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Economia

Unicredit al 4,1% in Generali, ago nella partita del Cda

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Unicredit possiede direttamente il 4,1% di Assicurazioni Generali e gestisce per conto dei propri clienti un ulteriore 0,6%. La banca guidata da Andrea Orcel scopre così le sue carte. E assicura che l’acquisto, accumulato nel tempo, è un “puro investimento finanziario”. E’ chiaro però che le azioni in suo possesso arrivano sul tavolo nel quale due gruppi contrapposti stanno per iniziare il confronto per il controllo di Generali. Nella partita per il rinnovo del Cda della compagnia triestina si scende in campo per l’assemblea dell’ 8 maggio. La data si avvicina e le squadre già iniziano a scaldarsi: da una parte ci sarà Mediobanca che con l’aiuto dei fondi esteri ha vinto l’ultima sfida; dall’altra i gruppi Delfin e Caltagirone che, pur se autonomi, spesso hanno condiviso e condividono valori e battaglie. Così le scelte che farà Unicredit potrebbero essere decisive, un vero e proprio ago della bilancia. Ma è presto per dire dove sposterà il proprio peso.

L’ingresso di Unicredit in Generali è con una quota di tutto rispetto, che ai valori di borsa attuali vale circa 2 miliardi. E’ filtrato sabato in tarda serata ed ha trovato conferme nel comunicato ufficiale diffuso domenica dalla banca. “La quota, acquisita nel tNon si empo sul mercato, è un puro investimento finanziario della banca che supera in modo significativo le sue metriche di rendimento e ha un impatto trascurabile sul CET1”, scrive l’istituto per spiegare che l’obiettivo è quello di ottenere un buon rendimento, senza intaccare gli equilibri finanziari dei propri conti. Il governo segue le diverse operazioni ma, soprattutto, è in attesa che sulle diverse sfide in campo ci sia il doveroso giudizio delle authority chiamate in ballo: dalla Consob alla Bce all’Antitrust. Al momento per Unicredit si tratta di un investimento, dal quale Orcel dice di aspettarsi solo un ritorno economico e superando il 3% dovrà essere comunicato alla Consob entro 4 giorni di apertura dei mercati. Unicredit, lo dice chiaramente, tiene invece a Commerz e a Banco Bpm. “UniCredit – assicura la società – non ha un interesse strategico in Generali e rimane pienamente concentrata sull’esecuzione del piano UniCredit Unlocked, sull’offerta di scambio in corso su Banco Bpm e sull’investimento in Commerzbank”. Di certo le diverse partite si intrecciano con la nomina del Cda di Generali.

La fotografia scattata ora, che ovviamente potrebbe cambiare ancora, indica che Mediobanca alla prossima assemblea di Generali arriverà con il 13,1% del capitale e, questa volta, non ci sarà la cosiddetta ‘lista del Cda’ che aveva appoggiato e orientato. Dall’altra parte i gruppi Delfin della famiglia Del Vecchio, con il 9.93%, e Caltagirone, con il 6,92%, uniti hanno più del 16%. Il risultato dipenderà da tanti aspetti. E’ difficile semplificare. Ma appare chiaro che lo spostamento del 4,1% di Unicredit sarà un vero e proprio ago della bilancia. La politica, ovviamente, non sta a guardare. E il puzzle finanziario secondo qualche chiave di lettura vedrebbe i tasselli combaciare in un quadro inimmaginabile fino a poche settimane fa. Del resto il governo non ha nascosto il proprio favore all’operazione Mps-Mediobanca, che guarda a consolidare anche la governance e il risparmio ‘italiano’ in pancia a Generali. Sempre il governo invece non ha ancora espresso la propria valutazione per il golden power sull’Opas di Unicredit su Banco Bpm, che certo ha sorpreso e non è stata ben accolta da una parte della maggioranza, in particolare dalla Lega. C’è poi il dossier Commerz nel quale le diplomazie tra Stati hanno un certo impatto. Come dire, politica e finanza sembrano intrecciarsi. E Unicredit con la sua quota a sorpresa in Generali sembra lanciare messaggi e non certo per giocare un ruolo di retroguardia.

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Economia

Mediobanca alza gli obiettivi e non teme rilancio di Mps

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Mediobanca archivia il primo semestre dell’esercizio 2024-2025 con risultati record e può così migliorare gli obiettivi del piano triennale. Dopo aver visto aumentare l’utile netto a 659,7 milioni (+8%), dei quali 240,5 milioni generali dalla quota detenuta in Generali, e i ricavi a 1.847,7 milioni (+6,8%), l’istituto milanese finito nel mirino di Mps ha rivisto al rialzo i suoi target. Ha di fatto confermato quelli di quest’anno, alla luce anche dell’avvio brillante, e alzato quelli del prossimo esercizio. I ricavi sono stati vengono portati a circa 4 miliardi dagli iniziali 3,8 miliardi, l’utile netto oltre 1,4 miliardi rispetto a 1,3 miliardo preventivati e il payout a circa il 100%. E’ prevista di conseguenza una distribuzione totale cumulata nei 3 anni oltre 4 miliardi dal target iniziale di 3,7 miliardi. Nel dettaglio verranno distribuiti nell’ultimo anno del piano 300/400 milioni di dividendi in contanti in più (+40%) e la cedola per azione salirà quindi da 1,2 euro del consensus a 1,7/1,8 euro.

Nel diffondere il risultati dove hanno brillato, soprattutto nel secondo trimestre, il wealth management a un anno dal battesimo di Mediobanca Premiere e l’investment banking grazie anche dalla ripresa dell’M&A, l’istituto di Piazzetta Cuccia non manca di ribadire il suo no netto all’offerta pubblica di scambio annunciata dal Mps. L’amministratore Alberto Nagel va oltre e definisce l’offerta “innaturale” sostenendo la totale carenza di contenuti sia industriali sia finanziari come del resto pensano, riferisce il banchiere, gli investitori istituzionali, molti dei quali sono azionisti anche del Monte dei Paschi. In ogni caso l’istituto non teme che un rilancio possa far cambiare il sentiment del mercato e renderlo più favorevole ad aderire all’ops. “Non temiamo nulla”, assicura perché “se guardiamo alle proposte che ci vengono rivolte con occhio disincantato nell’interesse dei nostri azionisti” e “paragoniamo la proposta che ci è arrivata, ed altre proposte che dovessero arrivare sempre dallo stesso offerente o altre ancora, comparandola con quello che la banca può fare su base stand-alone” “la barra di riferimento è molto alta”.

Mediobanca infatti “ha a una storia di crescita dei ricavi, degli utili e delle distribuzioni ai soci, una solidità che è molto difficile possa essere migliorata o battuta all’interno di una banca che non ha il nostro dna e che non presenta le sinergie che noi immaginiamo debba presentare”, conclude ribadendo che non c’è preoccupazione. L’altro tema caldo sulla quale si concentrano le domande dei giornalisti, alla viglia della conference con gli analisti, è Generali della quale Piazzetta Cuccia è il principale azionista con il 13,1% davanti a Francesco Gaetano Caltagirone e alla Delfin degli eredi Del Vecchio, ossia gli stessi soci di Mediobanca e di Mps. Nagel ammette che in mancanza di una lista del cda uscente del gruppo assicurativo, la banca dovrà presenterà una propria lista per il rinnovo del board all’assemblea dell’8 maggio.

Le ragioni, ricorda sono due. La prima è tutelare l’ investimento e quindi concorrere a nominare consiglieri che meglio lo tutelino come dimostrano i risultati finora conseguiti e il nuovo piano presentato dal ceo di Generali Philippe Donnet. Il secondo motivo è legato invece al fatto che senza un proprio rappresentante nel nuovo board Mediobanca non può consolidare Generali ad equity né avere l’attuale trattamento prudenziale. Non un vero Danish compromise – che consente un trattamento favorevole delle partecipazioni assicurative nei requisiti patrimoniali di una banca – ma, lo definisce Nagel, “un suo parente stretto”. “Avremmo preferito che questo tipo di iter lo avesse fatto la compagnia, perché questo succede in tutto il mondo. Da noi non può succedere, ce ne rammarichiamo e provvederemo ad agire di conseguenza”, indica.

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Si lavora a nuova rottamazione, opportunità per quater

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Nuova chance per la rottamazione quater: chi è decaduto per il mancato pagamento di una rata potrà essere riammesso al beneficio. E’ la mano tesa che arriva con un emendamento dei relatori al decreto milleproroghe. Una mossa che manda su tutte le furie le opposizioni, pronte a bloccare i lavori sul provvedimento. E si concretizza proprio mentre è allo studio una possibile nuova rottamazione. Al Ministero dell’Economia ci stanno lavorando Giorgetti e la Ragioneria: lo scopo è trovare il metodo per andare incontro a chi non ha potuto pagare per necessità e non per scelta. Rottamazione su cui intanto la Lega intensifica il pressing, convocando un nuovo consiglio federale con al primo punto dell’ordine del giorno proprio la sanatoria delle cartelle e la pace fiscale, definita da Matteo Salvini una “emergenza nazionale”.

Dopo il fuoco di fila degli ultimi giorni, il leader leghista sferra dunque l’affondo e alza la posta nella partita anche con gli altri partiti del centrodestra, che non si dicono contrari alla rottamazione, ma puntano su altre priorità. La Lega riunirà mercoledì – quando il vicempremier sarà tornato a Roma dopo il viaggio in Israele – il consiglio federale, cui parteciperà come sempre anche il titolare del Mef Giorgetti. La discussione inizierà dalla rottamazione, su cui la Lega ha presentato una proposta di legge in Parlamento che prevede 120 rate tutte uguali in dieci anni, senza sanzioni e interessi. Il nodo restano le coperture, ma dal Mef arrivano segnali di apertura. “Vorrei sgombrare il campo da un equivoco: sono d’accordo su una nuova rottamazione”, dice il viceministro di FdI e padre della riforma fiscale Maurizio Leo, che però non abbandona la sua tradizionale prudenza: “Sono interventi da fare alla luce delle osservazioni della Ragioneria”, “poi ci sarà una sintesi politica”.

E a fugare i dubbi degli alleati di governo è il sottosegretario leghista Federico Freni: “Nessuna smania, la rottamazione non è un capriccio della Lega”, assicura, “la bussola è il programma del centrodestra, di cui era ed è parte integrante “una seria pace fiscale”. Sul tema Fratelli d’Italia non chiude, ma con la dovuta cautela. “Poiché pare che la rottamazione costi svariati miliardi”, a questo punto “è il ministro dell’Economia Giorgetti, che dovrebbe spiegarci come si può coprire il costo di questa rottamazione”, dice il responsabile economico Marco Osnato. Che comunque conferma come storicamente nel centrodestra nessuno sia contrario: per cui, “se ci fossero le condizioni saremmo tutti entusiasti di farla”. Favorevole è anche Forza Italia, che pure è al lavoro da tempo per una nuova rottamazione: ma per gli azzurri resta “prioritaria – ricorda Maurizio Gasparri – anche la riduzione dell’Irpef” al ceto medio. Intanto le prime novità sul fronte fiscale arrivano dal milleproroghe. Un emendamento dei relatori riapre la rottamazione quater per chi, non avendo pagato una rata, è decaduto dal beneficio: potrà essere riammesso presentando “entro il 30 aprile 2025” una nuova dichiarazione di adesione.

La misura, si legge nella relazione tecnica, ha un impatto di oltre 126 milioni in 10 anni. Nella proposta spunta anche il rinvio di due mesi (dal 31 luglio al 30 settembre) del termine per aderire al secondo step del concordato biennale. Una doppia mossa contro la quale le opposizioni alzano le barricate, e chiedono il ritiro dell’emendamento. “Se non tolgono il fisco dal tavolo è impossibile procedere”, avverte il Pd. Un altolà che ritarda ancora l’avvio delle votazioni in commissione Affari costituzionali. Il nuovo rinvio è per domani alle 12. Intanto, visto l’intervento dei relatori sulla rottamazione, sembra a questo punto destinato a non sopravvivere l’unico emendamento leghista rimasto in piedi sulla rottamazione, per riaprire la quater fino a fine 2023, con il pagamento in massimo 18 rate.

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Vino: oltre 1.000 aziende italiane a Salone Wine Paris

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Si apre oggi l’edizione 2025 di Wine Paris, il grande salone francese dedicato al vino e ai distillati. La rassegna si terrà fino al 12 febbraio negli spazi di Paris Expo, alla Porte de Versailles. La partecipazione italiana, si legge in una nota diffusa dall’agenzia ICE, è anche quest’anno, molto significativa: in totale, le aziende rappresentative del Made in Italy al Wine Paris 2025 saranno oltre 1.000, occupando integralmente la Hall 6 del parco espositivo e posizionando l’Italia come seconda nazione più rappresentata subito dopo la Francia, con circa il 20% degli espositori presenti alla Fiera. L’Agenzia ICE conferma la sua partecipazione al salone con una delegazione di aziende italiane in significativa crescita rispetto allo scorso anno: 145 produttori italiani animeranno il Padiglione Italia, su un’area espositiva di circa 1.450 mq nelle Hall 6 e 5.

Nella giornata d’apertura, è atteso il Ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, che insieme all’Ambasciatore d’Italia in Francia, Emanuela D’Alessandro, al Presidente dell’Agenzia ICE, Matteo Zoppas e al Presidente della Commissione Agricoltura della Camera dei Deputati, on. Mirco Carloni, deve inaugurare il Padiglione Italia salutando tutte le aziende italiane espositrici. Il Salone Wine Paris, a cui sono attesi più di 5.300 espositori, provenienti da oltre 50 paesi, e 50.000 visitatori. è divenuto u riferimento europeo ed internazionale per i più importanti operatori del settore vinicolo, ben oltre i confini francesi.

L’Italia, con oltre 7.7 miliardi di euro nel 2023, é il secondo Paese al mondo, dopo la Francia, per esportazione di vini con una quota di mercato globale del 21,5% nel 2023. La Francia rappresenta per l’Italia il 6° mercato di sbocco per le esportazioni di vino italiano: nel 2023 l’Italia ha esportato vini in Francia per un valore di 307 milioni di euro: +7,05% rispetto al 2022 e ben +48,56% in 4 anni rispetto ai valori registrati nel 2019. Per quanto riguarda liquori e distillati, l’Italia é il settimo esportatore al mondo con una quota di mercato del 4,4%, dunque un valore complessivo di esportazioni pari a 1.671 miliardi nel 2023. La Francia rappresenta per l’Italia il 4° mercato per l’acquisto di liquori e distillati italiani, con un export italiano che ha raggiunto un valore pari a 112 milioni nel 2023, segnando una crescita di quasi il +19,1% rispetto al 2022.

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