“Fammi questo favore…”. E’ il 25 luglio scorso e dallo Studio Ovale Donald Trump sta parlando al telefono con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, fresco di elezione. Il favore in questione riguarda l’avvio di un’indagine su Joe Biden, il probabile avversario del tycoon alle presidenziali del 3 novembre 2020. E la conferma arriva dalla trascrizione della chiamata tra i due leader, diffusa dalla Casa Bianca dopo l’annuncio dell’apertura alla Camera di un’inchiesta formale di impeachment. “Un atto di guerra”, lo definisce il tycoon che reagisce proprio mentre a margine dell’Assemblea generale dell’Onu, a New York, incontra Zelensky che, di fatto, lo difende: “Nessuno ha fatto pressioni su di me. E’ stato un colloquio normale, abbiamo parlato di molte cose”, ha affermato il leader ucraino, chiedendo di non essere coinvolto in una polemica politica tutta americana. Anche il tycoon nega ogni forma di pressione o ricatto nei confronti di Kiev: “E’ solo una fake news, una bufala, il proseguimento della piu’ grande caccia alle streghe della storia americana. Nessun presidente è stato mai trattato cosi’ male”. Ma i democratici parlano di ‘smoking gun’, la pistola fumante: quelle cinque paginette rappresenterebbero la prova definitiva che il presidente si e’ macchiato del gravissimo reato di abuso di potere a fini politici personali, mettendo tra l’altro a rischio la sicurezza nazionale. In una parola, “tradimento”. Lo dice chiaramente la riluttante speaker Nancy Pelosi nell’annunciare il grande passo dopo mesi e mesi di cautela. Mentre Hillary Clinton esulta: “E’ un traditore, si’ all’impeachment”.
Intanto in Congresso arrivano anche le carte della denuncia dello 007 che con le sue informazioni ha scatenato lo scandalo. Nella telefonata, secondo il transcript diffuso, Trump chiese ripetutamente a Zelensky di contattare il ministro della giustizia americano William Barr (che si dice all’oscuro di tutto) e il legale personale del tycoon Rudy Giuliani per discutere la possibile riapertura a Kiev di un’indagine per corruzione a carico di Joe Biden e di suo figlio. Una vicenda legata alla presenza del figlio dell’ex vicepresidente nel board di una societa’ ucraina. Del resto Trump ha sempre accusato Biden di aver fatto pressioni su Kiev perche’ seppellisse l’inchiesta, pena il taglio degli aiuti Usa. E nella conferenza stampa prima di ripartire da New York e’ tornato a chiedere al Congresso che faccia trasparenza anche sull’ex vice presidente e la sua famiglia. “Fammi questo favore”, dice in un passaggio della telefonata il tycoon, “si parla molto di Biden e suo figlio e di come Biden abbia bloccato un’indagine, e molte persone vogliono sapere come e’ andata veramente… Qualunque cosa puoi fare e’ molto importante che tu la faccia, se e’ possibile”, insiste Trump.
Che pero’ nella telefonata non lega esplicitamente alla richiesta la concessione degli aiuti Usa a Kiev. E’ questo uno dei primi passi dell’indagine alla Camera: capire se anche dopo la telefonata le pressioni di Trump e dei suoi continuarono sotto forma di ricatto, visto che alcuni giorni prima il tycoon aveva bloccato dei fondi destinati all’Ucraina. Quella dell’impeachment e’ comunque una strada lunga e complessa che, se si dovesse arrivare al processo in Senato, potrebbe chiudere la carriera politica di Trump. Ma la posta in gioco e’ altissima anche per i democratici, a lungo divisi sul da farsi. La bomba dell’indagine piomba sulla fase finale della campagna elettorale per le elezioni presidenziali del 2020, e in molti temono un ‘Clinton 2.0′: una lunga battaglia per l’impeachment conclusasi poi nel nulla. Del resto in questo clima infuocato il tycoon, per indole e temperamento, potrebbe trovarsi piu’ a suo agio. E chi gli sta attorno racconta che in fondo l’evolversi della vicenda non lo turba piu’ di tanto, convinto che tutto si sgonfiera’ come per il Russiagate, facendogli conquistare la rielezione. Il famoso boomerang temuto da una Nancy Pelosi costretta a cedere alla battagliera sinistra del partito.
Dopo una lunga e dolorosa malattia è morto a Mantova, sua terra d’origine, Daniele Protti direttore dell’Europeo dal 2001 fino alla chiusura nel 2013. Qui aveva ideato la formula del mensile monografico che attingendo all’archivio del settimanale che era stato chiuso nel 1995 affrontava l’attualità in una prospettiva storica. I lettori avevano ritrovato così reportage e firme indimenticabili, da Oriana Fallaci a Giorgio Bocca e fotografie storiche.
Nato a Mantova il 26 giugno del 1945, in gioventù milita nel Psiup e collabora con “Mondo Nuovo”, il periodico del partito; contrario alla confluenza nel Pci o al rientro nel Psi, Protti aderisce alla minoranza che dà vita al Partito di Unità Proletaria, unendosi al gruppo de Il Manifesto.
Inizia la sua carriera di giornalista nel 1977. È stato direttore del Quotidiano dei lavoratori, inviato de Il Lavoro di Genova, de il Globo e de Il Messaggero di Roma. Dal 1988 a capo della redazione romana del settimanale L’Europeo, nel 1995 alla chiusura del periodico ne era diventato vicedirettore responsabile. È stato anche inviato delle testate della Rizzoli Periodici Rcs MediaGroup, collaboratore dei settimanali Amica, Il Mondo, Italy today, Sette, Capital e Io Donna.
Alle elezioni politiche del 1994 è candidato dall’Alleanza dei Progressisti nel collegio uninominale di Mantova per la Camera dei deputati. Per quattro anni ha insegnato alla facoltà di Sociologia dell’Università di Urbino e in seguito ha collaborato con l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e l’Università Bocconi. E’ stato anche commentatore sportivo in varie trasmissioni Rai. Il figlio, Tommaso Protti, ha seguito le orme del padre. E’ fotoreporter per testate internazionali.
Per 150 tra allievi e docenti dell’Istituto Tecnologico industriale “Ettore Maiorana” di Milazzo (Messina) la gita d’ istruzione in Puglia e Basilicata ieri si è trasformata in un incubo. Un’intossicazione collettiva ha, infatti, bloccato gli studenti e prof a Fasano, anzi in 150 hanno dovuto ricorrere ai medici. “Il malessere degli studenti – ha detto il dirigente scolastico Bruno Castrivinci – è cominciato dopo alcuni giorni. Dopo una cena un primo gruppo di studenti ha accusato forti dolori addominali, vomito e mal di pancia. Col passare del tempo il numero dei ragazzi e dei docenti è cresciuto a tal punto da richiedere l’intervento del 118. Noi siamo stati tempestivamente avvisati e abbiamo avvertito i genitori degli studenti.
Assieme a loro, per tutta la mattinata fino alle 14 abbiamo seguito dall’Istituto l’evolversi della brutta situazione. Sul posto sono intervenuti i Carabinieri e il gruppo dei Nas, informati dagli stessi docenti accompagnatori, che stanno indagando sull’episodio”. Secondo quanto hanno riferito gli stessi prof si è trattato di gastroenterite acuta e dissenteria. L’ipotesi più probabile è che il gruppo abbia mangiato del cibo avariato, forse pollo. Sette le ambulanze che ieri sono dovute intervenire per dare soccorso ai giovani milazzesi. Alcuni dei quali sono stati trasportati al pronto soccorso del locale ospedale perchè hanno avuto bisogno di flebo per riprendersi dalla disidratazione. Il gruppo di studenti accompagnato da diversi docenti era partito da Milazzo lo scorso 25 Marzo e dopo una tappa a Matera avrebbe fatto rientro nel centro mamertino.
Sempre con la collaborazione dell’agenzia viaggi, nel pomeriggio di oggi, almeno quelli che possono affrontare il viaggio, saltando la sosta a Matera, stanno già rientrando e arriveranno in città nella tarda serata. Secondo quanto hanno riferito questa mattina alcuni docenti, diversi genitori, già in prima mattinata si sono messi in auto e hanno raggiunto i loro figli nel centro pugliese. Il dirigente scolastico dice che c’è da accertare se alcuni studenti, durante la sosta in Puglia abbiano preferito mangiare fuori dalla struttura alberghiera.
Il caso Bari è approdato oggi nella commissione parlamentare Antimafia ma sarà solo dopo Pasqua che l’ufficio di presidenza deciderà se e quando calendarizzare le audizioni del sindaco di Bari, Antonio Decaro, e del presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano. Entrambi sono da giorni al centro di polemiche tra maggioranza e opposizione per l’aneddoto raccontato dal governatore pugliese che aveva detto di avere portato l’allora assessore Antonio Decaro a casa della sorella di un boss di Bari vecchia. Aneddoto che risalirebbe a 18 anni fa, raccontato durante la manifestazione di solidarietà al sindaco organizzata a Bari sabato scorso, e prima smentito da Decaro (che sarà candidato alle Europee) e poi rettificato dallo stesso Emiliano. A chiedere le audizioni del sindaco, che si è detto “a disposizione della commissione”, e del governatore sono stati alcuni componenti della commissione. Primo tra tutti il vicepresidente Mauro D’Attis che già domenica scorsa aveva giudicato le parole di Emiliano “degne di un approfondimento”. D’Attis aveva anche ipotizzato l’audizione di un ex presidente dell’Amtab, Antonio Di Matteo, che in un’intervista aveva parlato di “concorsi truccati, denunce e, soprattutto omertà”.
Mentre la parlamentare di Alleanza Verdi Sinistra, Elisabetta Piccolotti, ha fatto sapere che su proposta della presidente Colosimo, si è deciso “di aspettare l’arrivo complessivo degli atti riguardanti l’inchiesta di Bari prima di avviare le audizioni”. “È bene che il lavoro della commissione non sia sporcato dalle strumentalità politiche che, numerose, ci sono state in questi giorni contro un sindaco e una giunta che non risultato in alcun modo coinvolti in attività criminali”, ha detto. Si valuterà anche la convocazione del procuratore antimafia di Bari che peraltro, proprio in occasione degli arresti aveva escluso qualsiasi coinvolgimento del sindaco riconoscendo che “l’amministrazione comunale è stata costante nell’aiutare gli inquirenti a liberare questa città”.
La commissione potrebbe anche valutare di ascoltare il ministro Piantedosi per “la procedura irrituale con cui ha deciso per l’invio della commissione”, ha detto Piccolotti. Il fulcro attorno a cui ruota tutto è proprio la municipalizzata del trasporto cittadino finita al centro dell’inchiesta ‘Codice interno’ che nelle scorse settimane ha portato a 130 arresti e che ha disvelato oltre a scambi politico – mafiosi, anche la capacità dei clan di pilotare le assunzioni. Ma la vera miccia che ha fatto esplodere lo scontro politico è stata la decisione del ministro Piantedosi di inviare a Bari una commissione per valutare eventuali infiltrazioni nell’amministrazione, su sollecitazione di parlamentari pugliesi del centrodestra. Il sindaco Decaro ha reagito convocando una conferenza stampa mostrando i faldoni della sua attività antimafia cui è seguita la manifestazione di piazza ‘giù le mani da Bari’. Nel frattempo la commissione è arrivata in città e da ieri è in Prefettura per esaminare le migliaia di carte dell’inchiesta.