pace.

  • Putin vuole presentarsi come il difensore della “Madre Russia” contro l’Occidente.

  • Zelensky vuole salvaguardare la sovranità e l’onore nazionale.

Il 9 maggio, data simbolica della vittoria sovietica sul nazismo, si avvicina. Putin punta a presentarsi come vincitore, ma senza un vero accordo, la guerra rischia di continuare nel logoramento reciproco.

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Trump e Zelensky si parlano, prove di pace a San Pietro

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I primi spiragli per la pace in Ucraina, tanto invocati da papa Francesco, potrebbero essersi aperti proprio nel giorno dell’ultimo saluto al pontefice, a San Pietro. Donald Trump e Volodymyr Zelensky, due mesi dopo il burrascoso incontro allo studio ovale, si sono ritrovati faccia a faccia tra le navate della basilica, poco prima dell’inizio dei funerali di Bergoglio: un colloquio di 15 minuti, definito “costruttivo” da entrambe le parti, immortalato da una foto che ha fatto il giro del mondo. In Vaticano il leader ucraino è stato protagonista di un altro scatto simbolico, insieme a Trump, Emmanuel Macron e Keir Starmer, poi ha incontrato anche Giorgia Meloni e Ursula von der Leyen, per provare a ricompattare l’alleanza transatlantica al fianco di Kiev. E qualcosa sembra effettivamente muoversi.

Gli ucraini sul piatto hanno messo una controproposta al piano della Casa Bianca, per ottenere garanzie di sicurezza a guerra finita, ricevendo delle aperture da Washington. Quanto alla Russia, il Cremlino ha annunciato di aver ripreso il completo controllo della regione di Kursk, ed alla luce di questa svolta si è detto pronto a riprendere i colloqui con gli ucraini “senza precondizioni”. I capi di stato e di governo arrivati a Roma per i funerali del Papa, pur nel rispetto della solennità dell’evento, hanno avuto l’occasione per brevi scambi di vedute su alcune delle principali crisi ancora aperte.

Zelensky, dopo aver messo in forse fino all’ultimo la sua presenza, è riuscito a raggiungere la capitale per onorare il pontefice e per ritrovare i partner occidentali, soprattutto Trump. L’immagine è quella di due leader seduti uno di fronte all’altro, vicinissimi, che discutono animatamente con espressione seria. Al termine, entrambe le parti si sono dette comunque soddisfatte. “Molto produttivo”, è stato il commento della Casa Bianca. “Un incontro simbolico che potrebbe diventare storico se si raggiungessero i risultati sui punti discussi”, ha sottolineato Zelensky. Se non altro, c’è stato un riavvicinamento dopo quel drammatico 28 febbraio, quando il presidente ucraino era stato cacciato dalla Casa Bianca.

Rispetto ai nodi sul tavolo il New York Times ha fatto filtrare la posizione ucraina, che punta a mitigare la proposta americana, considerata troppo favorevole a Mosca. Kiev in particolare chiede di non limitare le dimensioni del proprio esercito e che in territorio ucraino venga schierato un contingente di sicurezza europeo sostenuto dagli Usa, per scoraggiare future aggressioni russe. In quest’ottica l’adesione a breve alla Nato non sembra più una priorità: lo stesso Zelensky ha ammesso che in questa fase bisogna essere “pragmatici”.

E la risposta di Washington sulle garanzie di sicurezza sarebbe stata positiva. Sempre secondo fonti giornalistiche, gli Usa si sono offerti di fornire intelligence e supporto logistico ad un contingente europeo di peacekeeper. Andando incontro alle richieste di Londra e Parigi, che di questa missione militare sarebbero capofila nell’ambito della coalizione dei volenterosi.

Riguardo alla Russia, invece, Trump ha inviato segnali contrastanti. Da una parte ha accolto con favore gli esiti dell’ultimo incontro a Mosca tra Steve Witkoff e Vladimir Putin, sostenendo che l’accordo tra le due parti in conflitto sarebbe ad un passo. Poi però ha insinuato che Putin lo stia “prendendo in giro”, tergiversando sulla tregua, ed è tornato a minacciarlo di nuove sanzioni. A complicare le cose c’è anche la questione dei territori. Perché gli americani sarebbero disposti a lasciare tutto alla Russia, dalla Crimea alle altre quattro regioni ucraine occupate.

Mentre Kiev, almeno sulla carta, non è disposta a concessioni. Zelensky, prima di qualunque negoziato, chiede innanzitutto un cessate il fuoco completo. E su questo punto ha ottenuto la sponda degli alleati europei nei colloqui a Roma a margine dei funerali del Papa. “Mosca dimostri concretamente che vuole la pace”, sono state le parole della premier Meloni dopo l’incontro con il leader ucraino.

“Ora tocca al presidente Putin”, le ha fatto eco il presidente francese Macron, riferendo che è stato avviato “un lavoro di convergenza” tra i volenterosi, Kiev e Washington per arrivare ad “una tregua solida”. L’Ue, infine, ha ribadito il “sostegno” all’Ucraina “al tavolo delle trattative”, ha assicurato a Kiev la presidente della Commissione von der Leyen.

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Pakistan, uccisi almeno 15 militanti talebani nel nord-ovest

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Le forze della sicurezza pachistane hanno ucciso 15 combattenti appartenenti al Tehrik-e-Taliban Pakistan (Ttp) in tre distinte operazioni nella provincia nord-occidentale del Khyber Pakhtunkhwa (Kp). Lo rendono noto i militari, precisando che le operazioni sono state condotte nel distretto di Karak, nel Waziristan settentrionale ed in quello meridionale. Armi e munizioni sono state recuperate dai combattenti uccisi, che, secondo le stesse fonti, erano coinvolti in numerose attività terroristiche.

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