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Ursula sente Giorgia: bene, ma con Trump tratto io

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Qualsiasi passo per facilitare i rapporti transatlantici è il benvenuto, ma la trattativa non può che restare in capo alla Commissione. All’indomani della missione di Giorgia Meloni a Washington, Ursula von der Leyen non cambia la linea che ha adottato sin dai giorni che precedevano il viaggio oltreoceano della presidente del Consiglio italiana. Un viaggio che, stando a quanto raccontano fonti europee, non ha certo intaccato gli ottimi rapporti tra la presidente dell’esecutivo Ue e Meloni. Le due leader si sono confrontate, come da accordi, prima e dopo l’incontro alla Casa Bianca.

Una missione “positiva”, spiegano fonti della Commissione, sottolineando come l’iniziativa italiana abbia rappresentato un’ulteriore “chance per costruire ponti” tra le due sponde dell’Atlantico. Von der Leyen, quindi, ha incassato l’assist che Meloni le ha porto grazie alla sua ‘special relationship’ con Donald Trump. Non poteva fare altrimenti, anche perché c’è un dato da non sottovalutare: da quando il presidente americano è alla Casa Bianca i contatti con von der Leyen sono stati inesistenti. E non è un caso che, nell’incontro con la stampa allo Studio Ovale, Trump abbia parlato di interlocuzioni con alcuni leader europei, senza neppure nominare i vertici comunitari.

Da qui, il ragionamento che circola al tredicesimo piano di Palazzo Berlaymont: qualsiasi tentativo di agevolare il negoziato tra Washington e Bruxelles da parte di un singolo capo di Stato o di governo non può essere ignorato. Le immagini del bilaterale tra Meloni e Trump sono state vagliate con attenzione dall’inner circle di von der Leyen. La sensazione, viene spiegato, è stata positiva. Nessuna parola fuori sincrono è arrivata da Meloni. E il dato è stato particolarmente apprezzato. La telefonata tra von der Leyen e Meloni è arrivata poco dopo l’incontro della premier con il vice presidente americano J.D. Vance a Roma. È stata una conversazione breve, focalizzata sul punto più delicato dell’attualità europea: la guerra dei dazi.

A Bruxelles hanno ben presente un calendario che non prevede eccezioni: il 23 aprile si chiuderà la procedura scritta che formalizzerà la sospensione delle tariffe anti-Usa da parte dell’Ue. Da allora, sul tavolo, ci sono 90 giorni per negoziare. La deadline cadrà a metà luglio. Ovvero dopo due occasioni nelle quali von der Leyen e Trump avranno finalmente la possibilità di incontrarsi. La prima, in Canada, dove avrà luogo il summit del G7. La seconda a L’Aja, in occasione del vertice Nato. Entrambe cadono a giugno. Ed è dopo il secondo appuntamento che gli sherpa europei e americani potrebbero inserire l’atteso summit tra Trump e i vertici Ue. Magari proprio a margine del Consiglio europeo che si terrà subito dopo il summit Nato nei Paesi Bassi. Nel frattempo, spiegano a Bruxelles, proseguono i colloqui tecnici tra l’amministrazione Trump e l’Ue sul fronte dei dazi.

Un punto, per la Commissione, resta invariato: l’obiettivo è trovare un’intesa che eviti danni all’economia globale ma, allo stesso tempo, le contromisure, in caso di fallimento della trattativa, restano sul tavolo. Ed è qui che, nel ragionamento di von der Leyen, le posizioni della presidente della Commissione e di Meloni sono chiamate a separarsi. La missione dell’italiana, viene spiegato, è stata “un’occasione utile per creare ulteriori ponti” con l’amministrazione Trump “nel rispetto dei diversi ruoli, come già affermato dalla stessa Meloni”. Il negoziato, questo il punto sul quale la Commissione non arretrerà, resta in capo a Palazzo Berlaymont. Lo prevedono i Trattati e il ruolo di sintesi al quale è chiamata la stessa von der Leyen. Le sensibilità tra i 27 restano diverse. Sulla missione di Meloni le cancellerie europee hanno mantenuto un prudente silenzio. A parlare sono state le testate dei grandi Paesi del Vecchio continente. I più scettici sono stati il francese Le Monde e lo spagnolo El Pais. Non è un caso. Toccherà a von der Leyen e al presidente del Consiglio europeo Antonio Costa trovare un punto di equilibrio sulla strategia da adottare nel negoziato con gli Usa. Forse in un summit ad hoc, da tenersi a maggio, subito dopo che la Germania avrà formalizzato il suo governo.

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Musumeci: nei Campi Flegrei si procede senza regime straordinario

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L’attività prevista dal governo nei Campi Flegrei può proseguire con gli strumenti normativi speciali vigenti, senza che si ricorra, almeno per ora, al regime straordinario di emergenza. È questo l’esito della istruttoria dei tecnici del dipartimento nazionale della Protezione civile, condotta su richiesta del ministro Nello Musumeci. Lo si legge in una nota. “Ribadisco la massima attenzione e l’impegno del governo verso la popolazione di quell’area. E mi auguro -sottolinea il ministro Musumeci- che le lentezze più volte lamentate dalle istituzioni del territorio possano essere superate nel più breve tempo possibile. È questo un compito di coordinamento e di vigilanza che il dipartimento nazionale saprà svolgere con tutto l’impegno possibile”.

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Meloni fuori dai Volenterosi, è scontro con Macron

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Una nuova riunione, una nuova foto, una distanza che si fa strappo e sfocia in uno scontro aperto con Parigi. Giorgia Meloni e la Coalizione dei Volenterosi a sostegno dell’Ucraina non sono mai stati così lontani. Dopo il viaggio a Kiev di Emmanuel Macron, Keir Starmer, Friedrich Merz e Donald Tusk, a Tirana i quattro leader si concedono un bis. Accade a margine del vertice della Comunità Politica Europea.

In Albania c’è Volodymyr Zelensky, nelle medesime ore i colloqui tra la delegazione russa e quella ucraina confermano la scarsa concretezza del tavolo di Istanbul. I leader di Francia, Regno Unito, Germania e Polonia si riuniscono con il presidente ucraino e tutti e cinque sentono Donald Trump. La foto del loro incontro rimbalza ovunque, come quella di Kiev. E l’Italia non c’è. A dispetto di quanto avvenuto nella capitale ucraina l’assenza di Meloni a Tirana è apparsa più evidente. Il 10 maggio la premier si era comunque collegata alla riunione.

In Albania i 4 leader nordeuropei si sono riuniti a pochi metri dalla presidente del Consiglio, che come tutti gli altri era nelle sale che ospitavano le tavole rotonde previste dalla riunione della Cpe. La sua assenza è subito entrata nel mirino delle opposizioni in Italia e, forse anche per questo, Meloni ha deciso di intervenire. Con un rapido punto stampa, nel quale la premier ha messo in chiaro la sua linea: “L’Italia non è disponibile a inviare truppe in Ucraina e non avrebbe senso partecipare a formati che hanno degli obiettivi sui quali non abbiamo dichiarato la nostra disponibilità”. Parole sulle quali, poco dopo, si soffermato Macron. Smentendo che si sia parlato di invio delle truppe sia a Tirana sia nell’incontro di domenica con Zelensky a Kiev.

“La discussione è sul cessate il fuoco, guardiamoci dal divulgare false informazioni, ce ne sono a sufficienza di quelle russe”, ha tenuto a precisare l’uomo dell’Eliseo. Il botta e risposta conferma un gelo che a Tirana era parso già evidente. Basta guardare un altro scatto del summit, quello che ritrae Meloni, Tusk, Starmer e questa volta Ursula von der Leyen parlare con Zelensky prima della sessione plenaria dell’incontro. Quando Macron non era ancora arrivato. Il nuovo incontro dei Volenterosi ha tuttavia visto emergere un ulteriore elemento, il rinnovato asse con Trump sull’Ucraina.

“Continueremo a lavorare insieme. Il compito principale è mantenere l’unità dei partner europei e americani intorno alla questione”, hanno dichiarato i quattro leader dopo l’incontro, definendo “inaccettabile” il rifiuto del cessate il fuoco da parte del Cremlino. I contatti, ha spiegato Macron, continueranno nei prossimi giorni. E il presidente francese, in conferenza stampa, ha anche evocato la possibilità di un nuovo colloquio telefonico tra Trump e Vladimir Putin. Sullo Zar l’intenzione di Europa e Usa è quella di accrescere la pressione.

“Noi vogliamo la pace, e per questo dobbiamo aumentare le sanzioni”, ha incalzato von der Leyen anticipando che il nuovo pacchetto – coordinato con Washington – includerà il divieto di accesso a Nord Stream 1 e 2, l’abbassamento del prezzo del petrolio grezzo e misure finanziarie contro le banche russe. Meloni ha ribadito che “non bisogna gettare la spugna” e che “serve insistere sulla pace e sulle garanzie di sicurezza per Kiev”.

Ha lodato “l’eroismo” del popolo ucraino e e si è unita alla condanna dell’assenza di Putin a Istanbul. Ma il suo rapporto con i Volenterosi sull’Ucraina appare ora incrinato. Probabilmente la premier tornerà a discuterne con Merz nel bilaterale di Roma. Nel frattempo, le opposizioni sono passate all’attacco parlando di “umiliazione”. Ai vertici “è un fantasma, ha messo l’Italia in panchina”, ha sottolineato Giuseppe Conte. “E’ un’influencer ininfluente”, ha chiosato Matteo Renzi. “E’ ancora fuori dai tavoli che contano”, ha aggiunto Angelo Bonelli di Avs. Parole alle quali la premier ha replicato con durezza: “A chi si lamenta, all’opposizione ad esempio, chiedo la mia stessa chiarezza: ci si chiede di partecipare a questi formati perché dobbiamo mandare le truppe in Ucraina o perché dobbiamo farci una foto e poi dire di no? Io sono una persona seria”.

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Il prefetto Michele di Bari smentisce ipotesi di candidatura in Campania: notizia falsa

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Smentire una notizia può equivalere a rilanciarla. Lo dimostra quanto accaduto con il prefetto di Napoli, Michele di Bari, che ha deciso di intervenire pubblicamente per negare un’indiscrezione circolata online: il suo nome sarebbe stato incluso in una rosa di possibili candidati alla presidenza della Regione Campania per conto del centrodestra. Una notizia che lo stesso prefetto ha definito «totalmente destituita di fondamento».

Le parole nette del Prefetto

«Ritengo doveroso, per spirito di verità, comunicare che la notizia è totalmente destituita di fondamento – ha affermato Di Bari –. Né lo scrivente ha mai parlato di questa vicenda, né pertanto poteva esserci alcuna disponibilità». Con queste parole, il prefetto ha voluto chiudere ogni spiraglio interpretativo sulla questione.

L’impegno a Napoli e la distanza dalla politica

Michele di Bari ha poi ribadito il proprio attaccamento al ruolo istituzionale e alla città in cui opera: «Sono impegnato in un lavoro straordinario in una Città straordinaria che desidero concludere senza alcuna interferenza politica». Un chiaro messaggio per confermare la volontà di tenersi fuori da qualunque ipotesi di candidatura.

Possibili conseguenze legali

La dichiarazione si conclude con un passaggio che lascia intravedere sviluppi giuridici: «Ovviamente, saranno valutati anche gli eventuali profili legali della vicenda». Parole che sembrano annunciare verifiche sul fronte della diffusione della notizia ritenuta non veritiera.

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